LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SENESE Salvatore – Presidente –
Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –
Dott. FEDERICO Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 24354-2005 proposto da:
C.N., *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA N. RICCIOTTI 11, presso lo studio dell’avvocato SINIBALDI MICHELE, rappresentato e difeso dall’avvocato CIRULLI MASSIMO con procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
P.A.A., *****;
– intimati –
sul ricorso 31482-2005 proposto da:
P.A.A., ***** elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato RIMATO ALESSANDRO, rappresentato e difeso dall’avvocato RUSSO DOMENICO con delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
C.N.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 699/2004 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, emessa il 1/06/2004, depositata il 21/09/2004; R.G.N. 662/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/01/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FEDERICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
P.A.A., premesso che il ***** aveva acquistato da C.N. due appartamenti contigui al ***** piano dell’edificio sito in *****, e che il venditore si era riservato il diritto di sopraelevare il fabbricato se l’edificazione, allora non consentita, fosse divenuta possibile, obbligandosi a provvedere nelle more alla manutenzione del tetto, con ulteriore obbligo – in caso di impossibilità della sopraelevazione – di rifacimento e sistemazione definitiva del tetto che, realizzato con struttura precaria, provocava danni agli immobili di essa attrice per le il infiltrazioni di acqua piovana, conveniva in giudizio il C. dinanzi al Tribunale di Chieti per sentirlo condannare all’esecuzione dell’obbligo di realizzare il tetto di copertura definitivo dell’edificio, nonchè al risarcimento dei danni subiti per le ripetute infiltrazioni d’acqua.
Il convenuto si limitava ad eccepire la prescrizione del diritto vantato dall’attrice.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 672/01, accoglieva la domanda, condannando il convenuto al pagamento in favore dell’attrice della somma di L. 3.588.620 con rivalutazione ed interessi, nonchè alla realizzazione del tetto definitivo.
Proposto appello dal C., si costituiva la P. resistendo al gravame e proponendo anche appello incidentale: con sentenza depositata il 21.9.04 la Corte d’appello dell’Aquila rigettava gli appelli.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il C., con tre motivi, mentre l’intimata ha resistito con controricorso, con cui ha proposto anche ricorso incidentale, con un unico motivo, depositando in atti anche una memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare va disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c..
A) Ricorso principale.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 954, 1353 e 2935 c.c., nonchè contraddittorietà su un punto decisivo della controversia, non avendo la Corte di merito tenuto conto del fatto che il corso della prescrizione del diritto di superficie non poteva iniziare a decorrere per la pendenza della condizione sospensiva (emanazione o meno degli strumenti urbanistici che avrebbero consentito la pattuita sopraelevazione).
Con il secondo motivo lamenta la violazione degli artt. 952 e 1127 c.c., nonchè omessa motivazione su un punto decisivo, non avendo la Corte di merito considerato che con atto pubblico del ***** il ricorrente non aveva acquistato il diritto di superficie, bensì la cd. proprietà separata (come tale imprescrittibile) dell’area di copertura del fabbricato con annesso diritto di sopraelevazione.
Con il terzo motivo deduce la nullità della sentenza e contraddittorietà della motivazione, in quanto la Corte di merito, pur avendo accolto nella parte motiva il motivo d’appello con cui il C. aveva censurato il capo della sentenza di primo grado relativo alla rivalutazione ed agli interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento danni, aveva in dispositivo rigettato in toto l’appello stesso.
1. Il primo ed il secondo motivo, che possono esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, non sono fondati.
1.1. Prima ancora, però, di affrontare le singole specifiche censure addotte nei motivi in questione, si deve dare atto che entrambe le parti concordano nelle rispettive difese sul fatto che il diritto di sopraelevazione del C. non era sorto con l’atto per notar Di Salvo del *****, ma ben prima e cioè con l’atto per notar Cieri del *****, che prevedeva il “diritto di sopraelevazione dell’intero ***** piano e di parte del ***** piano” del già esistente fabbricato posto in *****.
In tal senso può accogliersi la richiesta contenuta nel controricorso della P. di correzione della motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.
1.2. Ciò premesso, si rileva innanzitutto che non si ravvisa alcuna contraddizione nelle parti del ragionamento logico-giuridico dei giudici di appello in cui, da un lato, si sottolineava che l’obbligo di ricostruzione del tetto, assunto dal C. con l’atto del *****, era rimasto sospeso in attesa dell’accertamento della possibilità o meno della sopraelevazione, dipendente dalle determinazioni della P.A. in campo urbanistico, e, dall’altro lato, si affermava che il diritto di superficie, riservatosi dal medesimo con quell’atto, ma prima ancora con l’atto del *****, si era estinto ex art. 954 c.c. per effetto del non uso protratto per più di venti anni.
Infatti, il ricorrente desume arbitrariamente dalla suddetta sospensione dell’obbligo di sistemazione definitiva del tetto che anche il corso della prescrizione ventennale del diritto di superficie non possa iniziare a decorrere sino a che non sia intervenuto l’auspicato mutamento della pianificazione urbanistica del Comune di *****, pretendendo addirittura che le parti abbiano inteso subordinare la sopraelevazione a tale mutamento, con la conseguenza pratica che, se quest’ultimo non dovesse mai verificarsi, quell’obbligo di costruzione del tetto definitivo resterebbe a tempo indefinito inadempiuto.
Il che sarebbe veramente assurdo.
In verità, come ha ben rilevato la difesa della resistente, proprio la intervenuta prescrizione del diritto (di superficie) del ricorrente alla edificazione del ***** piano dell’edificio in questione si pone come elemento risolutivo che consente di accertare in maniera negativa la possibilità di sopraelevazione e di rendere, quindi, in concreto esigibile l’obbligo assunto dal ricorrente di provvedere a sue spese al rifacimento del tetto definitivo dello stabile.
Va aggiunto, per completezza di motivazione sul punto in oggetto, che in un caso abbastanza analogo a quello che qui si decide questa S.C. ha ritenuto che il decorso del termine di prescrizione per non uso del diritto di superficie non potesse essere condizionato da disposizioni urbanistiche impeditive del diritto di edificazione e che la sospensione di detto decorso potesse “verificarsi soltanto nei casi espressamente e tassativamente previsti negli artt. 2941 e 2942 cod. civ., non estensibili a fatti materiali e ragioni giuridiche non contemplate da dette norme …” (Cass. civ., sez. 2, 20.7.1987, n. 6364).
Risulta, dunque, vano richiamarsi al principio posto dall’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere esercitato, per sostenere che nel caso di specie, non consentendo tuttora gli strumenti urbanistici il rilascio da parte della P.A. del permesso di costruire, il diritto di superficie del ricorrente non può essere esercitato e, quindi, la relativa prescrizione non può cominciare a decorrere.
Infatti, nessun elemento in atti autorizza a ritenere che le parti abbiano inteso comunque subordinare l’efficacia del negozio costitutivo del diritto di superficie in favore del C. al verificarsi dell’avvenimento futuro ed incerto costituito dall’emanazione di futuri strumenti urbanistici, per cui deve in ogni caso escludersi che nel caso in esame la prescrizione non abbia iniziato il suo corso sin dal momento della costituzione del diritto di superficie.
1.3. Quanto poi alla questione introdotta con il secondo motivo, vale a dire che il C. non avrebbe acquistato il diritto di superficie, bensì la cd. proprietà separata (e, quindi, imprescrittibile) dell’area di copertura del fabbricato con il connesso diritto di sopraelevazione, si rileva che – anche volendo prescindere dalla novità della questione stessa, introdotta per la prima volta nel giudizio di cassazione che comporterebbe l’inammissibilità della censura – tale assunto è manifestamente destituito di ogni fondamento.
Questa Corte, infatti, con un indirizzo giurisprudenziale assolutamente consolidato (v. Cass. civ. n. 7051/2004; n. 10428/1994), ha ritenuto che “lo spazio sovrastante il suolo o una costruzione non costituisce un bene giuridico suscettibile di autonomo diritto di proprietà ma configura la mera proiezione verso l’alto delle suddette entità immobiliari … ne consegue che, ai sensi dell’art. 952 c.c. il diritto reale su tale spazio, separato dalla proprietà dell’immobile sottostante, non è qualificabile come proprietà ma come diritto di superficie”. Nè la provvisoria e precaria struttura di copertura dell’edificio può in alcun modo equipararsi ad un “lastrico solare” (art. 1127 c.c., comma 1, u.p.).
2. Il terzo motivo non è fondato.
Infatti, la volontà del giudice può scaturire anche dalla motivazione della sentenza e non ha, quindi, di regola importanza il difetto della sua specifica indicazione nel dispositivo, giacchè il senso precettivo del provvedimento giudiziale deve essere ricercato attraverso il dispositivo in correlazione alla motivazione stessa e le disposizioni contenute nelle varie parti della sentenza si integrano tra loro (cfr. Cass. S.U. n. 6706/1993; Cass. n. 8894/2001).
Alla stregua di tale principio ritiene questo Collegio che, esclusa l’ipotesi di nullità della sentenza impugnata, che si possa superare in via interpretativa la denunciata contraddittorietà tra la parte motiva della sentenza stessa, nella parte in cui è stato accolto il motivo di gravame con cui era stato censurato il capo della sentenza di primo grado relativo alla rivalutazione ed agli interessi sulla somma capitale liquidata a titolo di risarcimento del danno, ed il dispositivo della medesima che aveva invece rigettato in toto l’appello proposto dal ricorrente: nel senso, cioè, che il dispositivo della sentenza impugnata va integrato con quella parte della motivazione (v. pag. 6 della sentenza gravata) in cui si statuisce che per la somma liquidata a titolo di risarcimento (L. 3.588.620) la decorrenza della rivalutazione annuale ISTAT va fissata dalla data della C.T.U. e vanno corrisposti gli interessi legali sulla somma annualmente rivalutata.
B) Ricorso incidentale.
L’unico motivo, con cui la resistente lamenta la violazione degli artt. 9192 e 132 c.p.c. art. 111 Cost., comma 6, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, non è fondato.
Ed invero, la sentenza impugnata, nel disattendere l’appello incidentale proposto dalla P. in merito alla compensazione delle spese del giudizio di primo grado disposta dal Tribunale di Chieti, ha spiegato, con motivazione assolutamente adeguata e coerente, le ragioni della propria decisione sul punto in questione, facendo corretto riferimento all’orientamento giurisprudenziale, assolutamente pacifico e consolidato, di questa Corte in subiecta materia.
La valutazione, infatti, dell’opportunità della compensazione totale o parziale delle spese processuali, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella della ricorrenza di altri giusti motivi, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e non richiede specifica motivazione, salvo che risulti violato il principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero che a fondamento della decisione siano poste ragioni palesemente illogiche (v. Cass. civ. n. 1898/2002; n. 16012/2002).
C) Entrambi i ricorsi vanno, perciò, rigettati, mentre ricorrono giusti motivi, stante la reciproca soccombenza, per compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta, dichiarando compensate per intero tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2010