LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –
Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –
Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 982/2005 proposto da:
D.N.Q., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBALONGA 7, presso lo studio dell’avvocato PALMIERO CLEMENTINO, rappresentato e difeso dall’avvocato DE NOTARIIS Giovanni giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
e contro
PROTEX SPA;
– intimata –
sul ricorso 816/2005 proposto da:
PROTEX SPA, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, Ing. S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RUGGERO FAURO 4 3, presso lo studio dell’avvocato PETRONIO UGO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DI GIOVANNI MARIO giusta delega a margine del controricorso con ricorso incidentale;
– ricorrente –
e contro
D.N.Q.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 190/2004 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, Sezione Civile, emessa il 9/6/2004, depositata il 30/06/2004; R.G.N. 92/2002;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 10/11/2009 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;
udito l’Avvocato Ugo PETRONO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’assorbimento del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’iter processuale può essere così ricostruito sulla base della sentenza impugnata.
Con atto dell’11 dicembre 1996 D.N.Q. proponeva opposizione all’esecuzione immobiliare iniziata nei suoi confronti da Protex s.p.a., sulla base di un decreto ingiuntivo emesso il 27 marzo 1996 dal Tribunale di Forlì.
Sosteneva che il provvedimento monitorio non gli era mai stato notificato e che, in ogni caso, esso era stato emesso nei confronti di C.A.N.R.C. (Centro Applicazioni Nucleari e Controlli) s.d.f.. Nel merito contestava il quantum della somma pretesa dalla controparte.
Protex s.p.a., costituitasi in giudizio, eccepiva l’inammissibilità del mezzo di tutela azionato.
Il Tribunale di Larino, pronunciando in data 21 gennaio 2002, rigettava l’opposizione.
Proponeva gravame il soccombente, ma la Corte d’appello di Campobasso, con sentenza del 30 giugno 2004, lo respingeva.
In motivazione il giudicante, esaminando i pretesi vizi della notifica del decreto ingiuntivo, che avrebbero dovuto determinarne l’inesistenza, osservava, per quanto qui interessa, che irrilevante era la mancata specificazione se l’avviso al destinatario del deposito del piego presso l’ufficio postale fosse stato affisso ovvero immesso nella cassetta della corrispondenza, potendo, da tale indicazione, prescindersi, alla luce di condivisibili enunciati del Supremo Collegio (confr. Cass. n. 1224 del 1999). Aggiungeva che il deposito del plico era oggetto di una presunzione assoluta di conoscenza stabilita dalla legge, con conseguente irrilevanza del mancato sbarramento della relativa casella, mentre la circostanza che si trattasse di quello di ***** emergeva sicuramente dall’avviso.
Quanto alla pretesa, mancata specificazione del periodo di giacenza, rilevato che sull’avviso di ricevimento e sulla busta di ritorno del piego erano presenti tutti i dati necessari, evidenziava che, in ogni caso, il direttore dell’ufficio aveva attestato e che l’avviso era stato immesso in cassetta e che la restituzione era avvenuta dopo oltre dieci giorni di compiuta giacenza. Peraltro l’eventuale omissione di tali indicazioni integrava una ipotesi di mera nullità e non di inesistenza della notifica.
Esaminando poi le doglianze relative alla impossibilità di identificare la persona fisica del D.N. con la persona giuridica C.A.N.R.C., osservava il giudice d’appello che dalla prodotta certificazione della C.C.I.A. di Forlì, in data 26 febbraio 1997, risultava che C.A.N.R.C. era un’impresa individuale del D. N., ubicata all’indirizzo di residenza del medesimo, e cioè alla *****, poscia diventata, per variazione toponomastica, *****.
Nè poteva essere accolta la richiesta di conversione dell’opposizione alla esecuzione in opposizione tardiva, ex art. 650 cod. proc. civ., vuoi in quanto intempestiva, essendo stata avanzata solo nella comparsa conclusionale di prime cure, vuoi in quanto proposta ben oltre il termine previsto dalla norma codicistica innanzi richiamata. E tanto a prescindere dal rilievo che, in ogni caso, l’opposizione ex art. 650 cod. proc. civ., sarebbe stata di competenza del Tribunale di Forlì, e cioè di un giudice diverso da quello innanzi al quale era radicata l’opposizione alla esecuzione.
In siffatta statuizione – precisava infine il giudice d’appello – restava assorbita la questione relativa alla mancata ammissione delle prove testimoniali, non potendo essere rimesso in discussione il giudicato formatosi sul non opposto provvedimento monitorio.
Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione D.N. Q. formulando sette motivi.
Resiste con controricorso Protex s.p.a., che propone altresì ricorso incidentale affidato a due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi proposti da D.N.Q. e da Protex s.p.a. avverso la stessa sentenza.
1.1 Si premette che la numerazioni dei motivi di ricorso viene variata, rispetto a quella seguita nell’atto di impugnazione, per ragioni di ordine logico e di chiarezza espositiva.
Col primo motivo l’impugnante denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, artt. 1 e 8 e art. 145 cod. proc. civ., nonchè mancanza e insufficienza della motivazione, per non avere la Corte territoriale esaminato la censura relativa alla omessa specificazione, nella ricevuta di ritorno, delle ragioni della mancata consegna del plico al destinatario (se per rifiuto di riceverlo, ovvero per temporanea assenza dello stesso), nonchè dell’attività compiuta, nell’occorrenza, dall’agente postale, e cioè affissione alla porta ovvero immissione dell’avviso in cassetta. Sostiene che nessuna rilevanza probatoria poteva attribuirsi all’attestazione di un impiegato delle poste, e cioè di un ente a carattere privatistico.
Avrebbe altresì errato il giudice di merito nel ritenere irrilevante il mancato sbarramento della casella volta ad attestare il deposito del piego presso l’ufficio, trattandosi di adempimento essenziale e indefettibile, che non poteva presumersi, mentre del tutto illogica era l’affermazione secondo cui l’ufficio ove andava ritirato il plico non poteva essere che quello di *****. Illegittima era infine la ritenuta insignificanza della mancata specificazione del periodo di giacenza.
1.2 Col secondo mezzo il ricorrente lamenta falsa applicazione dell’art. 1418 cod. civ., nonchè mancanza, insufficienza e illogicità della motivazione, con riferimento alla affermata insussistenza di un’ipotesi di inesistenza della notifica, in contrasto con ripetuti enunciati del giudice di legittimità in casi di omessa menzione delle formalità di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 8.
1.3 Col terzo motivo il D.N. deduce violazione dell’art. 1145 cod. civ., art. 43 cod. proc. civ., nonchè della L. n. 1128 del 1954, art. 24, relativamente al capo della sentenza che, sulla base del certificato della camera di Commercio di Forlì Cesano, aveva identificato la sede del C.A.N.R.C., con la residenza del D. N., localizzando entrambe in *****, ora *****. Sostiene che la prodotta certificazione era priva di efficacia probatoria, riflettendo essa solo la dichiarazione a suo tempo resa dalla parte, laddove l’opponente aveva dimostrato che il Centro, alla data della notifica e da molti anni, aveva in realtà sede in altra strada del Comune di ***** e che tale indirizzo era indicato sia negli elenchi telefonici che nella corrispondenza intercorsa con Protex.
1.4 Col quarto mezzo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 650 cod. proc. civ., nonchè illogicità e contraddittorietà della motivazione, con riferimento alla ritenuta competenza del Tribunale di Forlì a decidere sulla opposizione tardiva, senza considerare che il Tribunale di Larino avrebbe dovuto fissare alle parti un termine per la riassunzione, spettando solo al giudice competente la decisione sulla ritualità e tempestività del mezzo azionato.
1.5 Col quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 184 cod. proc. civ., sotto il profilo che, a seguito dell’accoglimento del ricorso, doveva essere oggetto di riconsiderazione il motivo di gravame volto a denunciare la mancata ammissione della prova per testi, ritenuto assorbito nella statuizione di rigetto dell’opposizione.
1.6 Col sesto mezzo l’impugnante sostiene l’illegittimità del capo della sentenza relativo alla condanna al pagamento delle spese di lite, le quali avrebbero dovuto essere quanto meno compensate, in un quadro giurisprudenziale caratterizzato, in relazione a vari profili delle proposte censure, da orientamenti contrapposti del Supremo Collegio.
1.7 Con l’ultimo motivo, infine, rappresenta il D.N., con articolate argomentazioni, l’infondatezza nel merito dell’avversa pretesa.
2.1 Passando quindi all’esposizione del contenuto dei due motivi del ricorso incidentale, con il primo Protex s.p.a. deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 342 e 346 cod. proc. civ., nonchè omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Rileva che innanzi alla Corte territoriale l’appellata aveva preliminarmente eccepito l’inammissibilità del proposto gravame e la sua conseguente nullità per difetto di conclusioni e domande specifiche, essendosi l’appellante limitato a richiamare quelle rassegnate nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, senza riformularle e che su tale eccezione il giudice a quo aveva omesso di pronunciarsi.
2.2 Con il secondo mezzo Protex s.p.a. deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 342, 345 e 346 cod. proc. civ., nonchè violazione del giudicato interno. Evidenzia che nel giudizio di primo grado il ricorrente aveva esposto i rilievi relativi alla pretesa inesistenza della notifica del decreto ingiuntivo solo negli scritti conclusionali, mentre nella citazione in appello si era lamentato unicamente della mancata sottoscrizione, da parte dell’agente, del periodo di giacenza, in violazione della L. n. 89 del 1982, art. 8.
Erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto tale comportamento processuale non ostativo all’ammissibilità della deduzione dell’inesistenza della notifica, espressamente evidenziando la rilevabilità d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, di tali questioni.
Così argomentando la Corte territoriale avrebbe violato i principi in materia di giudicato interno. Riportati ampi stralci della sentenza del Tribunale di Larino, evidenzia il ricorrente che tutte le problematiche prese in esame dalla Corte d’appello, benchè non oggetto di specifiche censure, erano state esaminate dal giudice di primo grado che aveva segnatamente escluso qualsivoglia ipotesi di inesistenza della notificazione del decreto ingiuntivo, da tanto argomentando che gli asseriti vizi della stessa (ivi compresi quelli importanti nullità), dovevano essere fatti valere col mezzo di cui all’art. 650 cod. proc. civ..
3.1 Ragioni di ordine logico impongono di partire dall’esame delle doglianze formulate nel ricorso incidentale, in quanto logicamente preliminari alle critiche svolte nell’impugnazione principale.
I motivi sono entrambi inammissibili.
Mette conto anzitutto precisare che, per giurisprudenza assolutamente consolidata di questa Corte – che deve qui ulteriormente ribadirsi – la decisione del giudice d’appello che non esamini e non decida un motivo di censura della sentenza del giudice di primo grado è impugnabile per cassazione non già per omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia e neppure per motivazione per relationem resa in modo difforme da quello consentito, bensì per omessa pronuncia su un motivo di gravame, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 4.
In altri termini, la omessa pronuncia, quale vizio della sentenza, deve essere fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., e non già con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in quanto tali ultime censure presuppongono che il giudice di merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione assunta al riguardo (in termini, ad esempio, Cass. civ. 4 giugno 2007 n. 12952; Cass. civ. 14 febbraio 2006, n. 3190).
Pacifici, in diritto, i principi innanzi esposti, il ricorrente, che ha prospettato il vizio esclusivamente sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 342 e 346 cod. proc. civ., nonchè dell’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, è evidentemente incorso nella sanzione processuale dell’inammissibilità.
3.2 Quanto al secondo motivo, ritiene il Collegio che la censura sia affatto inappagante, con riguardo al criterio dell’autosufficienza, desumibile dall’art. 366 cod. proc. civ..
In base a tale norma, invero, il ricorso per cassazione deve contenere tutte le allegazioni, eccezioni ed elementi di fatto e di diritto necessari per illustrare alla Corte regolatrice le doglianze del ricorrente e le ragioni per le quali si chiede la cassazione della pronuncia gravata, non essendo possibile il rinvio a fonti estranee allo stesso ricorso e quindi ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito.
Nella fattispecie, a fronte della indiscutibile pertinenza del nucleo centrale dei motivi di gravame ai vizi del procedimento notificatorio, era onere del deducente riportare gli esatti termini delle censure dell’appellante, al fine di dimostrare come la loro prospettazione fosse in termini di irregolarità, ovvero di nullità della notifica, e non di inesistenza.
Invece il ricorrente incidentale sembra affidare l’esito positivo dello scrutinio del proposto motivo esclusivamente alle criptiche deduzioni del giudice di merito sulle argomentazioni ulteriori nelle quali si articolerebbe il primo motivo di gravame, ancorchè non espressamente richiamate nell’atto di appello, e cioè a deduzioni della sentenza gravata che nulla chiariscono e che men che mai consentono un vaglio della fondatezza del mezzo, senza l’accesso a fonti esterne allo stesso ricorso.
4.1 Passando quindi all’esame del ricorso principale, preliminari ed assorbenti sono i rilievi che seguono.
In base all’attuale assetto normativo, per come ricostruito dal diritto vivente e non privo di una sua interna coerenza, di fronte alla minaccia dell’esecuzione coattiva in forza di decreto d’ingiunzione dichiarato esecutivo per mancata opposizione, l’ingiunto, che sostenga l’inesistenza della notificazione del decreto stesso, e cioè deduca che nei suoi riguardi non è mai stata eseguita un’operazione di notificazione giuridicamente qualificabile come tale, può proporre, fintanto che il processo esecutivo non si sia concluso, opposizione all’esecuzione forzata ex art. 615 cod. proc. civ.. Qualora, viceversa, l’ingiunto deduca un vizio della notificazione non riconducibile alla categoria dell’inesistenza, l’unico rimedio praticabile è l’opposizione tardiva ex art. 650 cod. proc. civ., che è proponibile soltanto entro il termine di cui al comma 3 della predetta norma, e cioè non oltre dieci giorni dal primo atto di esecuzione (Cass. civ. 3^, 7 luglio 2009, n. 15892;
Cass. civ., 3^, 14/06/1999, n. 5884; Cass. civ. 3^, 24 ottobre 2008, n. 25737).
Peraltro, in tanto è possibile parlare di inesistenza della notifica, in quanto questa sia stata eseguita in luoghi o nei confronti di persone non aventi alcuna relazione con il destinatario perchè a lui totalmente estranei, laddove la notificazione è nulla o semplicemente irregolare allorchè sia stata effettuata in un luogo o a persona che, pur diversi da quelli indicati dalla legge (art. 139 cod. proc. civ.), abbiano comunque con il destinatario un collegamento (confr. Cass. civ., 3^, 24 ottobre 2008, n. 25737).
Ora, proprio la tipologia dei denunciati vizi del procedimento notificatorio – illustrati prevalentemente nel primo e nel secondo motivo di ricorso, ma diffusamente richiamati anche negli altri – è tale da rendere improponibile la prospettazione di una estraneità alla sfera del destinatario dei luoghi in cui esso è stato eseguito o delle persone nei cui confronti le attività comunicative sono state portate a compimento: tutti tali vizi, la cui esistenza è stata peraltro ampiamente confutata dal giudice di merito, si sostanziano infatti in mere irregolarità formali, se non grafiche dell’avviso, e si pongono al più nell’area della nullità.
4.2 Con specifico riguardo, poi, alle critiche formulate nel terzo mezzo, esse sono prive di pregio a sol considerare che la ditta individuale non è un soggetto distinto dal suo titolare ma si identifica con lo stesso, sia sotto l’aspetto sostanziale che sotto quello processuale e che è irrilevante, ai fini della legittimazione attiva e passiva, che l’impresa venga indicata facendo ricorso alla ditta o al nome del suo titolare (Cass. civ., 5^, 11 gennaio 2006, n. 309). In tale prospettiva del tutto inconferenti sono le deduzioni relative alla sede effettiva di Protex, pretesamente diversa da quella risultante dall’iscrizione presso la Camera di commercio, perchè in ogni caso, e a tacer d’altro, neppure viene contestata la correttezza della residenza anagrafica del D.N., titolare della ditta.
4.3 Infondato è altresì il quarto motivo di ricorso.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’opposizione alla esecuzione impropriamente proposta dall’ingiunto il quale deduca che, a causa dell’irregolarità della notifica del decreto ingiuntivo, non ha di quest’ultimo avuto conoscenza, non può convertirsi in opposizione tardiva al medesimo decreto ove non ricorrano tutti i presupposti di cui all’art. 650 cod. proc. civ. (Cass. civ., 3^, 9 luglio 2008, n. 18847). Ma nella fattispecie il giudice di merito ha specificamente segnalato e che la richiesta di conversione era stata avanzata solo nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, e che l’esperibilità del mezzo di cui all’art. 650 cod. proc. civ., era comunque preclusa in quanto proposta ben oltre il termine previsto dalla norma codicistica innanzi richiamata. E tali rilievi neppure sono stati oggetto di censura. Nè è corretto affermare che il giudice adito, affermata l’improponibilità del mezzo di tutela azionato, doveva fissare alle parti un termine per l’attivazione, davanti all’organo giudiziario funzionalmente e territorialmente competente, dello strumento processuale in tesi praticabile, secondo un meccanismo analogo a quello delineato nel comb. disp. degli artt. 44, 49 e 50 cod. proc. civ.. Nessuna norma infatti nè gli consentiva, nè gli imponeva una tale pronuncia, certamente esorbitante dai limiti dell’istituto generale della conversione dell’atto nullo di cui all’art. 159 cod. proc. civ., che, in difetto di specifiche indicazioni normative, era l’unico istituto operativo nella fattispecie.
4.4 Nel rigetto delle censure formulate nei primi quattro motivi di ricorso restano assorbite quelle svolte nel quinto e nel settimo, incentrate sulla pretesa insussistenza del credito azionato in via monitoria.
4.5 Infine neppure è fondata la denuncia di illegittimità del capo della sentenza relativo alla condanna al pagamento delle spese di giudizio.
E invero, se il potere discrezionale del giudice di merito in ordine alla ripartizione degli oneri economici del processo trova un limite nel divieto di condannare anche parzialmente al loro pagamento la parte totalmente vittoriosa – nel che si sostanzia il principio della soccombenza – e nel dovere di rispettare la logica nella motivazione, ove una motivazione sia espressamente enunciata sul punto (confr.
Cass. civ. 2 luglio 2008, n. 18173; Cass. civ. 10 giugno 1997, n. 5174), non par dubbio che la decisione adottata in parte qua dal giudice di merito, lungi dal costituire violazione dei criteri dettati dagli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., ne rappresenta coerente e ragionata applicazione.
Deriva da tutto quanto fin qui detto che, mentre il ricorso principale deve essere rigettato, va dichiarato inammissibile quello incidentale.
L’esito complessivo del giudizio consiglia di compensare integralmente le spese tra le parti.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010