LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.G. *****, F.R.
*****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.
PISANELLI 4, presso lo studio dell’avvocato GIGLI GIUSEPPE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato GALICE ALBERTO;
– ricorrenti –
contro
S.B. *****, M.F.
*****, M.G. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A. DEPRETIS 86, presso lo studio dell’avvocato CAVASOLA PIETRO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati CINTI RICCARDO, MONTINI EMMANUELE;
– controricorrenti –
e sul ricorso n. 17651/2006 proposto da:
S.B. *****, M.F.
*****, M.G. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A DEPRETIS 86, presso lo studio dell’avvocato CAVASOLA PIETRO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati CINTI RICCARDO, MONTINI EMMANUELE;
– controricorrenti e ric. incidentali –
e contro
MA.GU., F.R.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 407/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 09/03/2005;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 01/12/2009 dal Consigliere Dott. TRIOLA Roberto Michele;
udito l’Avvocato SPIAZZI Dante, con delega depositata in udienza dell’Avvocato GALICE Alberto, difensore de ricorrenti che ha chiesto di riportarsi agli atti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, estinzione del ricorso incidentale per intervenuta rinuncia.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 21 febbraio 1996 Ma.
G. e F.R. convenivano S.B., M. F. e M.G. davanti al Tribunale di Verona ed esponevano che:
– che in data 28 giugno 1979 avevano stipulato con B.S., che agiva per se’ e quale legale rappresentante dei figli minori M.F. e M.G., un contratto preliminare, con il quale questi ultimi cedevano ad essi attori la quota di proprieta’ pari ad un quarto degli immobili siti in ***** e la quota pari alla meta’ di un lotto di terreno adiacente a tali immobili;
– il possesso dei beni ceduti era stato trasmesso ancor prima della stipula del contratto preliminare ed il prezzo pattuito di L. 29.500.000 era stato pagato poco dopo;
– i venditori, nonostante i ripetuti solleciti, non si erano mai presentati davanti al notaio per la formalizzazione dell’atto di vendita ed in data 10 marzo 1992 avevano inviato ad essi attori un atto di diffida con richiesta di restituzione degli immobili;
– il contratto preliminare in data 28 giugno 1979 aveva efficacia reale ed essi attori in ogni caso intendevano unire il possesso dei loro danti causa ex art. 1146 c.c. per invocare l’avvenuta usucapione in loro favore; – l’inadempimento dei venditori aveva cagionato gravi danni di cui essi attori intendevano chiedere il risarcimento in separato giudizio;
S.B. si era volutamente resa inadempiente, in quanto non aveva chiesto all’autorizzazione per la vendita al giudice tutelare, per cui, per l’ipotesi di mancato riconoscimento della proprieta’ in capo ad essi attori, era tenuta alla restituzione del prezzo riscosso con interessi e rivalutazione monetaria. Sulla base di tali premesse gli attori chiedevano, in via principale, che venisse accertato che erano diventati proprietari degli immobili oggetto del contratto in data *****, nonche’ la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni; in via subordinata chiedevano che venisse accertato che avevano usucapito la proprieta’ degli immobili in questione e, in via ulteriormente subordinata, la condanna dei convenuti alla restituzione della somma di L. 29.500.000, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
I convenuti si costituivano e chiedevano il rigetto delle domande, deducendo che:
a) il contratto in data ***** non si era mai perfezionato per la mancata autorizzazione del giudice tutelare ai sensi dell’art. 320 c.c. nonche’ del Tribunale ai sensi dell’art. 747 c.p.c. e doveva essere considerato inesistente, non sussistendo alcun obbligo di S.B. di attivarsi per ottenere dette autorizzazioni per la mancanza della utilita’ e necessita’ dei figli minori;
b) non sussisteva l’invocata usucapione, in quanto gli attori avevano occupato gli immobili dalla fine del 1981 ed era stata loro inviata una diffida il 10 marzo 1992 per ottenere la restituzione di tali immobili;
c) il diritto ad ottenere la restituzione del prezzo si era prescritto.
In via riconvenzionale chiedevano la resa del conto della gestione degli immobili, la condanna degli attori al pagamento dei frutti ad essi spettanti ed alle spese di lite.
Con sentenza in data 17 marzo 1999 il Tribunale di Verona accoglieva la domanda principale, dichiarando che gli attori erano diventati proprietari degli immobili oggetto del contratto in data *****.
S.B., M.F. e M.G. proponevano appello principale.
Ma.Gu. e F.R. proponevano appello incidentale, dolendosi del mancato accoglimento della domanda di usucapione.
Con sentenza non definitiva in data 11 dicembre 2001 la Corte di appello di Venezia accoglieva l’appello principale, rigettando tutte le domande proposte da Ma.Gu. e F.R. e disponendo la prosecuzione del giudizio per l’accertamento dell’ammontare dei frutti civili prodotti dai beni oggetto del contratto in data ***** dal giorno del trasferimento del loro possesso agli originari attori fino alla data della restituzione agli originari convenuti.
Contro tale decisione Ma.Gu. e F.R. proponevano ricorso principale, il quale veniva accolto da questa S.C. con sentenza in data 14 agosto 2007 n. 17682, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia la quale avrebbe dovuto riesaminare le questioni concernenti la natura del contratto in data ***** e la valenza della clausola riguardante l’autorizzazione, tenendo presente che:
1) l’espressione “preliminare” andava verificata ex art. 1362 c.c. con riferimento all’intero contenuto del contratto e con la manifestata volonta’ di vendere, nonche’ al comportamento tenuto dalle parti, che sembravano avere dato integrale attuazione al rapporto negoziale;
2) la condizione riguardava l’efficacia del negozio, ma ne lasciava impregiudicata la validita’ ed ogni caso andava valutata alla stregua del disposto di cui all’art. 1359 c.c..
Con sentenza definitiva in data 22 aprile 2005 la Corte di appello di Venezia procedeva alla liquidazione delle somme dovute da Ma.Gu. e F.R. per l’occupazione degli immobili oggetto del contratto in data *****.
Cosi’ motivava la Corte di appello:
Gli appellati, inoltre, hanno eccepito la prescrizione con riferimento all’azione di annullamento del contratto ex art. 1442 c.c. nonche’ alla prescrizione quinquennale e decennale ex artt. 2946, 2947 e 2048 per il richiesto pagamento dei frutti civili e/o naturali degli immobili di cui e’ causa.
Simili eccezioni, tuttavia, sono infondate.
Innanzitutto, gia’ nella sentenza non definitiva e’ stato chiarito che il contratto preliminare dedotto in giudizio non e’ mai venuto a giuridica esistenza, perche’ la condizione sospensiva, cui era subordinata la sua efficacia non si e’ verificata e conseguentemente non e’ possibile annullare un contratto che giuridicamente non esiste, ne’ applicare la prescrizione di cui all’art. 1442 c.c..
Neppure e’ applicabile alla fattispecie in esame la prescrizione quinquennale prevista nell’art. 12948 c.c., perche’ gli odierni appellanti non hanno chiesto annualita’ di rendite perpetue, di pensioni alimentari, di interessi e di pigioni o fitti di immobili da loro concessi in locazione, bensi’ il risarcimento dei danni da loro subiti per non aver potuto disporre dei beni in questione.
Il suindicato diritto al risarcimento, essendo relativo ad un danno patito per effetto di un’inadempienza contrattuale soggiace alla prescrizione decennale ordinaria prevista dall’art. 2946 c.c. e non gia’ a quella quinquennale ex art. 2947 c.c. concernente la prescrizione del diritto al risarcimento per responsabilita’ aquiliana (cfr. Cass., 19 maggio 1969, n. 1700; id. Cass. 22 gennaio 2004, n. 1135).
Nella specie, infatti, i beni in discorso furono consegnati agli odierni appellati in esecuzione del contratto preliminare piu’ volte citato ed in previsione del realizzarsi della condizione sospensiva dianzi menzionata, per cui e’ evidente che dal momento che questa non si e’ verificata era obbligo degli appellati medesimi restituire i beni di cui trattasi alla controparte e l’inadempimento di quest’obbligo comporta la responsabilita’ degli stessi in ordine al versamento dei frutti con la conseguenza che il diritto alla loro percezione si prescrive nel termine di dieci anni.
Tale diritto nella fattispecie in esame non si e’ prescritto, tenuto presente anche che gli odierni appellati con atto del 10.3.1992 chiesero alla controparte la restituzione degli immobili di cui trattasi, manifestando cosi’ chiaramente la loro volonta’ di goderne i frutti, correttamente quantificati dal c.t.u., geom. B., a decorrere dal 1982.
Delle somme dianzi indicate e’ stata chiesta la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, la quale va indubbiamente riconosciuta dal giorno della domanda, oltre agli interessi.
Al riguardo e’ noto che l’obbligazione di risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale costituisce – al pari dell’obbligazione risarcitoria per responsabilita’ extracontrattuale e aquiliana – un debito non di valuta, ma di valore.
Contro tale decisione hanno proposto ricorso per Cassazione, con quattro motivi, Ma.Gu. e F.R..
Resistono con controricorso S.B., M.F. e M.G., il quale hanno anche proposto ricorso incidentale, al quale hanno poi rinunciato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi.
Da un punto di vista logico va esaminato per primo il quarto motivo del ricorso incidentale, con il quale si deduce testualmente: Vizio di omessa pronuncia, non essendosi la Corte d’Appello di Venezia pronunziata sulla domanda concernente l’usucapione degli immobili formulata da Ma.Gu. e F.R. (art. 360 c.p.c., n. 4).
Gli appellati Ma.Gu. e F.R. avevano chiesto, costituendosi nel giudizio di secondo grado, che venisse dichiarata l’intervenuto usucapione, a loro favore, degli immobili di cui e’ causa.
Su tale domanda, ribadita nelle conclusioni finali, la Corte d’appello di Venezia non si e’ in alcun modo pronunciata, in spregio al disposto dell’art. 112 c.p.c. che impone al giudice di pronunciare su tutte le domande delle parti: la sentenza di tale Corte e’, dunque affetta da vizio denunciatile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, e anche per detta ragione deve venire annullata.
Il motivo e’ inammissibile, in quanto la questione della usucapione doveva ritenersi definitivamente preclusa a seguito della mancata impugnazione della sentenza non definitiva, che aveva rigettato la relativa domanda.
Sempre da un punto di vista logico va poi esaminato il secondo motivo del ricorso principale, con il quale si deduce testualmente:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 1442 c.c. in relazione all’art. 1355 c.c..
Nella sentenza della Corte d’appello di Venezia dice: “gli appellati, inoltre, hanno eccepito la prescrizione con riferimento all’azione di annullamento del contratto ex art. 1442 c.c.” (pag. 19), e che “il contratto preliminare dedotto in giudizio non e’ mai venuto a giuridica esistenza, perche’ la condizione sospensiva, cui era subordinata la sua efficacia non si e’ verificata, e conseguentemente non e’ possibile annullare un contratto che giuridicamente non esiste, ne’ applicare la prescrizione di cui all’art. 1442 c.c.”.
Cio’ disponendo, tuttavia, la Corte d’appello di Venezia ha violato e falsamente applicato l’art. 1442 c.c. correlato all’art. 1355 c.c. in quanto il contratto sottoposto a condizione sospensiva esiste ed e’ valido, e solo ne e’ temporaneamente bloccata l’efficacia: pertanto, l’azione di annullamento del contratto stesso puo’, senz’altro, essere proposta quando – appunto – essa attiene al peculiare l’aspetto dell’efficacia del contratto stesso legata alla sussistenza d’una condizione sospensiva. Il motivo e’ inammissibile per difetto di interesse.
Anche se si puo’ concordare sul fatto che il contratto sottoposto a condizione sospensiva non e’ inesistente, essendo solo dubbia la sua efficacia, l’errore in cui e’ incorsa la Corte di appello di Venezia e’ ininfluente, se si considera che la stessa non avrebbe dovuto prendere in esame la questione, dovendo pronunciarsi solo sul risarcimento conseguente alla ritardata restituzione degli immobili oggetto del contratto in data *****.
Con il primo motivo del ricorso principale si deduce testualmente:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 c.c. in relazione all’art. 2947 c.c..
In ordine alla richiesta di risarcimento dei danni avanzata dagli appellanti S.B., M.F., e M. G., e alla eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dagli appellati, la Corte d’appello di Venezia afferma (v. pagg. 19 – 20 della sentenza) che “neppure e’ applicabile nella fattispecie in esame la prescrizione quinquennale prevista nell’art. 2948 c.c., perche’ gli odierni appellanti non hanno chiesto annualita’ di rendite perpetue, di pensioni alimentari, di interessi e di pigioni o di fitti di immobili da loro concessi in locazione, bensi’ il risarcimento dei danni da loro subiti per non aver potuto disporre dei beni in questione”. E prosegue affermando che: “il suindicato diritto al risarcimento, essendo relativo ad un danno patito per effetto di un’adempienza contrattuale soggiace alla prescrizione decennale ordinaria prevista dall’art. 2946 c.c.”.
Ma, in tale modo, la Corte d’appello di Venezia ha violato e falsamente applicato l’art. 2946 c.c. in relazione all’art. 2947 c.c. giacche’ la asserita mancata consegna dell’immobile ad opera di Ma.Gu. e F.R. avrebbe implicato che questi ultimi fossero occupanti abusivi dell’immobile dal momento in cui dovevano consegnarlo in avanti, il che integrava una ingiustificata detenzione di beni altrui e quindi la violazione dell’art.2043 c.c, con conseguente illecito extranegoziale. E cio’ comportava che fosse applicabile, nella fattispecie, la prescrizione quinquennale stabilita dall’art. 2947 c.c., per 1 danni derivati dal fatto illecito, e non la prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c..
La doglianza e’ infondata per difetto di interesse, in considerazione della irrilevanza dell’eventuale errore commesso dalla sentenza impugnata, dal momento che la stessa non avrebbe dovuto esaminare l’eccezione di prescrizione, in quanto proposta per la prima volta nel giudizio destinato alla sola liquidazione del danno.
Col terzo motivo del ricorso principale si deduce testualmente:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c., comma 2, nonche’ violazione dell’art. 2691 c.c..
La Corte d’appello di Venezia afferma, con riguardo all’azione di risarcimento dei danni proposta dagli appellanti S.B., M.F. e M.G., che “l’obbligazione di risarcimento dei danni costituisce – al pari dell’obbligazione risarcitoria per responsabilita’ extracontrattuale ed aquiliana – un debito non di valuta ma di valore, sicche’, anche in sede di liquidazione equitativa di danni predetti, deve tenersi conto della svalutazione monetaria frattanto intervenuta, senza necessita’ che il creditore alleghi e dimostri il danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, (danni delle obbligazioni pecuniarie) ” (pag. 21).
Ma l’art. 1224 c.c., comma 2, stabilisce che “al creditore che dimostri di aver stabilito un danno maggiore spetti l’ulteriore risarcimento”. Grave, dunque, affinche’ venga riconosciuto il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, che il creditore provi sia l’esistenza sia l’entita’ del maggior danno.
Nella fattispecie, invece, nessuna dimostrazione, ne’ diretta ne’ indiretta o presuntiva, hanno dato gli appellanti S.B., M.F., e M.G., circa un eventuale maggior danno che essi avrebbero subito. Pertanto, la Corte d’appello di Venezia ha violato e falsamente applicato l’art. 1224 c.c., comma 2, in relazione all’art. 2697 c.c. il quale prescrive che colui che vuole far valere un diritto in giudizio deve produrre i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Anche tale motivo e’ infondato, in quanto l’art. 1224 c.c., comma 2, si riferisce ai debiti di valuta, mentre il debito da risarcimento del danno da inadempimento e’ di valore.
In definitiva, il ricorso principale va rigettato.
Per quanto riguarda il ricorso incidentale, la rinuncia non e’ stata accettata, il che comporterebbe la condanna alle spese. Tuttavia, in considerazione del fatto che si e’ determinata una situazione analoga alla soccombenza reciproca, ritiene il collegio di compensare le spese del giudizio di legittimita’.
PQM
LA CORTE Riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; dichiara estinto il giudizio di cassazione in relazione al ricorso incidentale;
compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2010