Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.649 del 18/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.P., G.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14, presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE, che li rappresenta e difendo unitamente all’avvocato MALNATI FRANCO;

– ricorrenti –

contro

I.E., T.R.;

– intimati –

e sul ricorso n. 27941/2004 proposto da:

T.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocate VESCI GERARDO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ISACCHI AURELIO;

– ricorrente –

contro

M.P., G.R.;

– intimati –

Avverso la sentenza n. 642/2003 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 13/08/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 26/05/2 009 dal Consigliere Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria;

udito l’Avvocato CARMIELLI Giancarlo o Pernici con delega depositata in udienza dell’Avvocato PAFUNDI, difensore dei ricorrenti che ha chiesto accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato SCHITTONE Nicolo’, con delega depositata in udienza dell’Avvocato VESCI Gerardo, difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – M.P. e G.R. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Bergamo T.R. ed I. E., esponendo che, con scrittura privata del *****, il primo aveva venduto ai convenuti, per il prezzo di L. 118.000.000, un magazzino sito in ***** che era stato promesso libero da vincoli o ipoteche, e che era invece risultato, prima che si addivenisse al rogito, che avrebbe dovuto essere stipulato il *****, oggetto di pignoramento eseguito da Imifin s.p.a., cosicche’ nel luglio del 1988 le parti avevano sottoscritto un “impegno preliminare di vendita”, firmato anche da G. R., moglie del M., nel quale questi, premessa la esistenza a carico dell’immobile del predetto pignoramento, e stante la necessita’ di liquidare l’ipoteca, si impegnava, a garanzia del l’impegno assunto, a vendere l’immobile di proprieta’ sua e della moglie, destinato a pizzeria in *****. La durata dell’impegno era stabilita in 90 giorni. Il successivo 3 agosto gli attori avevano conferito, con atto notarile, al T. e all’ I. procura irrevocabile a vendere l’immobile, anche a se medesimi, con termine sospensivo di efficacia sino al 1 novembre 1988.

Il 26 maggio 1989, infine, i procuratori avevano venduto a se stessi la pizzeria per il prezzo indicato nell’atto notarile, pari a L. 120.000.000: vendita di cui gli attori non avevano avuto notizia, sicche’ il M. aveva stipulato un contratto di locazione continuando a sopportare le spese per la manutenzione del predetto immobile. In tal modo si era realizzata, secondo gli attori, una violazione del di vieto di patto commissorio. Pertanto essi chiesero la dichiarazione di nullita’ dei citati atti notarili con condanna dei convenuti alla restituzione dei frutti civili (canoni di locazione della pizzeria) percepiti fino ad allora, e, in alternativa, dedussero la nullita’ dell’atto di vendila stipulato dai procuratori per il mancato perfezionamento dell’accordo negoziale.

In via subordinata, insistevano perche’ i convenuti fossero condannati a versare loro il prezzo della vendita indicato nell’atto e mai corrisposto, e rimborsare loro le spese sostenute per la manutenzione della pizzeria.

I convenuti, costituitisi in giudizio, premesso di aver versato la somma di L. 109.500.000, quale corrispettivo della vendita del capannone, escludevano la configurabilita’, nella specie, di una violazione del divieto di patto commissorio, affermando di essersi accordati con il M. con l’atto del ***** nel senso che questi si sarebbe impegnato a vendere un immobile di sua proprieta’ per estinguere con il ricavato il debito maturato nei confronti di Imifin s.p.a.. Quindi, resosi conto di non riuscire nell’intento, il M. aveva loro proposto di “sostituire” alla vendita del magazzino quella della pizzeria. I convenuti conclusero chiedendo che gli attori fossero condannati a risarcire loro i danni ex art. 96 c.p.c..

Espletata c.t.u. dalla quale risulto’ che il valore della pizzeria era circa doppio rispetto a quello del magazzino, il Tribunale, con sentenza del 6 luglio 2001, escluso che la proprieta’ della pizzeria fosse stata trasferita ai convenuti a titolo di datio in solutum, e ricostruito il senso economico della intera operazione nel senso di un trasferimento di proprieta’ a garanzia dell’adempimento di una obbligazione, dichiaro’ la nullita’ della procura a vendere rilasciata al T. e I. e del conseguente atto di vendita stipulato da questi ultimi con se stessi, condannando i convenuti a restituire i canoni percepiti dal conduttore della pizzeria dal 1992 al 2000, pari a complessive L. 157.631.000.

2. – La sentenza fu impugnata da T. e I.. La Corte d’appello di Brescia, con sentenza depositata il 13 agosto 2003, riformo’ la decisione. Escluse il giudice di secondo grado la configurabilita’, nella specie, di una violazione del divieto di patto commissorio, non ravvisando lo schema tipico di questo, consistente nel collegamento tra un negozio traslativo della proprieta’ (o che impegna al trasferimento della proprieta’) e il contratto di mutuo. La ricostruzione della fattispecie negoziale induceva ad escludere, secondo la Corte, che il trasferimento in capo a T. e I. della proprieta’ della pizzeria fosse avvenuto a garanzia dell’adempimento dell’obbligo in capo al M. di liberare il magazzino dalla trascrizione pregiudizievole. In realta’ quest’ultimo, impegnatosi a liberare dai pesi il magazzino, a garanzia di cio’, allo scopo di rassicurare gli interessati sulla serieta’ del suo impegno, si era obbligato a vendere la pizzeria per reperire la somma necessaria ad estinguere il debito che aveva dato origine al pignoramento. In tale quadro, la successiva procura a vendere rilasciata a T. e I. appariva funzionale ad assi curare ulteriori possibilita’ di successo all’operazione di reperimento di fondi per la cancellazione del pignoramento gravante sul magazzino, essendo gia’ trascorso il termine per l’adempimento previsto nel contratto di vendita del magazzino. Ed anche l’apposizione della condizione sospensiva di validita’ della procura andava interpretata come strumento per consentire ai M. anzitutto la possibilita’ di adempiere sia puro in ritardo alla propria obbligazione di vendere il magazzino libero da vincoli.

Significativa era, poi, la circostanza che T. e I. avessero deciso di acquistare la pizzeria non alla scadenza del periodo che il M. si era assegnato per la vendita del locale (tre mesi dall’impegno assunto), ma solo nel maggio 1989.

Esclusa, dunque, la nullita’ della procura rilasciata a T. e I., e, conseguentemente, della vendita della pizzeria, la Corte non accolse neanche la domanda proposta in via alternativa dagli attori originari, avente ad oggetto la declaratoria di nullita’ dell’atto traslativo della proprieta’ della pizzeria per l’asserita difformita’ delle volonta’ del proponente e dell’accettante, escludendo che si fosse verificato il denunciato scostamento tra la proposta dei venditori, avente ad oggetto il trasferimento della piena ed esclusiva proprieta’ dell’immobile, e la volonta’ degli acquirenti di conseguire l’uno la proprieta’ e l’altro l’usufrutto vitalizio per la meta’ dello stesso. Cio’ in quanto il contenuti:

dell’atto in cui si era manifestata la volonta’ dei contraenti non lasciava dubbi in ordine all’oggetto della vendita, riguardante appunto solo un mezzo della proprieta’ e dell’usufrutto del fabbricato.

Travolto, altresi’, il capo della sentenza relativo alla restituzione dei canoni di locazione della pizzeria, la Corte di merito, passando all’esame della domanda, proposta da M. e G. in via subordinata, di condanna di T. e I. a riversare loro il corrispettivo della vendita della pizzeria, per l’importo di L. 120.000.000, oltre agli interessi legali, la Corte la accolse.

Osservo’ al riguardo il giudice di secondo grado che, in mancanza di un documento avente ad oggetto la risoluzione del contratto di vendita del magazzino, per il quale era gia’ stata corrisposta parte del prezzo, non era attuale l’obbligo di restituzione della somma corrisposta. Ne’ nell’atto di procura a vendere era stata data alcuna autorizzazione dai mandanti ai mandatari affinche’ trattenessero le somme riscosse a seguito della vendita a compensazione di ragioni creditorie dei secondi nei confronti dei primi in relazione al precedente contratto avente ad oggetto il magazzino.

La Corte bresciana accolse infine la domanda di M. e G. relativa al rimborso delle spese condominiali sostenute in relazione ai locali della pizzeria.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono il M. e la G. sulla base di due motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resiste con controricorso il T., che propone altresi’ ricorso incidentale sulla base di un unico motivo. L’ I. non si e’ costituito nel giudizio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Deve, preliminarmente, provvedersi, a norma dell’art. 335 c.p.c., alla riunione del ricorso principale e di quello incidentale, in quanto proposti nei confronti della medesima sentenza.

2. – Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 1418 e 2744 c.c., dell’art. 14 disp. gen., degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 2702, 2733 c.c., nonche’ motivazione insufficiente e/o contraddittoria. I ricorrenti contestano il convincimento del giudice di secondo grado circa la non configurabilita’, nella specie, di un patto commissorio, sottoponendo a revisione critica, in particolare, l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, relativa alla impossibilita’ di estensione analogica al caso di specie della disposizione di cui all’art. 2744 c.c. in proposito, essi ritengono che si sarebbe trattato, piuttosto, di procedere ad una interpretazione estensiva della norma citata, posto che, se e’ pur vero che la lettera del richiamato art. 2744 c.c. si riferisce alla nullita’ del patto con il quale si convenga il passaggio al creditore della proprieta’ della cosa ipotecata o data in pegno in caso di “mancato pagamento di un credito”, tuttavia, in ossequio agli orientamenti della giurisprudenza di legittimita’, tale espressione potrebbe essere interpretata nel senso che essa ricomprenda anche il mancato adempimento dell’obbligazione: sicche’, sia che l’obbligazione garantita consista in una obbligazione di pagare, sia che si identifichi in una obbligazione di fare, il patto con il quale si stabilisca che in caso di inadempimento dell’obbligazione un bene del debitore passi in proprieta’ al creditore integrerebbe comunque la situazione che il divieto di cui all’art. 2744 c.c. intende evitare.

Del resto, la ricostruzione che della vicenda ha operato la Corte territoriale finirebbe per confermare la sussistenza nel caso di specie di un patto commissorio. Rilevano, al riguardo, i ricorrenti che la circostanza che la procura irrevocabile conferita al T. e all’ I. fosse stata prevista per consentire loro, sia pure come soluzione estrema, di divenire proprietari della pizzeria nel caso in cui il M. non fosse riuscito, in adempimento della sua obbligazione, a liberare il magazzino di ***** dal pignoramento, integrerebbe comunque la fattispecie commissoria vietata. Comunque, i ricorrenti escludono ravvisando nel percorso argomentativo della sentenza censurata travisamento delle prove e carenze e contraddittorieta’ motivazionale – che le risultanze istruttorie consentano di affermare che la procura notarile del *****, come la precedente scrittura privata del *****, fossero state confezionate allo scopo di obbligarli, o di facoltizzare gli odierni resistenti, a vendere la pizzeria a terzi onde ricavare il danaro necessario a liberare il magazzino di ***** dal pignoramento.

3.1. – La doglianza risulta immeritevole di accoglimento.

3.2. – Premesso che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimita’, che il Collegio intende nella presente sede ribadire, il divieto di patto commissorio sancito dall’art. 2744 c.c. si estende a qualsiasi negozio, ancorche’ lecito e quale ne sia il contenuto, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento, dell’illecita coercizione del debitore a sottostare alla volonta’ del creditore, accettando preventivamente il trasferimento di proprieta’ di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito (v. Cass., sent. n. 2285 del 2006), deve ulteriormente precisarsi che costituisce apprezzamento insindacabile del giudice del merito, quando sia esente da errori di diritto, quello diretto ad accertare se l’intervenuto accordo contrattuale integri un patto commissorio.

3.3. – Cio’ posto, e’ da rilevare che, nella specie, la Corte di merito ha fornito una ricostruzione congrua, non illogicamente motivata, ed immune da errori di diritto, della vicenda sottoposta al suo esame, ricostruzione dalla quale emerge la non configurabilita’, nella specie, di una violazione del divieto di patto commissorio.

Essa, in particolare, ha preso le mosse dalla ratio di tale divieto, di cui ha posto in evidenza la funzionalizzazione alla salvaguardia, da un lato, dell’interesse del debitore a fronte della pressione nei suoi confronti esercitata dal creditore, dall’altro, di quello degli altri creditori che dal patto subirebbero un danno, in quanto vedrebbero un bene del debitore sottratto alla garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c. al di fuori delle cause tipiche di prelazione. Da siffatta ratio la Corte bresciana ha fatto derivare la circoscritta portata della estensione della previsione ex art. 2744 c.c. ai diversi casi in cui le parti, anche al di fuori dell’anticresi o della dazione di ipoteca o di pegno, abbiano comunque attribuito al trasferimento della proprieta’ di un bene una funzione di garanzia del soddisfacimento di una preesistente obbligazione.

Nella specie, la Corte di merito nega la configurabilita’ di un patto commissorio, escludendo che il trasferimento in capo al T. ed all’ I. della proprieta’ della pizzeria sia avvenuto a garanzia dell’adempimento dell’obbligo del M. di liberare il magazzino di ***** dal pignoramento. Secondo il giudice di secondo grado, che ha smentito la ricostruzione operata dal Tribunale, l’impegno in tal senso assunto dal M. era stato “garantito”, al fine di rassicurare gli interessati sul la serieta’ dello stesso, dal l’obbligazione di vendere la pizzeria a terzi in modo da reperire le somme per estinguere il debito che aveva dato luogo al pignoramento:

anche perche’ la esigenza di monetizzazione dei locali adibiti a pizzeria al fine di soddisfare le pretese del T. e dell’ I. al conseguimento del magazzino libero da pesi non si sarebbe potuta realizzare con la cessione della pizzeria gli stessi acquirenti.

3.4. – In tale quadro, anche 1 a procura rilasciata a costoro e’ stata ritenuta funzionai e al conseguimento di ulteriori possibilita’ di successo della vendita, mentre anche la circostanza che il T. e l’ I. avessero deciso di acquistare essi stessi il bene non gia’ alla scadenza del termine di novanta giorni che il M. si era assegnato per portare a compimento al vendita, ma solo nel maggio del 1989, e, cioe’, a distanza di circa sette mesi, e’ stata interpretata come ulteriore elemento sintomatico del reale interesse degli odierni resistenti all’acquisto del magazzino.

Tale prospettiva era avvalorata, ad avviso della Corte, anche da alcuni riscontri probatori. Il giudice di secondo grado ha, dunque, fornito una adeguata motivazione della propria prospettazione che contrastava la impostazione della sentenza di primo grado, la quale aveva visto nella procura conferita dal M. al T. e all’ I. l’attuazione di una forma di garanzia attraverso l’attribuzione della proprieta’ del bene ai soggetti garantiti subordinatamente al verificarsi dell’inadempimento.

In definitiva, per la Corte di merito, era coerente con la evoluzione dell’intera vicenda ritenere che la scelta dei due di vendere a se stessi la pizzeria fosse intervenuta solo dopo che gli stessi si erano resi conto della difficolta’ di reperire mediante la cessione a terzi dei locali la somma necessaria per liberare il magazzino di ***** dal pignoramento.

La richiamata ricostruzione – che esclude il collegamento funzionale tra l’inadempimento contrattuale e il consolidamento degli effetti traslativi della proprieta’ in cui si sostanzia il patto commissorio – si sottrae, dunque, per logicita’ e congruita’, oltre che per assenza di errori giuridici, a qualsivoglia censura.

4. – Il secondo motivo del ricorso princiale ha ad oggetto la denuncia di violazione o falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., dell’art. 1325 c.c., n. 1, degli artt. 115 e 1116 c.p.c. in relazione all’art. 2700 c.c., nonche’ di motivazione insufficiente e/o contraddittoria. Si contesta con esso la decisione della Corte d’appello bresciana nella parte in cui ha escluso la denunciata nullita’ del contratto di compravendita del ***** per mancanza dell’elemento essenziale di cui all’art. 1325 c.c., n. 1. I ricorrenti osservano che dal tenore di detto contratto sarebbe risultato che, mentre i venditori avevano dichiarato di cedere la proprieta’ piena ed esclusiva dell’immobile di cui si tratta, gli acquirenti avevano accettato rispettivamente la proprieta’ e l’usufrutto di una parte corrispondente ad un mezzo del bene. E dunque, non si sarebbe formato l’accordo, che presuppone la perfetta coincidenza tra le dichiarazioni di volonta’ delle parti contraenti.

Avrebbe errato la Corte nell’escludere la segnalata difformita’ alla stregua del testo del contratto, fondandosi solo sulla parte dell’atto notarile di compravendita contenente la dichiarazione di volonta’ degli acquirenti, senza considerare, invece, quella dei venditori, che riguardava la cessione della proprieta’ piena ed esclusiva dell’immobile di cui si tratta.

5.1. – La censura non puo’ trovare ingresso nel giudizio di legittimita’.

5.2. – Essa tendo, in sostanza, ad ottenere un riesame, inibito nel la presente sede, dell’atti vita di interpretazione del contratto de quo posta in essere dalla Corte bresciana. La quale, peraltro, ha operato in modo corretto ed ha fornito congrua motivazione della propria opzione ermeneutica, facendo riferimento al tenore dell’atto del *****, dal quale si evinceva con chiarezza il contenuto dell’accordo intervenuto tra le parti. Tra l’altro, queste, come sottolineato nella sentenza censurata, erano le medesime persone fisiche, che agivano come procuratori e come acquirenti: cio’ che renderebbe comunque assai problematica la condivisione della censura di nullita’ del contratto per mancanza del necessario accordo tra le parti.

6. – Passando all’esame del ricorso incidentale, esso si fonda su di un unico articolato, motivo, con il quale si deduce la contraddittoria motivazione in ordine al punto della condanna degli intimati al versamento del prezzo del locale adibito a pizzeria, cio’ in quanto costoro avevano inteso sostituire la compravendita del magazzino, gia’ pagato, con quella della pizzeria, sicche’ nessun prezzo ulteriore avrebbe dovuto essere corrisposto. Al riguardo, contraddittoria era la motivazione addotta dalla Corte di merito, che, una volta ritenuta la insussistenza di un patto commissorio nella vicenda al suo esame, avrebbe dovuto riconoscere che, essendosi trattato di una datio in solutum, i locali adibiti a pizzeria sarebbero spettati al T. ed all’ I. in luogo della restituzione del prezzo del magazzino, gia’ versato.

7.1. – La censura e’ priva di fondamento.

7.2. – E’ sufficiente, al riguardo, ribadire che, nella specie, la Corte territoriale ha plausibilmente escluso la configurabilita’ di un patto commissorio. Da tale convincimento discende, quale inevitabile conseguenza, la persistente vigenza dell’accordo contrattuale avente ad oggetto il trasferimento della proprieta’ del magazzino dalla coppia M. – G. al T. e all’ I., salva la eventuale risoluzione dello stesso, da effettuarsi in apposita sede. Pertanto, il prezzo della vendita della pizzeria non puo’ essere trattenuto da questi ultimi – in mancanza di un accordo in tal senso nell’atto di procura rilasciato dai coniugi M. – G. – a titolo di compensazione con il prezzo gia’ versato per l’acquisto del magazzino in *****: acquisto allo stato non vanificato.

8. – Entrambi i ricorsi vanno, conclusivamente, rigettati. Nella reciproca soccombenza le ragioni della compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE Riuniti i ricorsi, li rigetta. Dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 26 maggio 2009.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2010

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