LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ADAMO Mario – Presidente –
Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
C.E. – domiciliato ex lege in ROMA, presso la Cancelleria civile della Corte Suprema di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avv. MARRA Alfonso Luigi, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale e’ rappresentata e difesa;
avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli depositato il 22.1.2007;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio dell’8 ottobre 2009 dal Consigliere Dott. SALVATO Luigi;
letta la relazione dallo stesso redatta in data 9 marzo – 1 luglio 2009.
RITENUTO IN FATTO
C.E. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Campania con ricorso del 20.3.96, avente ad oggetto l’inquadramento quale dipendente del Comune di ***** ed il relativo trattamento economico, non ancora definito.
La Corte d’appello, con decreto del 22.1.2007, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre, ritenuto violato il relativo termine per anni 7 e mesi tre, liquidava per il danno non patrimoniale (“in mancanza di piu’ precise indicazioni da parte del ricorrente”, e tenuto conto della natura del diritto e del comportamento della parte, consistente nella mancata presentazione di istanza di prelievo), Euro 960,00 per ogni anno di ritardo, quindi complessivi Euro 6.960,00, con il favore delle spese del giudizio.
Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso C. E., affidato a dodici motivi; ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in Camera di consiglio e’ stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – La relazione ex art. 380 bis c.p.c. ha il seguente contenuto:
“1 – – Con i primi cinque motivi e’ denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 1 CEDU e art. 6, par. 1 CEDU), in relazione a rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonche’ della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni:
a) questione relativa alla efficacia della CEDU nell’ordinamento interno ed all’efficacia vincolante per il giudice nazionale della giurisprudenza della Corte EDU (sostanzialmente riproposta in tutti i motivi, richiamando sentenze della Corte europea e di questa Corte) ed e’ formulato il seguente quesito la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la L. Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU? (primo motivo).
b) Questioni concernenti la quantificazione del danno. Secondo l’istante, ratione materiae doveva essere liquidato un bonus di Euro 2.000,00 (sono richiamate alcune sentenze della Corte EDU, ed e’ formulato il seguente quesito: spetta un ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00), trattandosi di diritti dei lavoratori come stabilito dalla CEDU, o comunque l’equo indennizzo per tali materie va calcolato in misura maggiore? (secondo motivo) e cio’ costituisce violazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo la Corte d’appello deciso su una delle domande proposte dalla parte istante (terzo motivo), incorrendo in difetto di motivazione (quarto motivo);
infine, e’ formulato il seguente quesito il modesto valore della controversia puo’ costituire elemento atto ad escludere il diritto all’equa riparazione ovvero e’ idoneo a ridurre l’equo indennizzo? (quinto motivo).
1.1.- I motivi dal sesto al dodicesimo denunciano violazione dell’art. 6, 1 CEDU e dell’art. 1 del protocollo addizionale, della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 91 e 92, 112 e 132 c.p.c., della L. 794 del 1942, art. 24 delle tariffe professionali, nonche’ difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, artt. 112 e 132 c.p.c.), nella parte concernente la liquidazione delle spese del giudizio e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni:
a) nella specie non dovrebbe aversi riguardo alla tariffa per i procedimenti di volontaria giurisdizione, ed e’ formulato il seguente quesito di diritto alla fattispecie concreta e con riguardo alle spese di lite, premesso che trattasi di un procedimento ordinario contenzioso (e non di v.g.) vanno applicate le tariffe professionali per i procedimenti ordinari contenziosi (e non quelli di volontaria giurisdizione)? (sesto motivo) e questo stesso quesito e’ reiterato negli stessi identici termini nell’ottavo motivo; la parte soccombente deve essere condannata alle spese di lite, ed e’ formulato il seguente quesito di diritto e’ legittimo, con riferimento alla fattispecie che ci occupa, un accoglimento della domanda con liquidazione di spese insufficiente o parziale compensazione del le spese, anche in considerazione dell’art. 1 prot.
add. CEDU direttamente applicabile al caso di specie? (settimo motivo) ed e’ denunciato difetto di motivazione sulla liquidazione insufficiente delle spese (nono motivo);
il decreto avrebbe liquidato le spese del giudizio in misura insufficiente e si sarebbe posto in contrasto con le quantificazioni operate da questa Corte (sono indicate alcune somme senza indicazione delle sentenze) ed e’ formulato il seguente quesito le spese liquidate dal giudice di primo grado sono sufficienti in relazione all’attivita’ svolta, alle tariffe professionali vigenti ed alla nota spese? (decimo motivo); sono riportate le voci tariffarie asseritamene dovute, per sostenere che emergerebbe chiara la violazione di legge ed e’ formulato il seguente quesito puo’ il giudice, nel liquidare le spese ed in presenza di nota spese specifica, disattendere la stessa liquidando spese: diritti ed onorati inferiori a quelli richiesti e comunque escludere o ridurre alcune delle voci tariffarie indicate nella nota spese? (motivo 11) e sul punto e’ denunciato anche difetto di motivazione riportando nel ricorso specifica nella quale sono riportate le diverse voci tariffarie, in rei azione ai diversi scaglioni (motivo 12).
2.- I motivi indicati nel 1 par., da esaminare congiuntamente, perche’ giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente infondati.
a) Relativamente alla questione sub a), ammissibile e rilevante per l’incidenza su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalle S.U., in virtu’ del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea. Siffatto dovere opera entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 (sentenza n. 1.338 del 2004) e, come affermato dalla Corte costituzionale – contrariamente all’assunto dell’istante, che si palesa percio’ manifestamente erroneo – al giudice nazionale spetta interpretare in norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali cio’ sia permesso dai testi delle norma. Qualora cio’ non sia possibile, ovvero dubiti, della compatibilita’ della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimita’ costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1 (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007).
Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla “non applicazione” della norma interna, in virtu’ di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria.
In questi termini e’ il principio che puo’ essere enunciato in relazione al quesito formulato con il primo motivo, che rivela la manifesta infondatezza della censura, nei termini in cui e’ stata proposta.
b) Relativamente alla quantificazione del danno ed agli ulteriori motivi qui in esame, va ribadito che deve escludersi che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere – come ha invece sostenuto l’istante – una ulteriore, piu’ elevata somma, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia.
Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici europei hanno affermato che il c.d. bonus in questione va riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali. Tuttavia, cio’ non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, e’ probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 30570, n. 18012 del 2009). Siffatta valutazione rientra nella ponderazione del giudice del merito, che deve rispettare il parametro sopra indicato, con la facolta’ di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entita’ della “posta in gioco”, il “numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento” ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006; n. 19029 del 2005), purche’ motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 30064 e n. 6898 del 2008; n. 1630 e n. 1631 del 2006).
Il giudice del merito puo’, quindi, attribuire una somma maggiore, qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che cio’ comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicche’ se il giudice non si pronuncia sul c.d. bonus, cio’ sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 30570, n. 1801?. del 2008).
In questi termini, sono i principi che possono essere enunciati in relazione ai quesiti posti con i citati motivi, con conseguente manifesta infondatezza di detti mezzi.
Il decreto ha, infatti, applicato il parametro della Corte EDU e, liquidando Euro 960,00 per anno di ritardo, quale indennizzo per il danno non patrimoniale, si e’ discostato dal parametro minimo in misura non irragionevole, compiutamente motivando con riferimento:
all’entita’ della posta in gioco, al comportamento della parte (il mancato deposito dell’istanza di prelievo non incide sul termine di durata ragionevole, ma bene puo’ essere assunto quale elemento espressivo dell’interesse della parte alla decisione della controversia). Rispetto a tale motivazione, congrua, coerente e sufficiente, le argomentazioni svolte dall’istante sono manifestamente astratte, scollegate dalla fattispecie concreta e non si danno carico di dedurre le ragioni specifiche che dovrebbero evidenziarne l’illogicita’, risultando prive di ogni specifica indicazione in ordine all’entita’ della controversia ed alla deduzione di ulteriori elementi, gia’ nella fase di merito. Peraltro, con il quinto motivo, incongruamente prospetta la questione della legittimita’ della negazione dell’indennizzo nel caso di modesto valore della controversia, che e’ conclusione neppure affermata nel decreto, che ha riconosciuto il diritto in esame. La deduzione relativa all’inammissibilita’ della riduzione in considerazione del valore della controversia e’ infondata, poiche’ la posta in gioco come affermato nelle sentenze sopra richiamate, costituisce elemento che puo’ essere apprezzato al fine della quantificazione dell’indennizzo.
2.1.- I motivi indicati nel par. 1.1 possono essere esaminati congiuntamente, perche’ logicamente connessi, sembrano in parte manifestamente fondati, entro i limiti di seguito precisati.
In linea preliminare, va osservato che incongruamente due dei motivi (6 e 8) si concludono con lo stesso quesito di diritto e pongono la stessa questione reiterata in modo non logicamente coordinato nei motivi ottavo e decimo.
Sembrano altresi’ manifestamente inammissibili le censure (ed i corrispondenti profili dei quesiti) incongrue, in quanto non correlate alla ratio decidendi del decreto o che in nessun modo tengono conto della fattispecie, ovvero si risolvono in argomentazioni astratte e prive di pertinenza con il caso di specie.
Tanto va rilevato in relazione ai motivi: settimo, laddove si fa riferimento ai presupposti della compensazione, nella specie non disposta ed alla necessita’ che le spese seguono la soccombenza, che e’ cio’ che e’ accaduto nel caso in esame; decimo, quanto alla astratta deduzione di sufficienza della spese liquidate; undicesimo, quanto alla possibilita’ del giudice di ridurre le voci della nota spese, essendo chiaro che cio’ e’ possibile se tanto risulta dalla applicazione delle norme.
Posta questa premessa, le questioni poste vanno risolte facendo applicazione dei seguenti principi, gia’ enunciati da questa Corte:
la L. n. 89 del 2001 non reca nessuna specifica norma in ordine al regime delle spese all’esito dello svolgimento del processo camerale di cui agli artt. 3 e 4 e, in virtu’ del richiamo ivi effettuato, si applicano sul punto le norme del codice di rito, avendo anche il legislatore dimostrato attenzione a questo profilo, esonerando il ricorrente dal contributo unificato (L. n. 89 del 2001, art. 5 bis e, successivamente, D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 10 e 265) (Cass. n. 23789 del 2004);
le disposizioni dell’art. 91 c.p.c. e segg. in tema di spese processuali trovano applicazione, in linea generale, nel procedimento camerale nel caso in cui questo statuisca su posizioni soggettive in contrasto, come accade nella specie, senza che nessun ostacolo all’applicazione di detta normativa provenga dalla Convenzione CEDU, ovvero dal Protocollo aggiuntivo (Cass. n. 12021 del 2004), restando esclusa l’applicazione analogica delle disposizioni sulle spese vigenti per i procedimenti innanzi alla Corte di Strasburgo (Cass. n. 1078 del 2003);
dalla CEDU non discende un obbligo, a carico del legislatore nazionale, di conformare il processo per l’equa riparazione da irragionevole durata negli stessi termini previsti, quanto alle spese, per il procedimento dinanzi agli organi istituiti in attuazione della Convenzione, dovendosi escludere che l’assoggettamento del procedimento alle regole generali nazionali, e quindi al principio della soccombenza, possa integrare un’attivita’ dello Stato che “miri alla distruzione del diritto delle liberta’” riconosciuti dalla Convenzione o ad “imporre a tali diritti e liberta’ limitazioni piu’ ampie di quelle previste dalla stessa Convenzione” (Cass. n. 18204 del 2003);
la configurazione del procedimento disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 quale procedimento contenzioso comporta l’applicabilita’ della Tab. A-4 e della Tab.B-1.
In questi termini sono i principi che possono essere enunciati in riferimento ai quesiti qui in esame.
In applicazione di tali principi, la considerazione che il decreto ha liquidato le spese in Euro 81,00 per diritti ed Euro 250,00 per onorari, esplicitamente richiamando la tariffa della Tab. A punto 50 par. 7 (per gli onorari) e la Tab. B punto 7b par 3 (per i diritti), rende manifestamente fondate le censure, nella parte in cui sono ammissibili.
Entro questi limiti i mezzi possono essere accolti; il decreto andra’ cassato nel solo capo relativo alle spese e la causa decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante la liquidazione delle spese dovute per il giudizio di merito, in applicazione delle regole sopra indicate. Le spese di legittimita’ potranno essere compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, stante il limitato e parziale accoglimento del ricorso.
Pertanto, il ricorso puo’ essere trattato in Camera di consiglio, ricorrendone i presupposti, di legge”.
2. – Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano. In particolare, va osservato che, secondo il piu’ recente orientamento di questa Corte, la quantificazione, nello standard minimo, non puo’ essere inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, per i primi tre anni eccedenti il termine di ragionevole durata, quindi, per gli anni successivi ad Euro 1.000,00 per anno di ritardo.
Nella specie, la constatazione che per tutti gli anni eccedenti il termine di ragionevole durata sono stati liquidati Euro 960,00 rende palese che detto parametro risulta sostanzialmente osservato.
In relazione alle censure accolte, il decreto deve essere cassato, limitatamente al capo concernente le spese del giudizio, e la causa puo’ essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, condannando la contro ricorrente a pagare le spese del giudizio di merito, liquidate come in dispositivo, nonche’ quelle della presente fase, limitatamente ad 1/3, sussistendo giusti motivi per dichiarare compensata la residua parte, stante il parziale accoglimento del ricorso, con attribuzione al difensore, per dichiarazione di anticipo.
P.Q.M.
LA CORTE Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato limitatamente al capo concernente le spese e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare le spese della fase di merito che liquida in complessivi Euro 1.190,00 di cui Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorario, nonche’ un terzo delle spese della presente fase (compensate la residua parte), che liquida in complessivi Euro 350,00, di cui Euro 35,00 per esborsi, oltre spese generali, ed accessori di legge, con attribuzione al difensore, avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario.
Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2010