Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.668 del 18/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3756/2009 proposto da:

Q.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIULIA DI COLLOREDO 46/48, presso lo studio dell’avvocato DE PAOLA Gabriele, che lo rappresenta e difende, giusta procura alle liti in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI in persona del Presidente pro tempore e MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrenti –

avverso il decreto R.G. 781/06 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE del 29.6.07, depositato il 18/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/10/2009 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore:

“Il Consigliere relatore, letti gli atti;

Ritenuto in fatto:

Q.M.F. impugna per cassazione, formulando due motivi conclusi da quesiti, il decreto della Corte di appello di Firenze con il quale è stata accolta la sua domanda di equa riparazione per irragionevole durata del processo promosso dinanzi al TAR Toscana per ottenere la riliquidazione del trattamento economico e concluso con sentenza di rigetto dopo sei anni.

La Corte di appello ha accertato che la durata del processo si era protratta per tre anni oltre il termine ragionevole e ha liquidato il danno non patrimoniale in Euro 1.500,00, ossia in Euro 500,00 per anno di ritardo.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Presidenza del Consiglio dei Ministri (che ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva) resistono con controricorso.

Considerato in diritto:

2.- E’ infondata l’eccezione di inammissibilità per tardività del ricorso sollevata dal Ministero resistente, perchè, in difetto di notifica, il decreto, depositato il 18.12.2007, è stato impugnato (con ricorso notificato il 31.1.2009) nel termine annuale, compreso il periodo di sospensione, scadente il 2.2.2009.

Quanto all’eccezione di difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri va per contro rilevato che il ricorrente ha proposto il ricorso per cassazione sia contro la P.D.C.M. che contro il Ministero dell’Economia che appare privo di legittimazione passiva essendogli stata riconosciuta detta legittimazione dalla L. n. 296 del 2006, solo per i procedimenti in tema di equa riparazione instaurati a partire dall’1.1.07, talchè il ricorso va dichiarato inammissibile per il Ministero dell’Economia, trattandosi, nella specie, di ricorso proposto nel 2006 (Sez. 1^, Ordinanza n. 18529 del 2008).

Con i due motivi di ricorso il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 6 e 41 CEDU e L. n. 89 del 2001, art. 2 e vizio di motivazione, lamentando, sostanzialmente, che il parametro minimo di Euro 1.000,00 ad anno di ritardo è stato decurtato senza avere riguardo in concreto alla natura specifica di della controversia.

Non risulta impugnata, per contro, la determinazione della durata irragionevole del processo, sicchè è del tutto irrilevante il richiamo fatto dall’Amministrazione resistente all’innovazione introdotta dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito con L. 6 agosto 2008, n. 133, secondo cui la domanda non è proponibile se nel giudizio davanti al giudice amministrativo, in cui si assume essersi verificata la violazione, non sia stata presentata l’istanza di prelievo ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51. Norma, peraltro, che non può incidere sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti, in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie, restano regolati, secondo il fondamentale principio del tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere (Sez. 1^, Sentenza n. 28428 del 28/11/2008).

Il ricorso nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in relazione alla doglianza formulata, come innanzi sintetizzata, è manifestamente fondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa, affidato al giudice del merito, è segnato dal rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, di tal che è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purchè in misura ragionevole, dalle liquidazioni effettuate da quella Corte in casi simili (Sez. U., Sentenza n. 1340 del 26/01/2004). Non appare ragionevole, per contro, il dimezzamento della misura dell’indennizzo senza alcuna specifica motivazione in ordine alla natura della controversia o ad altra caratteristica della domanda proposta dal ricorrente.

Per questi motivi ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”.

3.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso, non essendo, per contro, condivisibili le argomentazioni svolte dall’Amministrazione in sede di memoria difensiva.

Peraltro, la più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo rende possibile affermare che la presunzione di sussistenza del danno non patrimoniale – salvo che non ricorrano circostanze che permettano di escluderlo -, qualora la parte non abbia allegato, comunque non emergano, elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza di detto danno (costituiti, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura della medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico-patrimoniale dell’istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilità di accoglimento della domanda), l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, imponga una quantificazione che, nell’osservanza della giurisprudenza della Corte EDU, deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo (per i primi tre anni). La fissazione di detta soglia si impone, alla luce delle sentenze sopra richiamate del giudice europeo, in quanto occorre tenere conto del criterio di computo adottato da detta Corte (riferito all’intera durata del giudizio) e di quello stabilito dalla L. n. 89 del 2001 (che ha riguardo soltanto agli anni eccedenti il termine di ragionevole durata), nonchè dell’esigenza di offrire di quest’ultima un’interpretazione idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine di detta L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con la norma della CEDU, come interpretata dalla Corte di Strasburgo.

Ravvisandosi le condizioni per la decisione della causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., dovendosi quantificare il periodo di eccessiva durata del processo in tre anni, tenuto conto dei criteri per la liquidazione del danno non patrimoniale stabiliti dalla CEDU, l’indennizzo va liquidato nella misura di Euro 2.250,00, con gli interessi dalla domanda.

Le spese del giudizio vanno poste a carico della parte soccombente e vanno liquidate come in dispositivo, secondo le tariffe vigenti ed i conseguenti criteri di computo costantemente adottati da questa Corte per cause similari.

Spese distratte.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 2.250,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 311,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. De Paola antistatario;

e per il giudizio di legittimità, che determina per l’intero in Euro 665,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. De Paola antistatario.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2010

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