Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.648 del 18/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CONFEZIONI MAPAL DI VANNELLA PALMA & C SNC in persona del legale rappresentante pro tempore P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato MACRO RENATO, rappresentato e difeso dall’avvocato DE ZIO GIUSEPPE;

– ricorrente –

contro

D.F.G., titolare dell’omonima ditta di VIVAI – PIANTE, elettivamente domicilialo in ROMA, LUNGOTEVERE DEI MELLINI 10, presso lo studio dell’avvocato GORACCI ALESSANDRO, rappresentato e difeso dall’avvocato GISSI ANDREA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 344/2004 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 28/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 26/05/2009 dal Consigliere Dott. SAN GIORGIO Maria Grazia;

udito l’Avvocato CARMIELLI Giancarlo, con delega depositata in udienza dall’Avvocato GISSI Andrea, difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per accoglimento del 3 motivo di ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – La Societa’ Confezioni Mapal di Vannella Palma & C. s.n.c. con sede in ***** convenne in giudizio D.F.G. titolare di un vivaio di piante, esponendo che all’inizio del mese di ***** aveva chiesto al D.F. di “dare una sistemata al verde esistente” nello spazio esterno della propria azienda, effettuando lavori per un importo massimo di L. 1.000.000, mentre costui vi aveva collocato piante ed oggetti ornamentali, a suo dire di pregio, richiedendo poi il pagamento della somma di L. 63.000.000 circa, nonostante esse dopo qualche tempo si presentassero gia’ ingiallite ed avessero comunque, a giudizio di esperti consultati, un valore di gran lunga inferiore al prezzo richiesto.

La societa’ attrice chiese, pertanto, al tribunale adito:

1) di accertare che i lavori effettuati dal D.F. non erano mai stati da essa commissionati e che nulla era dovuto quale corrispettivo al convenuto;

2) di condannare conseguentemente il convenuto a rimuovere le piante e gli oggetti menzionati, autorizzando, in mancanza, l’attrice a farlo a spese del D.F.;

3) di dichiarare che il convenuto non aveva diritto neanche al compenso di L. 1.000.000, pattuito per la sistemazione delle aiuole esistenti, per non essere stato tale lavoro eseguito;

4) di condannare il convenuto al risarcimento dei danni causati;

5) in via subordinata, di accertare il valore effettivo delle opere effettuate, disponendo la conseguente riduzione del prezzo;

6) di condannare il convenuto al pagamento delle spese del giudizio.

Il D.F., costituitosi in giudizio, contesto’ la fondatezza della domanda e propose domanda riconvenzionale per il pagamento della somma di L. 64.381.358 di cui alla fattura n. *****, quale corrispettivo delle piante ed oggetti forniti e relativo lavoro di messa a dimora e collocazione, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria.

Con sentenza depositata il 16 marzo 2001, il Tribunale di Trani rigetto’ la domanda principale ed accolse quella riconvenzionale.

Premesso che la domanda attorea andava esaminata limitatamente ai primi tre capi indicati nell’atto di citazione, avendo la societa’ attrice espressamente rinunziato agli altri capi, rilevo’ che dalle risultanze processuali era emerso che tra le parti si era concluso, sia pure verbalmente, un contratto di fornitura e messa a di mora di piante – come, del resto, aveva in definitiva ammesso anche l’attrice, sia pure sostenendo che l’efficacia del contratto era stata condizionata al gradimento, mai intervenuto, delle piante – e che, quindi, l’attrice era obbligata al pagamento del corrispettivo, oltre ad interessi e rivalutazione.

Avverso tale sentenza la societa’ Confezioni Mapal propose appello, chiedendo l’accoglimento della domanda proposta con l’atto introduttivo del giudizio, limitatamente alle conclusioni in esso rassegnate sub nn. 1), 2) e 3), il rigetto della domanda riconvenzionale spiegata dal D.F., e la declaratoria di non spettanza al convenuto delle somme liquidate a titolo di svalutazione monetaria.

2. – Il gravame venne rigettato dalla Corte d’appello di Bari con sentenza depositata il 28 aprile 2004. Con riguardo alla prima censura, con la quale l’appellante escludeva di aver ammesso l’avvenuta stipulazione del contratto di fornitura nei termini pretesi dal convenuto, sostenendo di aver concluso una vendita e messa a dimora di piante con riserva di gradimento, che era mancato, osservo’ la Corte di merito che la circostanza della avvenuta conclusione del contratto di fornitura, ammessa dall’appellante gia’ nell’atto introduttivo del giudizio, aveva trovato conferma nelle dichiarazioni dei testi, i quali avevano riferito che il P., legale rappresentante della Mapal, si era recato ripetutamente presso il vivaio del D.F. per scegliere le piante da sistemare, ed aveva anche assistito alle operazioni di messa a dimora delle stesse.

Quanto alla pretesa configurabilita’, nella specie, di una vendita con riserva di gradimento, il giudice di secondo grado rilevo’, per un verso, che di una siffatta clausola contrattuale non era stata fornita alcuna prova; per l’altro, che l’appellante non aveva mai fatto cenno a tale clausola nel giudizio di primo grado, invocandola per la prima volta nella comparsa conclusionale, nel richiamare i alle dichiarazioni rese da due testi, ritenuti dalla Corte compiacenti in quanto dipendenti della societa’ Mapal.

Quanto ai motivi di appello con i quali si censurava l’accoglimento della domanda riconvenzionale ed in particolare l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la stessa societa’ non avrebbe mosso in primo grado alcuna obiezione riguardo all’ammontare del corrispettivo, avendo, al contrario, essa dedotto la nullita’ del contratto per difetto di un elemento essenziale quale il prezzo, mancando al riguardo un accordo tra le parti e non potendo invocarsi il prezzo normalmente praticato dal venditore ai sensi dell’art. 1474 c.c. per non essere le piante “merci di larga produzione, di serie, supportate da listino”, rilevo’ il giudice di secondo grado che, pur mancando un preventivo accordo tra le parti sul prezzo, non poteva sostenersi per questo a nullita’ del contratto, soccorrendo la norma di cui all’art. 1474 c.c., per essere le piante vendute nei vivai annoverabili tra i beni venduti in serie, ed aventi, come tali, un prezzo abituale. Incombeva, pertanto, alla societa’ appellante l’onere di provare che il prezzo applicato dal D.F. alle piante vendute alla Mapel fosse piu’ elevato rispetto a quello abitualmente praticato dal medesimo.

Infine, quanto alla censura relativa al riconoscimento in favore del D.F. anche della rivalutazione in assenza di alcuna richiesta, la Corte territoriale rilevo’ che siffatta richiesta era stata formulata sia nella comparsa di costituzione e risposta, sia in sede di precisazione delle conclusioni.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la societa’ Confezioni Mapal di Vannella Palma & C, sulla base di quattro motivi, illustrati anche da successiva memoria. Ha resistito con controricorso D.F.G., che ha depositato anche memoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – La prima delle censure oggetto del ricorso investe la pretesa violazione degli artt. 1325, 1326, 1346, 1374, 1362, 1474, 1520, 2709, 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il contratto di cui si tratta sarebbe nullo per mancanza di accordo sul prezzo, che non poteva avvenire preventivamente in mancanza di definizione del numero e della qualita’ delle piante da mettere a dimora e di gradimento delle stesse da parte dell’acquirente. In tale situazione, la fattura commerciale esibita dal D.F. non sarebbe potuta assurgere a prova del contratto, ma avrebbe potuto costituire tutt’al piu’ un mero indizio, contro il quale ben avrebbero potuto ammettersi prove, anche testimoniali, dirette a dimostrare convenzioni sottostanti. In ogni caso, poi, nella specie sarebbe stata da escludere l’applicabilita’ dell’art. 1474 c.c., per la incertezza sulle cose vendute e per mancanza di prova in ordine al prezzo normalmente praticato dal venditore, tenuto anche conto che le piante, per la loro estrema varieta’, non sono merci di larga produzione e di serie.

2.1. – La censura non e’ meritevole di accoglimento.

2.2. – Con accertamento di fatto, come tale non censurabile nella presente sede, per essere stato il relativo percorso logico ricostruito in modo congruo ed immune da errori di diritto, la Corte di merito ha ritenuto che, nella specie, era intervenuto tra le parti un accordo di massima, oggetto del contratto di fornitura e messa a dimora di piante nell’ambito della struttura aziendale di proprieta’ della societa’ Confezioni Mapal. A fondamento di tale convincimento il giudice di secondo grado ha posto, tra l’altro, le risultanze processuali emerse, ed, in particolare, le dichiarazioni testimoniali, valorizzando, quale elemento a favore della conferma della esistenza del contratto, la circostanza, riferita dai testi escussi, delle ripetute visite del P., rappresentante legale della Confezioni Mapel s.n.c. presso il vivaio allo scopo di scegliere le piante da sistemare nel giardino della predetta societa’, alla cui messa a dimora lo stesso P. aveva anche assistito.

2.3. – In tale quadro, il giudice di secondo grado ha plausibilmente escluso che la mancata determinazione del prezzo potesse determinare la nullita’ del contratta, presumendo che le parti intendessero riferirsi al prezzo normalmente praticato dal venditore.

Sufficientemente motivato appare, al riguardo, il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine alla ricomprensione delle piante vendute nei vivai nella categoria dei beni venduti in serie e continuativamente, avuto riguardo al florido commercio di cui le stesse sono oggetto, e, conseguentemente, alla annoverabilita’ di dette piante tra le merci di larga produzione cui e’ applicabile l’art. 1474 c.c., comma 1, il quale, nel consentire la determinazione, nel contratto di compravendita, del prezzo con riferimento a quello normalmente praticato dal venditore, presuppone che si tratti di merci di largo consumo e molteplicita’ di contrattazioni (v. Cass., sentt. n. 10503 del 2006, n. 13807 del 2004).

3. – Con il secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 1520, 2697, 2721 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere sfornita di prova, oltre che tardiva – per essere stata richiamata per la prima volta nel giudizio di primo grado solo con la comparsa conclusionale, traendo spunto dalle deposizioni di testi definiti compiacenti – l’affermazione della esistenza, nel contratto de qua, della clausola di gradimento ai sensi dell’art. 1520 c.c..

Osserva, in proposito, la ricorrente, per un verso, che la richiesta sistemazione del verde non poteva che passare attraverso il gradimento delle piante, che nello stesso senso si dirigevano le deduzioni di prova, e che la memoria di replica del D.F. era fondata proprio sulla inapplicabilita’, nella specie, della norma richiamata; per l’altro, che le deposizioni dei testi di parte ricorrente non potevano essere definite compiacenti.

4.1. – Il motivo e’ infondato.

4.2. – A prescindere dalla considerazione che nell’atto introduttivo del giudizio l’attuale ricorrente non aveva fatto alcun riferimento ad un accordo che condizionasse la fornitura di piante al suo gradimento, ed a prescindere dalla attendibilita’ dei testi, deve escludersi, proprio sulla base di quanto osservato sub 2.2., la fondatezza della prospettazione della ricorrente concernente la avvenuta stipulazione di una clausola di gradimento. Infatti, il preventivo accordo, manifestatosi attraverso la scelta delle piante da parte del rappresentante della Mepal, l’avere lo stesso assistito alle operazioni di messa a dimora di dette piante circostanze, come si e’ dianzi chiarito, ragionevolmente ritenute provate dalla Corte di merito – costituiscono elementi incompatibili, sul piano logico, con una ricostruzione del contratto in questione in termini di compravendita con riserva di gradimento.

5. – La terza doglianza ha ad oggetto la violazione degli artt. 1490, 1497, 2697 c.c. e degli artt. 132, 189, 190 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. La ricorrente lamenta la mancata risposta dei giudici di merito alla propria domanda di accertamento del valore effettivo delle opere effettuate dal D. F. e dei vizi denunciati, con conseguente riduzione del prezzo.

Tale domanda, proposta, in via subordinata, al capo 5) dell’originario atto di citazione, e riproposta in sede di gravame, non era stata presa in esame dalla Corte di merito, la quale aveva ritenuto che la domanda della attuale ricorrente fosse stata dalla stessa limitala ai capi nn. 1, 2 e 3 dell’atto introduttivo del giudizio, senza considerare che, comunque, quest’ultima aveva chiesto il rigetto della domanda riconvenzionale del D.F., che, con riguardo al quantum, avrebbe dovuto in ogni caso essere provata. Del resto, osserva la ricorrente, la sola circostanza che essa avesse sottolineato la mancanza di accordo sul prezzo e che questo dovesse essere provato esclude che potesse ritenersi sussistente una rinunzia alla eccezione circa l’ammontare del prezzo di mercato: circostanza, codesta, la cui dimostrazione avrebbe richiesto un supporto tecnico.

Infine, sarebbe stata necessaria una consulenza tecnica in ordine alla denunzia di vizi della merce fornita, sulla quale l’attuale resistente aveva accettato il contraddittorio, affermandone, peraltro, la inesistenza per essere stati gli stessi rimasti indimostrati.

6.1. – La censura si appalesa fondata.

6.2. – La Corte di merito ha aderito in modo pedissequo alla prospettazione dell’appellato secondo la quale il corrispettivo della fornitura di piante ed altri oggetti e dei lavori di messa a dimora era quello risultante dalla fattura del 29 ottobre 1991, per lire 64.381.158, senza in alcun modo farsi carico dei rilievi svolti dall’attuale ricorrente in ordine al cattivo stato delle piante fornite ed al valore delle stesse, che sarebbe stato di gran lunga inferiore al prezzo richiesto.

Ne’ puo’ convenirsi, in proposito, con il giudice di secondo grado sulla presunta rinunzia da parte della Mepal al relativo capo della domanda, avuto riguardo – come esattamente rilevato nel ricorso – alla insistenza della Mapal sul rigetto della domanda riconvenzionale proposta dal D.F.. E’ agevole rilevare, al riguardo, che la contestazione della fondatezza di tale domanda comportava l’esame, nel merito, del quantum della richiesta di corrispettivo avanzata dallo stesso D.F. – pur in presenza della esibizione della fattura del ***** – a fronte della denunzia della committente in ordine alla qualita’ della merce fornita.

7. Resta assorbito dall’accoglimento del terzo motivo del ricorso l’esame del quarto, concernente la denunciata violazione degli artt. 124 e 2697 c.c. per l’avvenuto riconoscimento, ad opera della sentenza impugnata, dell’ulteriore danno da svalutazione monetaria e cumulo della relativa liquidazione con gli interessi legali.

8. – Conclusivamente, rigettati il primo ed il secondo motivo del ricorso, ne va, invece, accolto il terzo, assorbito il quarto. La sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata ad altro giudice – che viene individuato in una diversa sezione della Corte d’appello di Bari, cui viene demandato altresi’ il regolamento delle spese del presente giudizio – che riesaminera’, fornendo sul punto una adeguata e motivata risposta, la questione relativa al valore effettivo dell’opera svolta dal D. F., nonche’ quella degli eventuali vizi della merce fornita, da accertare al fine di trarre elementi per pervenire eventualmente ad una riduzione del prezzo richiesto dal fornitore.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso, accoglie il terzo, assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’appello di Bari.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 26 maggio 2009.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2010

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