Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.676 del 19/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. PAPA Enrico – Presidente di sezione –

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente di sezione –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

FONDEDILE COSTRUZIONI S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (*****), in proprio e nella qualita’ di mandataria dell’ATI Fondedile, Icla, Coimpre, Savarese Costruzioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DONATELLO 75, presso lo studio degli avvocati DI FALCO DOMENICO, CAPPONI BRUNO, che la rappresentano e difendono, per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AUTORITA’ PORTUALE DI ***** (*****), in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ZANARDELLI 20, presso lo studio dell’avvocato ALBISINNI LUIGI, rappresentata e difesa dall’avvocato SPAGNA MICHELE, per procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

per revocazione della sentenza n. 28345/2008 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, depositata il 28/11/2008;

uditi gli avvocati Bruno CAPPONI, Michele SPAGNA;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/12/2009 dal Consigliere Dott. SALVAGO Salvatore.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con lodo del 22 ottobre 2001, il Collegio Arbitrale adito dalla s.r.l. Fondedile Costruzioni, aggiudicataria di un terminal per container nel Porto di *****, in seguito ad una controversia insorta con la committente Autorita’ portuale di *****, che dapprima in data 1 dicembre 1999 aveva disposto la sospensione dei lavori,e con successivo provvedimento del 14 febbraio 2000 aveva comunicato il recesso del contratto di appalto a norma del D.P.R. n. 252 del 1998, art. 11:

a) dichiaro’ la giurisdizione del Giudice amministrativo sulla domanda di risarcimento dei danni derivanti dal recesso dell’amministrazione;

b) dichiaro’ inammissibili le pretese collegate alle riserve formulate prima di un accordo transattivo stipulato tra le parti il 17 marzo 1998, con cui all’impresa era stata riconosciuta tra l’altro la revisione prezzi;

c) riconobbe le pretese ricollegate ad alcune delle riserve successive alla transazione in particolare, disattendendo l’eccezione di difetto di giurisdizione al riguardo,nonche’ il risarcimento dei danni per la sospensione dei lavori disposta l’1 dicembre 1999 prima del recesso, liquidandoli in L. 375.281.616, oltre rivalutazione e interessi.

In parziale accoglimento dell’impugnazione della Fondedile, la Corte di appello di Napoli,con sentenza del 22 maggio 2005,le riconobbe anche talune delle pretese dichiarate inammissibili dagli Arbitri e rigetto’ l’appello incidentale con cui l’Autorita’ portuale insisteva per il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

Le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza 28 marzo 2008 n. 28345 hanno invece accolto tale ultima eccezione dell’Autorita’ portuale riproposta con il quinto motivo del ricorso e cassato la sentenza, perche’ la facolta’ di recesso prevista dal menzionato D.P.R. n. 252 del 1998, art. 11, comma 2, costituisce espressione di un potere autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del contraente,il cui esercizio e’ consentito anche nella fase della sua esecuzione; e che a differenza del recesso previsto dalla L. n 2248 del 1865, art. 345, all. F,giustificato da inadempimenti contrattauali, e’ estraneo alla sfera del diritto privato.

La s.r.l. Fondedile, ora in liquidazione,ha proposto ricorso per revocazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria; cui resiste l’Autorita’ portuale di ***** con controricorso. E’ stata depositata relazione in data 1 ottobre 2009 ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. che ha concluso per la ricorrenza di un’ipotesi di manifesta infondatezza del ricorso ex art. 375 c.p.c., n. 5.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il ricorso che si articola in tre motivi, la soc. Fondedile, deduce che la sentenza 28345 e’ incorsa in un errore di fatto ex art. 395 c.p.c., per avere dichiarato la giurisdizione di legittimita’ del giudice amministrativo sull’intera controversia: 1) nonostante dagli atti di causa risultava che la parte ricorrente l’avesse sollevata soltanto con il 5 motivo,limitatamente all’esercizio della facolta’ di recedere di cui al D.P.R. n. 252 del 1998, art. 11 con esclusivo riferimento alla sospensione dei lavori disposta dall’1 dicembre 1999 al 13 febbraio 2000; 2) malgrado era del tutto incontroverso che tutte le pretese dedotte dalle parti dipendessero dal recesso esercitato dall’amministrazione e cioe’ da un atto intervenuto nel corso dell’esecuzione del contratto, percio’ devoluta al giudice ordinario; 3)nonostante il giudizio arbitrale fosse stato instaurato con domanda notificata il 13 aprile 2000, in data antecedente all’entrata in vigore della L. n. 205 del 2000 che ha modificato la L. n. 1034 del 1971, art. 7 attribuendo al giudice amministrativo anche le controversie relative al risarcimento del danno.

Il ricorso e’ inammissibile difettando tutti i presupposti per configurare l’errore di fatto prospettato dalla societa’, quale ipotesi di revocazione, previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4. Come, infatti si legge nella menzionata relazione ex art. 380 bis c.p.c. e il Collegio condivide anche per l’assenza di osservazioni contrarie delle parti, la giurisprudenza di questa Corte (invocata dalla stessa ricorrente nell’ambito del terzo profilo della censura: pag. 134 – 136), e’ del tutto consolidata nel ritenere che l’errore di fatto che puo’ dare luogo alla revocazione di una sentenza emessa dalla Corte di cassazione consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa, sostanziantesi nella affermazione o supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto la cui verita’ risulti, invece, in modo indiscutibile, esclusa o accertata in base al tenore degli atti o dei documenti di causa, sempre che il fatto, oggetto dell’asserito errore, non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito. E che l’errore, appaia di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilita’, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche: non potendo, per converso consistere, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, poiche’ in tal caso, si verte nella ipotesi dell’errore di giudizio (fra le tante cfr. Cass. 23856/2008; 10637/2007; 7469/2007; 3652/2006;

13915/2005; 8295/2005).

1) Per queste ragioni, con riguardo al primo profilo,la menzionata giurisprudenza di legittimita’ ha ritenuto inconcepibile una domanda di revocazione della sentenza di legittimita’ che si fondi sull’omessa percezione o sull’erronea valutazione di un motivo di ricorso, osservando che non e’ possibile confondere l’errata valutazione del contenuto del motivo di ricorso con l’errore di fatto revocatorio: avendo ciascun vizio caratteristiche e presupposti del tutto differenti. Invero, un motivo di ricorso o, addirittura, un ricorso stesso non puo’ essere considerato un “fatto”, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 cosi’ come l’omessa o erronea pronunzia su un motivo o, addirittura, su un intero ricorso non puo’ essere considerato un “errore”, ai sensi e per gli effetti della medesima norma citata.

E d’altra parte l’errore denunciato non si concreta in una falsa percezione di un fatto o della realta’ documentale da parte del giudice di legittimita’, ma, secondo la stessa prospettazione della ricorrente in una erronea interpretazione e valutazione del 5 motivo del ricorso, asseritamente rivolto ad eccepire il difetto di giurisdizione limitatamente all’esercizio della facolta’ di recesso dell’autorita’ portuale,con esclusivo riferimento alla disposta sospensione dei lavori che l’aveva preceduta;ed invece erroneamente esteso dalle Sezioni Unite anche alle altre pretese della societa’ derivanti dall’esecuzione del contratto di appalto, gia’ riconosciute dai giudici di merito. Per cui, il denunciato errore, alla luce della ricordata giurisprudenza, non risponde al modello legale dell’errore revocatorio, bensi’, in via di mera ipotesi, configura un errore di interpretazione e valutazione giuridica, non denunciabile in questa sede, circa il contenuto delle norme processuali e circa gli obblighi di indagine che ne derivavano per il giudice.

Senza considerare che la relativa questione ha costituito un punto controverso sulla quale la sentenza si e’ pronunciata, dichiarando espressamente di estendere la statuizione (peraltro, il difetto di giurisdizione sulla domanda di risarcimento del danno derivante dal recesso era stato gia’ dichiarato dal lodo arbitrale) su tutte le pretese della societa’ per due distinte ragioni: a) perche’ la ricorrente Autorita’ portuale l’aveva sollevata in relazione certamente alla dedotta illegittimita’ della sospensione dei lavori precedente il recesso e alla conseguente pretesa risarcitoria degli appaltatori. Ma anche con riferimento all’intera controversia conseguente al recesso della pubblica amministrazione, come si desume conclusivamente dal quinto quesito di diritto, laddove si deduce appunto il difetto di giurisdizione con riferimento al giusto procedimento promosso con atto n. 189 del 26 novembre 1999" (pag. 6);

b) perche’ siccome “il recesso comporta che l’amministrazione sia tenuta esclusivamente al pagamento delle opere gia’ realizzate, oltre al rimborso delle spese nei limiti dell’arricchimento dell’appaltante, ne consegue che l’intera controversia sui rapporti tra le parti deve essere devoluta al Giudice amministrativo (pag. 8 – 9).

2) Quest’ultima ratio decidendi dimostra altresi’ l’inconsistenza del secondo profilo,con cui la Fondedile, senza tenerla in alcun conto, vi ha contrapposto per converso tutta la giurisprudenza delle Sezioni Unite formatasi in tema di riparto di giurisdizione nel contratto di appalto di opere pubbliche, incentrata sulla regola che al giudice amministrativo spettino soltanto le controversie che insorgano nella fase di scelta del contraente;che lo spartiacque tra le due giurisdizioni e’ costituito dalla stipula del contratto quale momento iniziale della fase di esecuzione; e che tutti gli accadimenti intervenuti nella conseguente fase in cui l’appalto e’ in executivis (quale appunto il recesso di cui al D.P.R. n. 252 del 1998, art. 11) sono attratti nella giurisdizione ordinaria. Per cui la censura si concreta e si esaurisce non gia’ nella denuncia di una svista da parte della sentenza 28345, ma nella manifestazione di netto dissenso in relazione al principio di diritto dalla stessa enunciato sulla scia della precedente decisione 21928/2008 che “che la facolta’ di recesso prevista dal D.P.R. n. 252 del 1998, art. 11, comma 2, e’ espressione di un potere autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del contraente, il cui esercizio e’ consentito anche nella fase di esecuzione del contratto”, benche’ attenga alla scelta stessa del contraente. Sicche’ “tale potere e’ estraneo alla sfera del diritto privato”, perche’ “a differenza del recesso previsto dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 345, all. F”, non e’ giustificato da inadempienze contrattuali, ma e’ destinato a evitare che i soggetti pubblici indicati nel D.P.R. n. 252 del 1998, art. 1, abbiano rapporti contrattuali con imprese nei cui confronti emergano sospetti di collegamenti con la criminalita’ organizzata, eventualmente segnalati dalla prefettura competente” (pag. 6). E la ricorrente chiede a questa Corte di ripristinare invece il principio recepito dalla Corte di appello che il contratto risultava comunque risolto per avveramento di una condizione risolutiva inerente all’accordo transattivo del *****, con conseguente sopravvivenza di tutti i corrispettivi e le riserve precedenti: principio dichiarato espressamente erroneo dalle Sezioni Unite (pag. 6), che hanno altresi’ specificato le ragioni per le quali la risoluzione doveva, invece, essere dichiarata “per l’esercizio di un potere autoritativo della p.a.” Per cui, anche questo profilo denuncia esclusivamente un errore di diritto,estraneo all’area di applicazione dell’art. 395 c.p.c. come finisce per riconoscere la stessa impresa nella parte conclusiva della censura con l’addebito alla sentenza di avere “sovvertendo un orientamento invalso da decenni,travolto l’intera controversia,ed in particolare posto nel nulla decisioni di merito relative a pretese di valore superiore ad Euro 1.725.044,061…”.

3) Il terzo profilo, infine, trae origine da un’erronea lettura e comprensione del contenuto della sentenza impugnata, muovendo la stessa proprio dal presupposto invocato dall’impresa,che la controversia ha avuto inizio prima della L. n. 205 del 2000,e che dunque non erano applicabili ne’ i nuovi criteri di riparto per materia in tema di appalti introdotti da quest’ultima, ne’ le modifiche dalla stessa apportate alla L. n. 1034 del 1971, art. 7 che ha attribuito al giudice amministrativo adito in sede di legittimita’, di conoscere anche dei diritti patrimoniali consequenziali. Per tale ragione ha quindi applicato il criterio di riparto previgente, fondato esclusivamente sulla consistenza della posizione dell’appaltatore, nonche’ sul principio che la stessa vada individuata in base alla causa petendi (o petitum sostanziale); e percio’ concluso che “la posizione dell’appaltatore e’ di interesse legittimo sia nei confronti del potere di recesso o di revoca previsto dal D.P.R. n. 252 del 1998, art. 11, comma 2, sia in relazione al provvedimento cautelare di sospensione dei lavori in funzione della definitiva decisione sui presupposti del recesso” (pag. 8): percio’ solo devoluta alla giurisdizione amministrativa in base alla disciplina antecedente,nella quale non avevano alcuna rilevanza le pretese (nel caso risarcitorie), oggetto del petitum, idoneo ad indicare soltanto cio’ che puo’ chiedersi al giudice effettivamente munito di giurisdizione.

Ed allora anche questo profilo si traduce in un sostanziale dissenso su quest’ultimo principio,cui l’impresa contrappone quello opposto incentrato sulla decisivita’ delle richieste in questione per dedurne la loro inerenza alla fase esecutiva del rapporto; e cosi’ poter riproporre le considerazioni formulate nel secondo motivo “sulla regula iuris che governa l’esecuzione del contratto pubblico”, comportante comunque, secondo il suo assunto, l’attrazione delle relative controversie nella giurisdizione ordinaria: nel caso disattesa dalle Sezioni Unite. Alle quali, in alternativa all’intendimento di voler “sovvertire un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato” (nuovamente ribadito), la ricorrente concede la possibilita’ di un’errata percezione del fatto processuale; che neppure in tale contesto puo’ configurare un errore di fatto, dovendo lo stesso, per quanto si e’ detto, apparire invece di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilita’, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche; e non potendo, consistere per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento, peraltro dedotto in via di mera ipotesi, delle risultanze processuali, poiche’ anche in tal caso si verte nella fattispecie dell’errore di giudizio.

Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della soccombente soc. Fondedile al pagamento delle spese processuali,che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore dell’Autorita’ portuale in complessivi Euro 8.200,00 di cui Euro 8.000,00 per onorario di difesa.

Cosi’ deciso in Roma, il 1 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010

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