Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.654 del 18/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.Z. e C.E., rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv. RUGGERI Ivo Mario e Stefano Coen, elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Archimede, n. 44;

– ricorrenti –

contro

CE.Ca., CE.Fe., CE.Sa. e CE.Gi., rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv. CONTE Franco Maria e Francesco Rufini, elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Viale Carso, n. 51;

– controricorrenti –

e contro

C.A.M.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze in data 11 maggio 2006.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 24 novembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi l’Avv. Beatrice Pizzacasa, per delega dell’Avv. Stefano Coen, e l’Avv. Franco Maria Conte;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LECCISI Giampaolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Il Tribunale di Firenze, con sentenza pubblicata in data 12 settembre 2003, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Ce.Tu. con atto di citazione notificato il 9 luglio 1967, dichiarò che il confine tra la proprietà Ce. e quella dei convenuti C.Z., C.A. M. ed C.E. corrispondeva alla linea di confine risultante dalle mappe catastali, graficamente indicata nella relazione depositata il 23 settembre 2002 dal consulente tecnico d’ufficio, geom. B.. Il Tribunale dichiarò altresì che le parti erano tenute a provvedere, a spese comuni, all’esecuzione tecnica conseguente al precedente accertamento giudiziale del confine secondo l’indicazione del consulente tecnico d’ufficio; e compensò interamente tra le parti le spese processuali.

2. – La Corte d’appello di Firenze, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria l’11 maggio 2006, ha rigettato il gravame principale dei C. e, in accoglimento del gravame incidentale dei Ce., ha condannato gli appellanti principali, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.

La Corte territoriale, preso atto che i titoli d’acquisto delle rispettive proprietà non consentivano di stabilire i rispettivi confini, ha ritenuto – conformemente alle conclusioni cui era giunto il Tribunale – che l’unica alternativa possibile per determinare il confine tra le due proprietà era individuarlo nel centro del fossato oppure lungo la siepe al di là del fosso; e, in questa situazione di obiettiva ed insanabile incertezza, ha confermato la determinazione del confine tra le due proprietà lungo la siepe, perchè questa linea era stata già individuata come la più probabile dai primi tre consulenti tecnici d’ufficio e soprattutto perchè coincideva esattamente con il confine catastale.

La Corte di Firenze, nel rigettare il motivo di impugnazione relativo al mancato esperimento, da parte del Tribunale, di una indagine tecnica sul sottosuolo, ha rilevato che, a distanza di oltre trentasei anni dall’inizio della causa ed all’esito di sei consulenze tecniche d’ufficio, la mancata riproposizione della relativa istanza nelle conclusioni definitive del giudizio di primo grado doveva intendersi nel senso che ormai l’impostazione dei C. era rivolta ad ottenere che la linea di confine fosse determinate in base alle indagini effettuate sul soprassuolo e non sul sottosuolo. Di qui la mancanza di interesse dei C. a censurare le ragioni che avevano indotto il primo giudice a non accogliere, nel corso dell’istruttoria, quella richiesta, peraltro superata da tutte le altre diverse istanze proposte negli anni successivi, tanto più – hanno sottolineato i giudici del gravame – che quella indagine avrebbe una finalità meramente esplorativa.

Secondo la Corte d’appello, nessun valore di prova può essere attribuito alla planimetria allegata al contratto di locazione del terreno contiguo alla proprietà Ce., essendo stata questa predisposta dagli stessi C., senza l’ausilio e il controllo dei Ce..

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello hanno proposto ricorso Z. ed C.E., sulla base di un motivo.

Hanno resistito Ce.Ca., Fe., Sa. e Gi., mentre C.A.M. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo, i ricorrenti deducono “violazione e falsa applicazione dell’art. 950 cod. civ., comma 3, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, per contraddittoria ed errata motivazione su di un punto essenziale della controversia”.

Si sostiene che l’art. 950 cod. civ., comma 3, attribuisce valore al confine delineato dalle mappe catastali solo in assenza di altri elementi, e che questi ben avrebbero potuto essere acquisiti se fossero state compiute le ulteriori indagini indispensabili per un’esatta determinazione del confine tra le due proprietà, che a torto non sono state eseguite.

Premettono i ricorrenti che, pur avendo il giudizio avuto una durata anomala, non sarebbe assolutamente vero nè che la porzione di terreno controversa sia poco significativa (quanto meno dal punto di vista commerciale) nè che la sola insistenza dei C. sia la causa della protrazione irragionevole del processo. Sarebbe stata piuttosto “la incomprensibile pervicacia dei consulenti nominati a non voler portare a compimento” le indagini devolute a determinare la richiesta di completare gli accertamenti tecnici. Ed avrebbe errato la Corte d’appello a non disporre le dovute integrazioni dell’accertamento peritale, attesa l’irrilevanza o la non esattezza delle considerazioni su cui essa ha fatto leva (la circostanza che uno dei consulenti nominati avesse ritenuto inutile un’indagine rivolta al sottosuolo; la presunta rinuncia dei C. a che tale accertamento venisse eseguito; il carattere puramente esplorativo dell’accertamento).

2. – Il motivo è inammissibile.

Essendo la sentenza impugnata pubblicata in data 11 maggio 2006, il presente ricorso per cassazione è soggetto, ratione temporis, alla disciplina prevista dall’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6.

Il motivo di ricorso non rispetta la prescrizione prevista, a pena di inammissibilità, dalla citata disposizione del codice di rito.

Il dedotto motivo di violazione e falsa applicazione dell’art. 950 cod. civ., comma 3, non è infatti accompagnato dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronuncia del giudice di legittimità nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito formulato dalla parte.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il quesito deve svolgere una funzione di individuazione della questione di diritto posta alla Corte, sicchè è necessario che tale individuazione sia assolta da una parte apposita del ricorso, a ciò deputata attraverso espressioni specifiche che siano idonee ad evidenziare alla Corte la questione stessa, restando invece escluso che la questione possa risultare da un’operazione di individuazione delle implicazioni della esposizione del motivo di ricorso come prospettato, affidata al lettore di tale esposizione e non rivelata direttamente dal ricorso stesso. Infatti, se il legislatore avesse voluto ammettere tale possibilità, non avrebbe previsto che detta esposizione si concludesse con la formulazione del quesito, espressione che implica palesemente un quid che non può coincidere con essa, ma avrebbe previsto solo che quest’ultima deve proporre un quesito di diritto (Cass., Sez. Un., 16 novembre 2007, n. 23732; Cass., Sez. 3^, 18 luglio 2007, n. 16002; Cass., Sez. 2^, 20 giugno 2008, n. 16941).

Anche la deduzione del vizio di “contraddittoria ed errata motivazione su di un punto essenziale della controversia” non è accompagnata – ancora una volta, in violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. – dal prescritto momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) contenente la chiara illustrazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione di assume omessa, insufficiente o contraddittoria (Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass., Sez. 3^, 7 aprile 2008, n. 8897).

3. – Il ricorso è inammissibile.

Le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

4. – Contrariamente a quanto richiesto dai controricorrenti , non ricorrono le condizioni per l’irrogazione, a carico del soccombente, della pena pecuniaria per ricorso temerario, di cui all’art. 385 cod. proc. civ., comma 4, introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 13.

Come questa Corte ha già statuito (Sez. Un., 11 dicembre 2007, n. 25831), affinchè sussistano le condizioni per l’applicazione dell’art. 385 cod. proc. civ., comma 4, occorre la dimostrazione, eventualmente anche in via indiziaria, che la parte soccombente abbia agito, se non con dolo, con colpa grave, con tale formula intendendosi la condotta consapevolmente contraria alle regole generali di correttezza e buona fede tale da risolversi in un uso strumentale ed illecito del processo, in violazione del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate.

Ora, nella specie, il fatto che i ricorrenti abbiano semplicemente omesso la formulazione del quesito (tra l’altro in un ricorso proposto subito all’indomani dell’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, quando nel ceto forense non vi era ancora piena e diffusa consapevolezza sulle tecniche di redazione del ricorso per cassazione imposte dall’art. 366 bis cod. proc. civ.), non legittima, di per sè, l’applicazione della pena pecuniaria prevista per l’abuso del processo, perchè dal testo del ricorso non risultano elementi tali da evidenziare che quella negligenza sia accompagnata dalla piena cognizione della parte che ha proposto l’impugnazione circa la manifesta infondatezza o pretestuosità del motivo portato a sostegno di essa, ovvero da un grado di imprudenza, imperizia e negligenza palesemente fuori dai canoni normali.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, liquidate in Euro 2.100,00 od di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2010

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