LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –
Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –
Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –
Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –
Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 26238-2005 proposto da:
COMUNE DI SAN VITO ROMANO in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIMA 31, presso lo studio dell’avvocato ROSSI RICCARDO, che lo rappresa e difende giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
G.C., T.R., PROVINCIA DI ROMA;
– intimati –
sul ricorso 30722 – 2005 proposto da:
AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI ROMA in persona del Presidente pro –
tempore Dr. G.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 119 – A, presso gLi uffici dell’AVVOCATURA DELLA PROVINCIA, rappresentata e difesa dall’avvocato G.M., che la rappresenta e difende giusta delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente –
contro
COM SAN VITO ROMANO, G.C., T.R.;
– intimati –
sul ricorso 31168 – 2005 proposto da:
T.R., G.C., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA RE DI ROMA 21, presso lo studio dell’avvocato FIUMARA ANGELO, rappresentati e difesi dall’avvocato ANDRENELLI ADRIANO giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI SAN VITO ROMANO, PROVINCIA DI ROMA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 3965/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA, SEZIONE PRIMA CIVILE, emessa il 12/07/2004, depositata il 20/09/2004, R.G.N. 2238/1998;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/10/2009 dal Consigliere Dott. TALEVI ALBERTO;
udito l’Avvocato CINTI GIUSEPPE per delega dell’Avvocato ROSSI RICCARDO;
udito l’Avvocato SIENI MASSIMILIANO;
udito l’Avvocato FIUMARA ANGELO per delega dell’Avvocato ANDRENELLI ADRIANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice per il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale;
assorbito il ricorso incidentale condizionato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell’impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue.
“Con citazione notificata il 26 aprile 1990 i signori G. C. e R.T. hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma l’amministrazione provinciale di Roma ed hanno esposto di essere proprietari di un lotto di terreno con sovrastante fabbricato, distinto in catasto al foglio *****, confinante con la strada ***** ed hanno dedotto che la notte del ***** l’acqua riversatasi dalla predetta strada sul lotto di proprietà, degli attori aveva provocato il cedimento del muro di contenimento, posto lungo il confine. Gli attori hanno quindi chiesto la condanna dell’ente convenuto al risarcimento dei danni da determinarsi in conformità alle indicazioni desumibili dall’accertamento tecnico svolto in via preventiva.
L’amministrazione convenuta ha sostenuto che le cause del sinistro dovevano individuarsi nella particolare intensità dell’evento piovoso, oltrechè nelle caratteristiche e nella carente manutenzione della strada comunale del campo sportivo di ***** che si immetteva sulla strada provinciale ed ha quindi proceduto alla chiamata in causa del predetto ente, il quale è rimasto contumace.
La causa è stata istruita con la produzione di documenti ed espletamento di prove testimoniali e consulenza tecnica d’ufficio ed è stata quindi definita con la sentenza n. 9308/1997 in date 18 aprile – 15 maggio 1997, con la quale il tribunale adito ha condannato l’amministrazione provinciale di Roma a corrispondere agli attori la somma di L. 12.000.000 oltrechè alla rifusione delle spese processuali, condannando altresì il Comune di San Vito Romano al rimborso in favore della convenuta della metà di quanto erogato agli attori.
Nella motivazione della pronuncia, il tribunale ha in primo luogo rilevato che la consulenza tecnica d’ufficio espletata nel corso del giudizio aveva evidenziato che i danni dovevano imputarsi ad una pluralità di cause concorrenti: mancata esecuzione di opere di drenaggio nella strada di proprietà del Comune di S. Vito Romano, insufficienza dei tombini situati nella strada provinciale per le ridotte dimensioni e le carenze nella manutenzione; ha poi sottolineato l’inattendibilità della determinazione effettuata da consulente tecnico d’ufficio circa il valore del muro abbattuto (quantificato in L. 38.064.045), rilevando il difetto di prove sulle modalità esecutive del manufatto; ha quindi quantificato in 12 milioni al valore attuale, con gli interessi legali, il danno derivato agli attori, e riconoscendo un paritetico concorso causale delle amministrazioni provinciale e comunale nella determinazione del sinistro.
Con atto di appello notificato in data 13 giugno 1998 gli attori hanno impugnato la predetta sentenza, deducendo, a motivi del gravame, l’inadeguatezza della quantificazione del danno, avuto riguardo alle caratteristiche costruttive del muro, e lamentando l’omesso riconoscimento delle spese della consulenza tecnica d’ufficio.
L’amministrazione provinciale di Roma nel costituirsi in giudizio, ha contestato la fondatezza del gravame, proponendo appello incidentale in relazione all’addebito della concorrente e paritetica responsabilità dell’evento dannoso ad essa convenuta ed all’ente chiamato in causa, lamentando in particolare la mancata valutazione delle deposizioni testimoniali rese dai testi addotti al fine di dimostrare la corretta manutenzione dei tombini. Il Comune di San Vito Romano, a sua volta, ha rilevato l’assenza di prove circa la ritualità della chiamata in causa svolta in primo grado dall’amministrazione convenuta, ha quindi contestato l’asserita titolarità della proprietà della strada, occupata in via d’urgenza nel *****, ha quindi chiesto la riforma della sentenza ed il rigetto delle domande proposte nei propri confronti ed ha contestato i motivi di gravame esposti dalle controparti.
Con ordinanze in date 16 gennaio – 4 giugno 2001 la Corte ha disposto una nuova consulenza tecnica d’ufficio al fine di accertare la proprietà della strada di accesso al campo sportivo all’epoca dell’evento dannoso, oltre che le modalità costruttive ed conseguente valore del muro andato distrutto. La causa è stata quindi posta in deliberazione all’udienza collegiale del 22 giugno 2004, sulle conclusioni sopra trascritte”.
Con sentenza 12.7 – 20.9.2004 la Corte di Appello di Roma provvedeva come segue.
“… definitivamente pronunciando, in parziale riforma della sentenza n. 9308/1997 del Tribunale di Roma, in date 18 aprile-15 maggio 1997, condanna il Comune di San Vito Romano e l’amministrazione provinciale di Roma a pagare ai signori G.C. e T.R. ed a titolo risarcimento danni le rispettive somme di Euro 7.997,33 e di Euro 5.598,13, con gli interessi nella misura legale dalla data del 4 novembre 1989 sulle somme, rispettivamente, di Euro 4906,34 e di Euro 3434,43 e sulle somme corrispondenti ai predetti importi rivalutati anno per anno sulla base degli indici desumibili dalle tabelle ISTAT;
condanna gli enti appellati alla rifusione, in favore degli appellanti, delle spese del presente grado del giudizio che liquida in complessivi Euro 2.780,00, di cui 120,00 per spese, 820,00 per diritti e 1.840,00 per onorari (oltre competenze di legge), ponendo a carico degli appellati le spese della consulenza tecnica d’ufficio svolta nel corso del giudizio di primo grado, oltre che delle spese della consulenza tecnica d’ufficio espletata in questo grado del giudizio”.
Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione il Comune di San Vito Romano.
Ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale l’Amministrazione Provinciale di Roma.
Hanno resistito con controricorso ed hanno proposto ricorso incidentale condizionato T.R. e G.C..
Dette parti hanno anche depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Comune di San Vito Romano, con il primo motivo, denuncia “Violazione dell’art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. con omessa motivazione della sentenza impugnata” esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. In merito al quesito se, all’epoca dell’evento di cui è causa (*****), la strada di accesso al campo sportivo (*****) fosse o meno di proprietà del Comune di San Vito Romano, il consulente tecnico d’ufficio ha dapprima risposto che “In base alla documentazione acquisita il 19.2.2002 presso il Comune di San Vito Romano, allegata alla presente relazione (All. A), fiosso affermare che all’epoca dell’evento la strada di cui al contenzioso non era di proprietà del comune suddetto”. Successivamente, traendo spunto da un fax inviato dall’amministrazione provinciale a firma del Geom. P. F., per conto dell’amministrazione stessa, si è sentito in dovere di effettuare “ulteriori ricerche”, operando oltre il mandato del Giudice in diletto della garanzia del contraddittorio. E’ attraverso illegittime e non corrette modalità che l’ing. N. è giunto a parlare, di un preteso e supposto “uso pubblico di fatto”, che sarebbe risultato, oltre che dal predetto fax e da quanto in esso supposto in merito ad un uso della ***** da parte del pubblico per accedere al campo sportivo, dai lavori di potenziamento della rete idrica della *****. Ma i lavori di manutenzione di un tratto di fognatura non valgono di certo ad assegnare, anche qualora corrano al di sotto di fondi privati, la natura di strada ad uso pubblico. Solo in data *****, otto anni dopo il cedimento del muro, il Comune convenuto ha proceduto ad occupare in via d’urgenza, ai fini espropriativi, l’area oggetto di causa. All’epoca dei fatti, i proprietari della strada erano i Signori D.P.G. e D.P.M.A., unici soggetti passivi onerati di eventuali manutenzioni, mai evocati in giudizio da alcuno. La Corte di Appello ha acriticamente aderito alle osservazioni del C.T.U., sebbene nulla di quanto da questi asserito costituisse valido elemento di ausilio. La consulenza tecnica costituisce strumento valido ai soli fini accertativi dei fatti già dimostrati, e non un mezzo di prova. Al c.t.u. è inibito, a pena di nullità della relazione, di compiere ogni genere di accertamento sui falli, posta la funzione di carattere prettamente ausiliaria in ordine alle conoscenze tecniche di cui il giudice è carente, soprattutto se in difetto di illustrazione delle fonti di prova a presidio, come il principio del contraddittorio impone.
Il motivo non può essere accolto in quanto la motivazione esposta dalla Corte di merito deve ritenersi sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione In particolare va rilevato che la Corte (v. in particolare alla sesta facciata della sentenza) ha basato la sua decisione sull’obbligo del Comune di assicurare che avvenisse senza pregiudizi per la proprietà di terzi “lo smaltimento ed il deflusso delle acque che si raccoglievano nei campo sportivo …” e che un obbligo corrispondente sussisteva con riferimento alla “… strada di accesso al campo ( *****) …”.
La parte ricorrente non ha contestato (nè tanto meno ha contestato specificamente e ritualmente, come avrebbe avuto l’onere di fare) che detto campo sportivo era (come ha evidentemente ritenuto la Corte di appello) comunale. Nè (anche in considerazione di ciò) può ritenersi sussistente (neppure nei successivi motivi di ricorso) una specifica e rituale contestazione del fatto (implicitamente affermato da detta Corte) che la strada in questione era quella che conduceva (quanto meno prevalentemente) a detto campo, il che equivale sostanzialmente a dire (ed anche ciò è implicitamente affermato nella sentenza) che era quella utilizzata (in linea generale) dai cittadini per accedere a quest’ultimo.
Di conseguenza viene a trovarsi priva di specifica e rituale censura (nell’ambito del presente motivo; ma v. quanto sarà esposto con riferimento al terzo) quella che è chiaramente (pur se implicitamente) la prima ratio decidendi posta dal Giudice di secondo grado a base della propria affermazione circa la sussistenza del suddetto uso pubblico. Dato che si tratta di una ratio idonea anche da sola a sorreggere la decisione sul punto, tanto basterebbe per respingere il primo motivo.
Non sembra comunque inutile aggiungere che l’unica concreta violazione del contraddittorio lamentala (se il ricorrente intendeva esporre ulteriori doglianze sul punto, queste sono chiaramente inammissibili per difetto di specificità e chiarezza) sembra consistere nel fallo che il C.T.U. ha compiuto specifiche valutazioni che da un lato non gli erano state affidate e dall’altro consistevano in indagini di fatto che non potevano comunque rientrare nelle sue competenze.
Entrambe tali doglianze appaiono prive di pregio per le seguenti ragioni: – A) e indubbio che ogni C.T.U. deve badare soprattutto alla ratio (al significato effettivo e concreto, in relazione allo scopo) dei quesiti postigli, al di là della lettera dei medesimi; e sulla base di ciò non si vede come le precisazioni del c.t.u. possano ritenersi realmente estranee ai quesiti; comunque è decisiva la circostanza che nella fattispecie il Giudice di secondo grado (anche nella sentenza) ha chiaramente (ed ineccepibilmente) dimostrato che detto C.T.U. aveva correttamente interpretato i quesiti stessi; – B) la Corte ha chiaramente pur se implicitamente ritenuto che le indagini in questione compiute da detto Consulente (non solo dovevano ritenersi implicitamente demandate al medesimo, ma) avevano (anche) ad oggetto fatti rilevabili solo con l’ausilio di nozioni tecniche (ad es. valutazione tecnica della effettiva sussistenza di lavori di “…completamento proprio da parte del Comune…”, v. alla predetta sesta facciata della sentenza), e pure tale rilievo è privo di vizi logici o giuridici.
Dunque pure dette ulteriori doglianze non possono essere accolte.
Con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all’art. 100 c.p.c.” proponendo censure da riassumere nel modo seguente. Va ribadita l’assoluta carenza di legittimazione passiva del Comune di San Vito Romano. All’epoca dei fatti l’odierno ricorrente non era proprietario della strada (*****). E’ stato prodotto, con valenza di prova documentale lo “Stato di consistenza degli immobili da occupare in via di urgenza e verbale di immissione in possesso in possesso degli stessi”, per il mezzo del quale il Comune di San Vito Romano, in data *****, procedette all’occupazione di urgenza del terreno in cui è sita la strada. Pertanto, al momento della proposizione della domanda, introdotta con atto di citazione in data 26 aprile 1990, il Comune era totalmente estraneo ai fatti, posto che i proprietari dell’immobile successivamente occupato e quindi della strada erroneamente ritenuta comunale, erano i Signori D.P. G. e M.A..
Il secondo motivo è inammissibile in quanto irrilevante. Infatti la Corte non ha affermato la sussistenza dell’obbligo del Comune di rispondere del danno in quanto proprietario; ma in quanto detta strada era destinata a pubblico transito.
Il ricorrente (in detto motivo) non ha dedotto specifiche e rituali doglianze circa la rilevanza decisiva della destinazione ad isso pubblico, quindi quanto ora esposto basta per ritenere che la predetta inammissibilità esaurisce ogni questione relativa al secondo motivo.
Con il terzo motivo il ricorrente principale denuncia “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5) per insufficiente motivazione sul punto decisivo costituito dall’accertamento dei presupposti per applicare il richiamato uso pubblico – mai di fatto – nonchè per omessa indicazione della norma che si ritiene violata e contestuale violazione dell’art. 112 c.p.c.” esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. Circa il poco condivisibile concetto di “uso pubblico di fatto”, si contesta che nulla è detto circa la circostanza, che la strada era di proprietà di privati. La Corte tace altresì in merito ai requisiti che legittimano la sussistenza dell’asserito “uso pubblico di fatto”. A tal fine si rileva che “Affinchè un’area privala venga a far parte del demanio stradale e assuma, quindi, la natura di strada pubblica, non basta nè che vi sì esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta, effettiva e attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine titulo dell’area da parte della pubblica amministrazione), nè la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, nè l’intervento di atti di riconoscimento da parte, dell’amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta, ma è necessario che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base a un atto o a un fatto (convenzione, espropriazione, usucapione, ecc.) idoneo a trasferire il dominio e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell’ente all’uso pubblico (Cass. Civ. Sez. 2^, n. 823 del 2.01.2000)”.
Inequivocabile è, in tal senso, l’inciso “se appartengono…ai comuni”, proprio dell’art. 824 c.c., cmma 1. Si aggiunge, ad colorandum, che sulla strada in esame poteva passare chiunque diretto altrove che non al campo di calcio, ed il difetto di prova contraria, mentre dalle piante prodotte si evince che Via ***** prosegue in direzione di ville ed altre abitazioni private. Il Giudice di Appello avrebbe dovuto, quanto meno, accertare la presenza di una serie di indici di riferimento quali l’ubicazione della strada all’interno dei luoghi abitati, l’inclusione della toponomastica del comune, la posizione della numerazione civica, il comportamento della P.A. nel settore dell’edilizia e dell’urbanistica, tenuto conto che per determinare l’appartenenza di una strada al demanio comunale non è sufficiente l’uso pubblico, che isolatamente considerato potrebbe indicare solo una servitù di passaggio, ma occorre valutare i suddetti presupposti.
Nella sentenza non vi è alcuna indicazione, neppure generica, circa la tipologia di responsabilità ascrivibile alle parti soccombenti a totale dispregio del potere-dovere, proprio dell’organo giudicante, di qualificare giuridicamente la domanda sulla base dei fatti dedotti dalla parte. In ultimo, ma di eguale rilevanza, è la circostanza secondo cui il Comune di San Vito Romano è stato chiamato in causa nella qualità di proprietario della strada e condannato, invece, come utilizzatore della stessa, alterando in tal modo uno degli elementi di identificazione dell’azione, in violazione dell’art. 112 c.p.c.. Sul punto è bene concludere che il Comune ricorrente non ha avuto alcuna possibilità di difesa dato che il mutamento della titolarità sostanziale attribuita originariamente dagli attori, da proprietario a utilizzatore, è avvenuto al momento dell’emissione della sentenza di secondo grado, cioè a dire da parte di chi, il Giudice di Appello, ha supplito in eccesso di potere alle carenze della domanda attrice.
Anche i terzo motivo non può essere accolto, in quanto la motivazione esposta dalla Corte, specie se considerata pure nelle sue parti implicite, deve ritenersi sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione.
In particolare va rilevato quanto segue.
Circa la critica al “… poco condivisibile concetto di uso pubblico di fatto…” va rilevato che la Corte di merito ha evidentemente (pur se implicitamente) applicato la consolidata e condivisibile giurisprudenza di questa Corte in materia (cfr. Cass. Sentenza n. 3387 del 15/06/1979; “Se un comune consente alla collettività l’utilizzazione, per pubblico transito, di un’area di proprietà privata assume l’obbligo di accertarsi che la manutenzione dell’area e dei relativi manufatti non sia trascurata; e l’inosservanza di tale dovere di sorveglianza, che costituisce un obbligo primario dalla pa, per il principio del neminem laedere, integra gli estremi della colpa e determina la responsabilità per il danno cagionato all’utente dell’area, nulla rilevando che l’obbligo della manutenzione incomba sul proprietario dell’area”; cfr. inoltre tra le successive Cass. Sentenza n. 191 del 12/01/1996).
Ciò evidenzia anche la mancanza di pregio delle doglianze circa la asserita mancata specificazione della “… tipologia di responsabilità ascrivibile alle parti soccombenti …”, e rende inoltre palese la mancanza di base delle doglianze circa la mancata valutazione della sussistenza del diritto di proprietà della strada in capo ad altri soggetti (il principio di diritto affermato da detta giurisprudenza infatti non si fonda sulla proprietà, si rinvia inoltra a quanto già esposto sopra circa l’irrilevanza nella fattispecie della titolarità del diritto di proprietà; e circa gli altri punti già trattati).
Per ciò che concerne le doglianze circa le prove dell’uso pubblico di fatto (e tra l’altro circa l’affermazione secondo cui “… dalle piante prodotte si evince che Via ***** prosegue in direzione di ville ed altre abitazioni private …”) si osserva (oltre a quanto sopra già esposto) che si tratta di doglianze inammissibili (prima ancora che infondate) per due ragioni, ciascuna delle quali decisiva pure da sola: – A) in quanto si tratta di affermazioni sostanzialmente apodittiche, prive di rituali precisazioni persino in ordine a quello che era l’uso prevalente; – B) in quanto, in violazione dei principio di autosufficienza del ricorso, non vengono date rituali precisazioni in ordine alle predette “piante” (provenienza, data, ecc.) e soprattutto in ordine a tutto quanto da queste emergeva (anche in ordine al punto A ora citato); si rinvia inoltre a quanto già esposto sopra con riferimento all’uso prevalente.
Circa l’asserita violazione dell’art. 112 c.p.c., basta rilevare che la Corte ha evidentemente (pur se implicitamente) ritenuto che gli elementi di fatto posti alla base della sua decisione (in particolare l’uso pubblico consentito dal comune) facevano (esplicitamente od implicitamente, ma comunque ritualmente) parte della materia processuale fin dal primo grado; e tale implicita ma palese valutazione è priva dei vizi logici e giuridici denunciati.
Il ricorso del comune va dunque respinto.
L’Amministrazione Provinciale di Roma denuncia “Omessa, erronea, illogica motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Violazione art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c.” esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente.
La sentenza della Corte di Appello fonda il riconoscimento dei concorso di colpa dell’Amministrazione sulle sole considerazioni del ctu e sull’erroneo convincimento che gli addetti alla manutenzione non avessero svolto opera di ripulitura e che le griglie di raccolta delle acque fossero insufficienti. In realtà tale motivazione non solo non è conferente rispetto ai motivi di appello incidentale dell’Amministrazione ma denuncia l’omesso esame di parte dei motivi stessi. Infatti nell’appello incidentale l’Amministrazione aveva lamentato l’errata convinzione del Tribunale circa la presunta inattendibilità delle testimonianze dei cantonieri provinciali, perchè i cantonieri avrebbero avuto un loro interesse. Ma, come precisato in appello, gli stessi testi di controparte avevano ammesso che i tombini erano ora puliti ora sporchi in esatta corrispondenza alle dichiarazioni dei cantonieri. Inoltre in appello era stata era richiamata la documentazione fotografica che mostrava come la strada comunale, pietrosa, priva di scoli ed in forte pendenza ben poteva ostruire in caso di piogge eccezionali le griglie dimensionate ovviamente per la raccolta delle acque della strada e non per un fatto eccezionale come una alluvione aggravata dall’omessa manutenzione comunale. Si era evidenziato come l’omessa previsione di presidi idraulici non solo per la strada ma anche per il campo sportivo comunale avesse causato l’evento dannoso e come ne supplemento di c.t.u. svolto in primo grado risultava obiettivamente che l’evento meteorologico del 4.11.89 fosse eccezionale. L’Ingegnere Capo della Provincia con telegramma 6.11.89 lamentò infine l’omessa manutenzione della strada comunale e la -caduta – di detriti dalla strada nella notte tra il tre ed il 4 novembre 1989 invitando a provvedere alla bitumazione il Comune che rimase invece inerte. Tanto bastava per escludere ogni responsabilità dei l’Amministrazione ma la Corte nulla dice in merito. Va considerata anche la contraddittoria attribuzione del 15% di responsabilità agli appellanti proprietari di un muro costruito senza rispettare le regole; e la supervalutazione data al muro.
Pure il ricorso dell’Amministrazione Provinciale di Roma va respinto.
Infatti la Corte di merito ha esposto una motivazione che si sottrae al sindacato di legittimità in quanto immune dai vizi logici e giuridici lamentati (v. Cass. n. 9234 del 20/04/2006: “Il disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formate e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione data dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, senza che lo stesso giudice del merito incontri alcun limite al riguardo, salvo che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, non essendo peraltro tenuto a vagliare ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata”, cfr. inoltre Cass. S.U. n. 05802 dell’11/06/1998; cfr. anche, tra le successive: Cass. Sentenza n. 18119 del 02/07/2008, Cass. Sentenza n. 17477 dei 09/08/2007, Cass. Sentenza n. 15489 del 11/07/2007; Cass n. 21193 del 05/11/2004;
e Cass. n. 1101 del 20/01/2006; Cass. n. 9234 del 20/04/2006, Sentenza n. 1754 del 26/01/2007; Sentenza n. 5066 del 05/03/2007, Cass Sentenza n. 15489 del 11/07/2007; Cass. Sentenza n. 17477 del 09/08/2007; Sentenza n. 189 del 02/07/2008).
Va rilevato inoltre che le doglianze in questione, nella misura sono inammissibili (prima ancora che prive di pregio) nella parte in cui:
– A) sono sostanzialmente apodittiche, o comunque prive di rituale supporto argomentativo; -B) fanno riferimento a specifiche risultanze istruttorie di cui affermano la rilevanza senza riportarne ritualmente il contenuto; infatti come questa Corte ha osservato più volte (cfr. tra le altre Cass. n. 4754 dei 13/05/1999; Cass. n. 376 del 11/01/2005; Cass. n. 20321 del 20/10/2005; Cass n.. 1221 del 23/01/2006; Cass n. 8960 del 18/04/2006; Cass. Sentenza n. 7767 del 29/03/2007; Cass. Sentenza n. 6807 del 21/03/2007; Cass. Sentenza n. 15952 del 17/07/2007; Cass. Sentenza n. 4849 del 27/02/2009) ai fini della specificità del motivo di censura, sotto il profilo dell’autosufficienza dello stesso, il ricorrente per cassazione il quale deduca l’omessa o comunque viziata motivazione della sentenza impugnata in relazione alla valutazione di una risultanza processuale che asserisce decisiva, ha l’onere di indicare in modo adeguato e specifico la risultanza medesima, dato che per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle soie deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative; inoltre l’indicazione della risultanza che si assume non valutata (o non logicamente valutata), non può consistere in brevi brani isolati da un rilevante contesto, ovvero in mere interpretazioni o deduzioni o commenti della parte ma, proprio in quanto deve consentire il controllo di legittimità e pertanto porre questa Corte in condizioni di valutare direttamente la risultanza ed in particolare la sua decisività, deve contenere in modo obiettivo, tutte gli elementi rilevanti della medesima; di conseguenza l’indicazione predetta, qualora (come nella fattispecie) sia necessario per una adeguata valutazione, deve consistere in una integrale trascrizione di ogni risultanza in questione in tutte le sue parti rilevanti.
Il ricorso incidentale di T.R. e G.C. è condizionato e deve dunque ritenersi assorbito.
Considerati sia l’esito del giudizio sia (soprattutto) le peculiarità della fattispecie, va disposta la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso proposto dal Comune di San Vito Romano ed il ricorso proposto dall’Amministrazione Provinciale di Roma;
dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato di T. R. e G.C.. Compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2010