LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. FITTIPALDI Onofrio – rel. Consigliere –
Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
E.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SISTINA 121, rappresentato e difeso dall’avvocato FERRANTE MARIANO (avviso postale Via Parrocchia 10 – 80036 Palma Campania), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
– intimato –
avverso il decreto n. 51769/04 (+51770/04 + 51771/04) della CORTE D’APPELLO di ROMA del 14.3.05, depositato l’11/05/2005;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/05/2009 dal Consigliere Relatore Dott. FITTIPALDI Onofrio;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso visto l’art. 375 c.p.c., per l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso per manifesta fondatezza.
FATTO E DIRITTO
Visto il ricorso proposto il 10/05/06, da E.M. avverso il decreto del 11/05/2005 della Corte di Appello di Roma che ha solo parzialmente accolto il ricorso da lui avanzato, ai sensi della L. n. 89 del 2001, per la violazione dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, conseguente al mancato rispetto del termine ragionevole di durata del procedimento da lui introdotto, con ricorso depositato il 26 giugno 1998, innanzi al Giudice del Lavoro, e definito con sentenza del 29 maggio 2003 impugnata con atto del 26 maggio 2004 non ancora definito;
rilevato come la Corte territoriale, ritenute un’ irragionevole eccedenza di due anni del solo 1^ grado di giudizio, ma anche la modestia della posta in gioco, abbia contenuto in Euro 500,00 la misura dell’indennizzo e compensato le spese;
rilevato come, il ricorrente, con i 3 motivi di gravame, lamenti, anche sotto il profilo del vizio motivazionale, come, la Corte territoriale non abbia riconosciuto, al diritto alla ragionevole durata del processo, quel rango di “diritto fondamentale”, la cui violazione genera – ex se’ – il diritto al ristoro da liquidare secondo i parametri della Corte CEDU (compreso il “bonus” di Euro 2.000,00) e sulla base dell’intera durata del giudizio presupposto, e, piu’ in particolare, partendo dall’altrettanto erroneo riferimento al discutibile criterio della “posta in gioco”, abbia, in ogni caso, fissato in soli 2 anni il periodo di irragionevole durata del giudizio ed illegittimamente contenuto nell’insufficiente importo di Euro 500,00 l’indennizzo del “danno non patrimoniale”, ed altrettanto illegittimamente abbia compensato le spese di lite;
rilevato come il Ministero di Giustizia non abbia depositato controricorso;
vista la richiesta del P.G. in data 8/02/07, di accoglimento del ricorso per quanto di ragione, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., attesa la sua manifesta fondatezza; ritenuta la accoglibilita’ della richiesta;
ritenuto, in particolare come abbia da ritenersi consolidata (per tutte: Cass. 8714/06) la giurisprudenza di questa Suprema Corte secondo la quale: “In tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 il danno non patrimoniale e’ conseguenza normale, ancorche’ non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali: sicche’, pur dovendo escludersi la configurabilita’ di un danno non patrimoniale “in re ipsa” – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione -, il giudice, una volta accertata e determinata l’entita’ della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, secondo le norme della citata L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoni al e ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente”;
ritenuto, altresi’ come, se rappresenti giurisprudenza altrettanto consolidata di questa Corte quella per cui:
a) ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa, affidato al giudice del merito, sia si’ segnato dal rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per come essa, vive nelle decisioni, da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, ma conservi egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, dalle liquidazioni effettuate dalla Corte europea, in relazione alla particolarita’ delle fattispecie;
b) la precettivita’, per il giudice nazionale, di tale indirizzo non concerna tuttavia anche il bonus di Euro 2.000,00, e neppure il profilo relativo ti al moltiplicatore di detta base di calcolo e detta diversita’ di calcolo, peraltro, non tocchi la complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, e, dunque, non autorizzi dubbi sulla compatibilita’ di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione medesima, (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), risulti pur sempre imprescindibile che l’eventuale discostamento dagli standard della Corte CEDU avvenga in termini di ragionevolezza, il che non appare di certo predicabile in relazione alla decisione in questa sede impugnata, dovendosi ritenere manifestamente insufficiente l’importo liquidato, in relazione ad un pur correttamente individuato arco biennale di irragionevole durata del giudizio, ritenuto pertanto che – sotto tali profili ed in tali limiti – il ricorso vada accolto e che, conseguentemente, in tal senso l’impugnato decreto vada cassato (con assorbimento dei profili di doglianza relativi alla liquidazione delle spese), ma che, non rendendosi necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa possa essere decisa nel merito, e conseguentemente il Ministero di Giustizia vada condannato all’indennizzo del “danno non patrimoniale” in una misura che si liquida – in ragione di 2 anni di irragionevole durata del procedimento – in Euro 2.000,00, oltre interessi legali dalla domanda, nonche’ alla refusione delle spese di giudizio che compensa per la meta’ per questa fase, atteso il solo parziale accoglimento del ricorso, e che si liquidano come da dispositivo, e che vanno distratte a favore del difensore avv. Ferrante Mariano, antistatario;
visto l’art. 375 c.p.c..
P.Q.M.
LA CORTE Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa l’impugnato decreto e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere, alla parte ricorrente, la somma di Euro 2.000,00 per indennizzo, oltre interessi legali dalla domanda, nonche’ le spese del giudizio che determina, per il giudizio di merito, in Euro 100,00 per esborsi, Euro 385,00 per diritti ed in Euro 450,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge, e che compensa per la meta’ per il giudizio di legittimita’, gravando l’Amministrazione della residua meta’, e che determina per l’intero in Euro 900,00, di cui Euro 100,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori di legge; spese tutte che distrae in favore dell’avv. Mariano Ferrante, antistatario.
Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi della Sezione Prima Civile della Corte di cassazione, il 22 maggio 2009.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2010