LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –
Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –
Dott. ATRIPALDI Umberto – Consigliere –
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
T.L. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA 10, presso lo studio dell’avvocato CASTAGNI GIANCARLO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DALLE MULE LUCA;
– ricorrente –
contro
M.L., M.A.L.;
– intimati –
e sul ricorso n. 3358/2005 proposto da:
M.L. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 103, presso lo studio dell’avvocato PALOPOLI ALFREDO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CHINAGLIA ADELCHI;
– controricorrente ric. incidentale –
e contro
M.A.L., T.L.;
– intimati –
Avverso la sentenza n. 854/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 26/05//004;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 26/11/2009 dal Consigliere Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio;
udito l’Avvocato Francesco PIROCCHI con delega depositata in udienza dell’Avvocato DALLE MULE Luca, difensore della ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato PALOPOLI Alfredo, difensore del resistente che si riporta al ricorso incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
T.L. conveniva in giudizio M.L. e M.A.L. esponendo: che in data ***** era deceduto il proprio coniuge M.I. il cui testamento olografo era stato pubblicato il 17/1/1996; che vi era assoluta incertezza in ordine alla persona dell’erede beneficiario posto che il de cuius, nella prima parte, aveva istituito crede nudo proprietario il nipote L. lasciando ad essa attrice l’usufrutto vitalizio, mentre nella seconda parte aveva disposto che alla moglie andasse la legittima ed il resto al nipote; che quindi il testamento doveva ritenersi nullo non potendosi determinare la volontà del testatore per cui la successione doveva avvenire ex lege; che i coniugi erano in comunione dei beni per cui la metà del patrimonio del de cuius apparteneva ad essa attrice rientrando nell’asse ereditario l’altra metà.
M.L. si costituiva chiedendo il rigetto della domanda e, in subordine, il riconoscimento a sè medesimo della metà del patrimonio relitto dal de cuius in forza della seconda disposizione contenuta nel testamento.
M.A.L. non si costituiva.
Con sentenza 14/9/1999 l’adito tribunale di Belluno dichiarava che all’attrice ed al convenuto spettava per ciascuno la metà del patrimonio del defunto M. in forza della seconda disposizione del testamento olografo.
Avverso la detta sentenza proponeva appello M.L. nella parte in cui aveva escluso la fondatezza dell’assunto di esso convenuto in merito all’avvenuta acquiescenza da parte della T. L. alla prima delle disposizioni testamentarie con la quale era stata attribuita alla T. l’usufrutto generale vitalizio.
Nel corso del giudizio di secondo grado si costituiva la T. – dichiarata contumace alla prima udienza – la quale deduceva che l’atto di appello del M. era stato notificato al procuratore domiciliatario di essa appellata, ossia all’avvocato Flavio Dalle Mute il quale al momento della notifica era deceduto per cui essa T., ignorando la proposizione dell’appello la cui notifica era da ritenere inesistente, aveva proposto in via autonoma gravame dando avvio ad altro procedimento nel quale il M. aveva spiegato appello incidentale.
I due procedimenti di appello venivano riuniti.
Con sentenza 26/5/2004 la corte di appello di Venezia rigettava entrambi i gravami osservando: che la notifica dell’atto di appello alla T. era stata effettuata inviando l’atto al domicilio eletto presso lo studio del procuratore domiciliatario avvocato Flavio Dalle Mule il quale al momento della notifica era deceduto:
che l’atto era stato ricevuto atteso che l’organizzazione dello studio era stata mantenuta anche dopo il decesso del domiciliatario;
che la detta notifica era da ritenere nulla e non inesistente dovendosi in proposito applicare il principio affermato dalla corte di cassazione con la sentenza 3102 del 2002; che la nullità della notifica era stata sanata per effetto della costituzione della T.: che nessun termine decadenziale per la proposizione dell’appello incidentale poteva farsi decorrere per la T. dalla notifica (invalida) dell’atto di appello del M.; che ben poteva la T. proporre appello separatamente; che la doglianza della T. relativa alla mancata declaratoria di nullità del testamento in questione era infondata posto che la volontà del testatore era chiara nel senso di lasciare alla moglie la legittima ed il resto del patrimonio al nipote; che la parte del testamento con la quale il testatore aveva effettivamente disposto delle sue sostanze era solo la seconda non potendosi attribuire alcuna valenza alla prima se non di mera manifestazione di un intendimento; che era priva di rilevanza la valutazione della condotta della T. dopo la pubblicazione del testamento; che la dichiarazione della T. di “accettare il testamento nella parte in cui il de cuius dispone a favore della stessa dell’usufrutto generale vitalizio” era prima di efficacia a fronte della esclusione di una corrispondente manifestazione di volontà attributiva dell’usufruito contenuta nel testamento; che pertanto in forza della disposizione testamentaria spettava alla T. la legittima, ossia là metà del patrimonio del defunto M. in applicazione del disposto di cui all’art. 540 c.c.; che non era fondato l’assunto della T. la quale aveva interpretato la disposizione testamentaria nel senso dell’attribuzione ad essa appellante della legittima e dell’usufrutto; che M.M. e T.L. erano già coniugati prima della riforma del diritto di famiglia per cui l’assoggettamento al regime di comunione legale poteva essere riferibile a quei beni che, pur intestati solo al de cuius, fossero stati acquistati dopo la scadenza del termine previsto; che pertanto, poichè nessuno dei beni intestali al de cuius risultava essere stato acquistato dopo detto termine, doveva essere rigettata la domanda della T. volta al riconoscimento della comunione legale dei beni intestati al de cuius; che le istanze istruttorie proposte dalla T. erano irrilevanti dovendosi escludere – con l’ammissione di detti istanze – la possibilità di addivenire all’accertamento della sussistenza di ulteriori beni caduti in comunione in costanza di matrimonio; che peraltro la domanda della T. era volta all’accertamento della pertinenza tra i coniugi di beni intestati solo al de cuius e non alla verifica della sussistenza di crediti della T. per gli incrementi del valore del patrimonio ereditario apportati dall’attività svolta dalla medesima.
La cassazione della sentenza della corte di appello di Venezia è stata chiesta da T.L. con ricorso affidato a tre motivi illustrati da memoria. M.L. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale sorretto da due motivi. L’intimata M.A.L. non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..
Innanzitutto va esaminala l’eccezione sollevata dalla T. con la memoria ex art. 378 c.p.c. in ordine all’asserita di inammissibilità del controricorso – contenente il ricorso incidentale – per tardività in quanto notificato ad essa ricorrente principale in data 27/1/2005, ossia 41 giorni dopo la notifica al M. del ricorso principale avvenuta il 17/12/2004.
L’eccezione è infondata atteso che il controricorso è stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica alla T. in data 26/1/2005 come risulta dal timbro apposto su tale atto recante il numero cronologico e la data la cui conformità al vero non è stata contestata dalla T..
In proposito va richiamato il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui ove non venga esibita la ricevuta di cui al D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 129, art. 109 la prova della tempestiva consegna all’ufficiale giudiziario dell’atto da notificare può essere ricavata dal timbro apposto su tale atto recante il numero cronologico e la data; solo in caso di contestazione della conformità al vero di quanto da esso indirettamente risulta, l’interessato dovrà farsi carico di esibire idonea certificazione dell’ufficiale giudiziario, la quale, essendo diretta a provare l’ammissibilità del ricorso, potrà essere esibita secondo le previsioni dell’art. 372 c.p.c. (sentenza 20/6/2007 n. 14294).
Con il primo motivo del ricorso principale T.L. denuncia violazione dell’art. 1363 c.c. e vizi di motivazione deducendo che la corte di appello nell’interpretare le ultime volontà del de cuius M.I. ha violato il canone di esegesi “oggettiva” che impone di interpretare le singole clausole contenute nel testamento le une per mezzo della altre. In tal modo i giudici del merito hanno privato la parte più estesa del testamento in questione di qualunque concreto significato precettivo, così violando anche il canone dell’interpretazione complessiva e sistematica della clausole del testamento. Se si fosse rispettata la necessità di una lettura integrata delle due parti del testamento sarebbe apparsa l’intenzione del testatore di lasciare al nipote solo la nuda proprietà dei propri beni ed alla moglie l’usufrutto su tutto il patrimonio.
L’interpretazione della scheda testamentaria avallata dalla corte veneziana è anche contraddittoria posto che o la prima parte del testamento equivale ad una manifestazione di intenti superata dalla sua irrealizzabilità, o essa guida anche l’esegesi della seconda parte. La corte di appello sotto alcuni profili accoglie il primo postulato e ad altri fini prende le mosse dal secondo. D’altra parte il testamento, interpretato diversamente, sarebbe nullo non potendovi attribuire alcun significato.
Con il primo motivo del ricorso incidentale M.L. denuncia violazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c., nonchè vizi di motivazione, sostenendo che la volontà del testatore – al contrario di quanto ritenuto dalla corte di appello – si è compiutamente manifestata nella prima parte del testamento con la quale aveva disposto di lasciare tutti i suoi averi al nipote e l’usufrutto alla moglie.
La Corte rileva l’infondatezza delle dette censure che – per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di trattazione – possono essere esaminate congiuntamente riguardando entrambe, sia pur sotto profili diversi e contrastanti, l’interpretazione data dalla corte di appello alla scheda testamentaria come predisposta da M. I..
La sentenza impugnata è del lutto corretta e si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto con le contrapposte censure in esame.
Occorre premettere che, come è principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione del testamento – volta ad identificare l’effettiva volontà del testatore – riguarda un accertamento di fatto riservato al giudice del merito e non censurabile in sede di legittimità se la relativa motivazione sia corretta, adeguata (sì da consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione) oltre che immune da violazione delle norme di ermeneutica dettate in materia di contratti, sia pur con gli opportuni adattamenti e con esclusione di quelle incompatibili con la natura del negozio mortis causa propria del testamento (artt. 1366, 1368 e 1370 c.c.).
Ciò posto va osservato che nella specie la Corte di appello, con motivazione puntuale e persuasiva, ha proceduto alla disamina del testamento redatto da M.I. tenendo presente le contrapposte tesi delle parti, nonchè valutando criticamente tutti gli elementi utilizzabili al fine di individuare la portata e le finalità delle disposizioni testamentarie.
La Corte territoriale è quindi pervenuta alla conclusione – come sopra riportato nella parte narrativa che precede – che il testatore con la clausola in questione aveva inteso lasciare alla moglie la legittima ed al nipote il resto del patrimonio.
Il ragionamento seguito nella sentenza impugnata in punto interpretazione del contenuto delle disposizioni testamentarie in questione è esente da vizi logici ed è conforme alla volontà della de cuius come manifestata in dette disposizioni: il procedimento logico – giuridico riportato nella detta sentenza è ineccepibile, in quanto coerente e razionale, ed il giudizio di fatto in cui si è concretato il risultato dell’attività interpretativa è fondato su un’indagine condotta nel rispetto dei canoni di ermeneutica applicabili all’atto unilaterale non recettizio del negozio mortis causa che è il testamento.
La Corte distrettuale ha quindi dato conto delle proprie valutazioni con corretto apprezzamento di merito, sorretto da congrua motivazione, esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento ed è pervenuta alle riportate conclusioni attraverso argomentazioni complete ed appaganti, improntate a retti criteri logici e giuridici, nonchè frutto di un accurato e puntuale esame e di una coerente interpretazione della lettera e dello spirito della disposizione testamentaria a firma del M..
A tali valutazioni la ricorrente principale e il ricorrente incidentale contrappongono le proprie (contrastanti), ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.
E’ quindi evidente l’insussistenza del lamentato difetto di motivazione poichè siffatta denuncia, come è noto, ha un obiettivo limitato che si coordina con il giudizio di legittimità e tende solo al controllo di legalità sul modo e sui mezzi adoperati dal giudice del merito nel motivare la sua decisione affinchè si accerti se questa sia coerente nell’esposizione delle ragioni delle fonti del suo convincimento, tanto da rendere possibile la verifica del processo logico seguito. Le critiche al riguardo mosse dal ricorrente sono infondate risolvendosi essenzialmente, pur se titolate anche come violazione di legge, nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa, inammissibile in sede di legittimità, nonchè nella pretesa di contrastare valutazione ed apprezzamenti che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito e la cui motivazione non è sindacabile in sede di legittimità se – come appunto nella specie – sufficiente ed esente da vizi logici e giuridici.
In definitiva deve ritenersi corretta l’operazione ermeneutica compiuta dal giudice del merito il che rende manifesto che con le censure mosse dalla ricorrente è stato essenzialmente investito il “risultato” interpretativo raggiunto il che è inammissibile in questa sede.
Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia vizi di motivazione con riferimento al rigetto delle istanze istruttorie relative al mancato accoglimento della domanda volta al riconoscimento di un credito nei confronti dell’eredità a vantaggio di essa T.. Quest’ultima sostiene – al contrario di quanto affermato dalla corte di appello – di aver formulato la detta domanda nella memoria autorizzata ex art. 180 c.p.c. e nella successiva memoria ex art. 184 c.p.c., nonchè nella comparsa conclusionale di primo grado. Del pari la contraddittoria tesi della corte di merito circa la genericità dei capitoli di prova è smentita dall’esame delle formulate istanze istruttorie.
Il motivo è palesemente infondato in quanto relativo alla mancata ammissione di mezzi istruttori chiesti dalla T. al fine di dimostrare la fondatezza di una domanda – riconoscimento di un credito verso la massa ereditaria che, secondo quanto accertato dalla corte di appello all’esito dell’interpretazione delle difese svolte dalla T., non era stata ritualmente proposta dalla ricorrente nel giudizio di primo grado.
Va in proposito segnalato che, come è noto, in sede di legittimità occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su una domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa: solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c., per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di Cassazione ha il potere – dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini delle pronuncia richiestale. Nel caso in cui venga invece in considerazione l’interpretazione; del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile in Cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto.
Nella specie la T. non ha denunciato il vizio di omessa pronuncia ma si è limitata a lamentare l’asserito vizio di motivazione che non è di certo ravvisabile nel caso in esame avendo la corte di appello fornito adeguata motivazione a sostegno dell’interpretazione data all’atto introduttivo del giudizio di primo grado ed alle difese come articolate dalla T. nelle memorie del 19/2/1997, e del 24/6/1997 pervenendo alla conclusione che la domanda come proposta dalla ricorrente con tali atti era volta unicamente “all’accertamento della pertinenza alla comunione tra i coniugi dei beni intestati solo al de cuius e non già alla verifica della sussistenza di crediti della T. per gli incrementi del valore del patrimonio ereditario”.
Con il terzo motivo la T. denuncia violazione dell’art. 141 c.p.c. sostenendo che la sentenza di primo grado è passata in giudicato nei confronti di M.L. per inesistenza (e non nullità come ritenuto dal giudice di appello) della notifica dell’atto di appello proposto dal M..
Il richiamo operato dalla corte di appello alla sentenza della corte di Cassazione 3102/2002 è errato atteso che in detta sentenza la morte del domiciliatario non era conosciuta al notificante, mentre nella specie il difensore del M. non poteva non essere a conoscenza della morte dell’avvocato Flavio Dalle Mule.
Anche questo motivo del ricorso principale, al pari degli altri, non è meritevole di accoglimento ed al riguardo è appena il caso di richiamare e ribadire il principio che questa Corte ha avuto modo di affermare secondo cui la notifica presso lo studio di un avvocato morto o cancellato dall’albo deve essere considerata nulla e non inesistente nell’ipotesi in cui un altro professionista ne continui l’attività, dovendosi in questo caso considerare lo studio del professionista alla stregua di un ufficio e l’elezione di domicilio ritenersi effettuata con riferimento all’organizzazione in sè. In questa ipotesi, infatti, può ritenersi esistente un collegamento tra destinatario della notifica e il luogo e le persone a cui la copia dell’atto viene consegnata, e tale collegamento autorizza a ritenere possibile la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, e quindi la notifica così effettuata può essere considerata sanabile (sentenze 26/11/2004 n. 22293; 4/3/2002 n. 3102 richiamata dalla corte di appello nella sentenza impugnata).
Occorre segnalare che costituisce principio ormai comunemente recepito quello secondo cui l’ipotesi di inesistenza giuridica della notificazione ricorre unicamente quando essa sia stata effettuata in modo assolutamente non previsto dalla normativa e sia pertanto inidonea a realizzare lo schema tipico dell’istituto, come accade quando la consegna dell’atto avvenga a persona ed in luogo assolutamente non riferibili al destinatario ovvero quando non vi sia stata una qualsiasi consegna dell’atto da notificare. Si configura invece la nullità della notificazione quando, nonostante l’inosservanza di formalità e di disposizioni di legge in tema o di individuazione delle persone legittimate a ricevere la consegna dell’atto notificato o del luogo in cui detta consegna deve essere eseguita, una notificazione sia, comunque, materialmente avvenuta mediante rilascio di copia dell’atto a persona e luogo avente un qualche riferimento con il destinatario della notificazione. In questa seconda ipotesi il vizio della notificazione è sanato ex tunc per raggiungimento dello scopo quando segua la costituzione (anche tardiva) del destinatario dell’atto.
Nella specie, come è pacifico tra le parti, la notifica dell’atto di appello alla T. è stata effettuata a mezzo posta con plico inviato al procuratore domicilatario avvocato Flavio Dalle Mure – deceduto nelle more della pronuncia della sentenza di primo grado in pendenza dei termini per proporre appello – e consegnato a mani dell’impiegata dello studio incaricata al ritiro. Appare quindi evidente che l’organizzazione del procuratore domiciliatario ha continuato ad operare anche dopo la sua morte tenuto conto che l’atto è stato ritiralo di una impiegata addetta allo studio e che l’avvocato Luca Dalle Mule – figlio del procuratore domiciliatario deceduto – nominato dalla T. dopo il decesso del precedente difensore dalla sentenza risulta avere lo studio nello stesso luogo dello studio del padre.
La detta notifica deve quindi anche essere ritenuta invalida in quanto eseguita presso il domiciliatario nominato anche procuratore della T. ma deceduto al momento della notifica. Tuttavia, vertendosi in tema di notificazione eseguita presso soggetto e luogo aventi un riferimento certo con il destinatario dell’atto notificando ed essendo stato consegnato l’atto a soggetto trovato nello studio del professionista ed incaricato a ricevere gli atti, nella specie non si configura una nullità assoluta, o inesistenza, ma una nullità sanabile ex tunc, in virtù della costituzione dell’appellata destinataria.
La corte di merito, perciò, correttamente lungi dal dichiarare inammissibile l’impugnazione, ha ritenuto la notifica dell’atto di appello alla T. non inesistente ma nulla e, quindi, sanata con effetto ex tunc a seguito della costituzione dell’appellata con conseguente inutilità di una nuova notificazione a norma dell’art. 291 c.p.c., essendo ormai pervenuto a conoscenza dell’appellata l’atto di gravame.
Da quanto precede deriva l’infondatezza del secondo motivo del ricorso incidentale con il quale il M. denuncia violazione di legge per non aver la corte di appello dichiarato decaduta in capo alla T. la facoltà i proporre appello. Deduce il ricorrente incidentale che la notifica dell’atto di appello di esso M. è avvenuta con consegna dell’atto a mano dell’impiegata allo studio incaricata alla ricezione. L’atto è quindi pervenuto alla parte interessata per cui la notifica ha raggiunto il suo scopo ed è di conseguenza valida ab origine. Da ciò, secondo il M., l’ammissibilità dell’appello e l’inammissibilità di quello autonomamente proposto dalla T. in quanto tardivo.
Come sopra rilevato la notifica dell’atto di appello – pur se non inesistente – deve ritenersi affetta da nullità come correttamente ritenuto dalla corte di appello ed al contrario di quanto sostenuto dal M..
In definitiva devono essere rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale. Le spese del giudizio di cassazione vanno per intero compensate tra le parli costituite stante la reciproca soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE Riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa per intero tra le parti costituite le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2010