Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.693 del 19/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. URBAN Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via F. S.

Nitti n. 11, presso lo studio dell’avv. Napoletano Paolo, rappresentata e difesa dall’avv. Capotorto Cesare giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.M., elettivamente domiciliato in Roma Via di Pietralata n. 320, presso lo studio dell’avv. Mazza Ricci Gigliola, rappresentato e difeso dall’avv. Carella Massimo per delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1121/04 della Corte d’ Appello di Bari in data 28 maggio 2003, pubblicata il 10 dicembre 2004;

Udita la relazione del Consigliere Dott. URBAN Giancarlo;

udito il P.M. in persona del Cons. Dott. RUSSO Alberto Libertino che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Foggia depositato l’8 settembre 2000 P.M. esponeva:

che con atto per notaio Ritondale del ***** aveva ricevuto in donazione la nuda proprieta’ del fondo rustico in *****, meglio descritto in atti, da T.C., il quale aveva riservato l’usufrutto vitalizio a se’ ed alla moglie, C.C.; che il T. e la C. con contratto dell'***** avevano concesso il fondo in affitto a G.M.; che il T. e la C. erano deceduti rispettivamente il *****; che, consolidatosi l’usufrutto in capo ad essa ricorrente e non potendo la durata del contratto superare il quinquennio dall’estinzione dell’usufrutto, ex art. 999 c.c., il rapporto di affitto in corso con il G. sarebbe scaduto al 10 novembre 2001;

che con raccomandata del 26/30 giugno 2000 aveva intimato disdetta al G., chiedendo il rilascio del fondo per il 10 novembre 2001;

che aveva inutilmente attivato la procedura per il tentativo obbligatorio di conciliazione davanti all’IPA, espletato il 27 luglio 2000.

Tanto premesso, la P. chiedeva dichiararsi cessato il contratto di affitto al 10 novembre 2001 o alla diversa data ritenuta per legge e condannarsi il G. a rilasciare il fondo.

Si costituiva il G., chiedendo il rigetto della domanda e spiegando domanda riconvenzionale per la condanna della P. al pagamento della somma di L. 20.225.303, oltre accessori, a titolo di ripetizione di quanto versato in eccesso rispetto alla misura legale nel corso di tutto il rapporto d’affitto.

Con sentenza parziale del 26 ottobre 2001 il Tribunale adito rigettava la domanda di cessazione del contratto di affitto al 10 novembre 2001, disponendo con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio in ordine alla domanda riconvenzionale spiegata dal G..

Avverso tale sentenza interponeva appello P.M., censurando l’applicabilita’ della disciplina in tema di durata minima dei contratti agrari ai contratti conclusi dall’usufruttuario;

rilevava che in ogni caso, essendo stata richiesta, sia pure gradatamente, la cessazione del contratto alla scadenza ritenuta per legge, il giudice a quo avrebbe dovuto quantomeno dichiarare che il contratto andava a scadere al 10 novembre 2007, come peraltro affermato nella parte motiva della sentenza, pronunciando condanna al rilascio per tale data.

La Corte di Appello di Bari, con sentenza del 10 dicembre 2004, dichiarava cessato il contratto d’ affitto al 10 novembre 2007 e condannava G.M. al rilascio del fondo entro tale data;

dichiarava la compensazione delle spese.

Propone ricorso per Cassazione P.M. con unico, articolato motivo.

Resiste con controricorso G.M..

MOTIVI DELLA DECISIONE

La ricorrente denuncia con l’unico motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 999 c.c. dell’art. 15 preleggi e della L. n. 203 del 1982, artt. 1, 45 e 58 nonche’ l’insufficiente e contraddittoria motivazione: la legge del 1982 non puo’ essere interpretata come norma vincolistica e deve essere armonizzata con quanto prevede l’art. 999 c.c., che non ha subito modificazioni o abrogazione per effetto della legge del 1982.

La censura e’ fondata.

Questa Corte, dopo alcune pronunce di segno contrario (ampiamente citate nella sentenza impugnata), ha ritenuto la applicabilita’1 della norma di cui all’art. 999 c.c., nella parte in cui prevede la non opponibilita’ al nudo proprietario di un contratto di affitto di durata superiore ai cinque anni, stipulato ai sensi della L. 3 maggio 1982, n. 203 (Cass. 25 luglio 2003 n. 11561; lo stesso principio e’ stato esteso anche al regime delle locazioni: Cass. 10 aprile 2008 n. 9345; Cass. 20 marzo 2008 n. 7485). Tale orientamento, che appare del tutto condivisibile, richiama il principio secondo il quale il nostro ordinamento non prevede in linea generale ne’ un’azione di annullamento del contratto di locazione concluso dall’usufruttuario in frode dei diritti del proprietario, salvo i casi previsti dall’art. 999 c.c., ne’ la nullita’ del contratto in frode ai terzi i quali sono tutelati soltanto in particolari situazioni e cioe’ con l’azione di nullita’, ove questa sussista, oppure con l’azione revocatoria (in termini, Cass. 24 ottobre 1983, n. 6239).

Nell’ordinamento vigente, in altri termini, non esiste alcuna norma che sancisca la nullita’ del contratto in frode ai terzi, essendo prevista espressamente solo la nullita’ del contratto in frode alla legge (art. 1344 c.c.). Ne consegue che una volta denunziato un atto posto in essere dall’usufruttuario e idoneo a pregiudicare i diritti del nudo proprietario, il giudice deve limitarsi a verificare se lo stesso rientri nella sfera di applicazione degli artt. 999 o 1015 c.c.. Nel dettare la disposizione di cui all’art. 999 c.c., comma 1, il legislatore ha inteso – secondo una valutazione assolutamente discrezionale e non sindacabile sotto il profilo costituzionale – contemperare i vari interessi contrapposti nella fattispecie (e, cioe’, sia quello dell’usufruttuario, sia quello del nudo proprietario che puo’, comunque, entro un termine ragionevole, avere la piena disponibilita’ della cosa, sia, infine, del terzo che ha fatto affidamento sui poteri spettanti ex lege all’usufruttuario al momento della conclusione del contratto).

Nel caso specifico, di affitto di fondi rustici, il principio generale di tutela delle ragioni del proprietario di cui all’art. 999 c.c. deve essere contemperato con i termini minimi di durata del contratto di affittanza agraria posti dalla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 41, che secondo la sentenza impugnata prevale sulla disciplina codicistica in forza dell’interesse pubblico cui e’ sottesa la materia agraria. L’art. 999 c.c., comma 1, prevede che “le locazioni concluse dall’affittuario, in corso al tempo della cessazione dell’usufrutto, purche’ constino da atto pubblico o da scrittura privata di data certa anteriore, continuano per la durata stabilita, ma non oltre il quinquennio dalla cessazione dell’usufrutto”, mentre la L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 1, comma 2 dispone che “i contratti di affitto a coltivatori diretti… hanno la durata minima di quindici anni, salvo quando previsto dalla presente legge” e che “i contratti ultranovennali, compresi quelli in corso, anche se verbali o non trascritti, sono validi ed hanno effetto anche riguardo ai terzi” (art. 41); infine, all’art. 58, comma 2 di dispone che “le disposizioni incompatibili con quelle contenute nella presente legge sono abrogate”.

Sulla base di quanto affermato da questa Corte nelle piu’ recenti pronunce, l’art. 999 c.c. non solo non e’ stato abrogato dalla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 41 quanto alla “forma” del contratto di affitto posto in essere dall’usufruttuario, per la sua opponibilita’ al nudo proprietario, ma neppure dall’ari. 1, della stessa legge, quanto alla “durata” dei contratti di affitto.

Sarebbe infatti contraddittorio affermare, da un lato, che l’art. 999 c.c. prevede che i contratti di locazione conclusi dall’usufruttuario devono risultare (per essere opponibili al nudo proprietario) da atto pubblico o da scrittura privata avente data certa (malgrado la previsione della L. n. 203 del 1982, art. 41) e dall’altro, contemporaneamente invocare la parziale abrogazione dell’art. 999 c.c. nella parte in cui prevede una durata non superiore a cinque anni per i contratti risultanti da atto pubblico o da scrittura privata avente data certa . In realta’, o si ritiene, che “tutto” l’art. 999 c.c. sia stato abrogato, perche’ incompatibile con le disposizioni della L. n. 203 del 1982, ovvero, riconosciuta la specificita’ della disposizione del codice civile, che l’intero art. 999 c.c. sia ancora in vigore. Sotto tale profilo si ricorda che l’abrogazione tacita di una legge ricorre quando sussiste incompatibilita’ tra le nuove disposizioni e quelle precedenti, ovvero quando la nuova legge disciplina la materia gia’ regolata da quella anteriore, salvo che ad una legge speciale faccia seguito una nuova disciplina generale della materia (lex posterior generalis non derogat legi priori speciali: cfr. Cass. 26 aprile 2002, n. 6099, nonche’ Cass. 9 febbraio 1994, n. 1297 e Cass. 4 marzo 1993, n. 2611).

Nel caso in esame, la L. 3 maggio 1982, n. 203 detta la disciplina “generale” dei contratti agrari, mentre l’art. 999 c.c. e’ una norma “speciale”, rispetto ad essa, in quanto diretta a disciplinare, con riguardo al tempo della cessazione dell’usufrutto, i contratti di locazione conclusi dell’usufruttuario e non e’, pertanto, suscettibile di modifica per effetto della prima.

Da quanto precede, poiche” i giudici del merito non si sono attenuti i principi di diritto sopra enunciati, e in forza dei quali, in particolare, l’art. 999 c.c., comma 1, non e’ stato abrogato o modificato per effetto della L. 3 maggio 1982, n. 203, la sentenza impugnata deve essere cassata. Non essendo, peraltro, necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, ultima parte.

Accertato, in particolare, che il contratto con il quale G. M. affitto’ il fondo per cui e’ controversia fu stipulato il 1 febbraio 1992 con gli usufruttuari T. e C. e che il diritto di usufrutto si e’ consolidato alla nuda proprieta’ a seguito della morte dell’ultima concedente C. (*****), deve dichiararsi che il contratto in questione e’ cessato al termine del quinto anno successivo alla data della morte della predetta C. (*****).

Segue la condanna del controricorrente G.M. al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione e del giudizio di appello, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile, accoglie il ricorso e cassa senza rinvio la sentenza impugnata; decidendo nel merito, dichiara cessato il contratto di affitto al 10 novembre 2001;

condanna il controricorrente G.M. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00 dei quali Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge; liquida le spese del giudizio di appello in complessivi Euro 4.000,00, oltre spese generali e accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 17 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010

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