Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.701 del 19/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16599/2005 proposto da:

M.C. *****, elettivamente domiciliata in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CASTALDI Filippo con studio in 84014 NOCERA INFERIORE (SA), PIAZZA D’AMORA 3 giusta 2009 delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ANGRI, V.T.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 821/2004 del TRIBUNALE di NOCERA INFERIORE, Sezione Seconda Civile, emessa l’8/7/2004, depositata il 09/07/2004, R.G.N. 320/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 23/11/2009 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 8-9 luglio 2004 il Tribunale di Nocera Inferiore accoglieva l’appello principale proposto dal Comune di Angri avverso la decisione del locale giudice di pace, del 19 luglio 2002, rigettando la domanda di risarcimento avanzata da M.C. per i danni dalla stessa subiti in conseguenza di una caduta imputabile ad una buca del marciapiede di una strada in ***** (coperta, secondo l’attrice, da fitta erba e dunque non visibile).

Avverso tale decisione la M. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da tre motivi.

Il Comune di Angri non ha svolto difese in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 342 c.p.c., rilevando che l’appello proposto dal Comune di Angri avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, in conseguenza della genericità dei motivi di impugnazione formulati dall’appellante.

Il motivo è inammissibile.

Infatti, la ricorrente non riproduce, in questa sede, le censure formulate sul punto nelle proprie difese in grado di appello, limitandosi a richiamare la giurisprudenza di questa Corte, la quale, ai fini della specificità dei motivi, richiede che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, e poste in relazione alle argomentazioni della sentenza impugnata.

Da ciò deriva la inammissibilità delle censure formulate con il primo mezzo di impugnazione.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2043 c.c., e difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Pur partendo da presupposti sostanzialmente corretti, il giudice di appello era giunto a conclusioni del tutto errate, in diritto, escludendo ogni responsabilità del Comune nella produzione dell’evento dannoso.

Anche la motivazione della sentenza era lacunosa, avendo il Tribunale trascurato le prove testimoniali che deponevano per una piena responsabilità del Comune.

Se il giudice di appello avesse tenuto conto delle risultanze probatorie lo Stesso avrebbe dovuto necessariamente affermare la sussistenza, nel caso di specie, di una grave insidia stradale, tale da comportare la responsabilità del Comune.

Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 342 e 112 c.p.c., nonchè difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5).

Il giudice di appello aveva concluso per la inesistenza del nesso di causalità tra fatto ed evento dannoso: in tal modo, il Tribunale aveva finito per decidere su un motivo di impugnazione non proposto dal Comune di Angri, che aveva censurato genericamente la decisione di primo grado sul punto della affermata responsabilità e sulla esistenza di una insidia o trabocchetto e sulla sua evitabilità e prevedibilità, Il secondo e terzo motivo devono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi tra di loro.

Il giudice di appello ha ritenuto che mancasse la prova del nesso eziologico tra la buca della pavimentazione e le lesioni rilevate dal consulente tecnico di ufficio, le quali – secondo la originaria attrice – sarebbero diretta conseguenza della caduta sulla sede stradale.

A fronte di tale, motivato, accertamento si infrangono tutte le censure formulate dalla M. con il secondo e terzo motivo.

I giudici di appello hanno rilevato che la affermazione di una responsabilità del Comune da omessa vigilanza sulla strada di sua proprietà avrebbe richiesto, ai sensi dell’art. 2043 c.c., l’assolvimento da parte della danneggiata dell’onere di provare la carenza o inadeguatezza della vigilanza e l’esistenza di una insidia o trabocchetto.

Il concetto di insidia o trabocchetto è, caratterizzato da una situazione di pericolo occulto, connotato dall’elemento oggettivo della non visibilità e dall’elemento soggettivo della non prevedibilità.

Nel caso di specie, lo stato dei luoghi – quale risultava delle prove raccolte – era risultato tale da consentire alla M. di avvistare per tempo le irregolarità della strada, in modo da evitarle.

Tra l’altro, non era stato neppure accertata l’esistenza di un preciso nesso causale tra la buca e il verificarsi dell’evento dannoso (caduta).

La motivazione della decisione del giudice di appello deve essere corretta sul punto in cui ha ritenuto applicabile, senza alcuna indagine in ordine alla possibilità di esercitare il controllo e la vigilanza sul demanio stradale di quella città, la disposizione di cui all’art. 2043 c.c., in luogo di quella dell’art. 2051 c.c., relativa alla responsabilità per le cose in custodia, che la giurisprudenza di questa Corte ritiene generalmente applicabile anche con riferimento alle strade comunali.

Infatti, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, la responsabilità oggettiva da custodia, prevista dall’art. 2051 c.c., è invocabile anche nei confronti della P.A., per i danni arrecati dai beni dei quali essa ha la concreta disponibilità, anche se di rilevanti dimensioni (Cass. n. 20427 del 2008).

La responsabilità ex art. 2051 cod. civ., per i danni cagionati da cose in custodia, anche nell’ipotesi di beni demaniali in effettiva custodia della P.A., ha carattere oggettivo e, perchè tale responsabilità possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, per cui tale tipo di responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa (che ne è fonte immediata), ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità e che può essere costituito anche dal fatto del terzo o dello stesso danneggiante.

La decisione impugnata – errata nella motivazione – è tuttavia corretta nel dispositivo, avendo escluso ogni responsabilità del Comune, sul rilievo che la M. non aveva fornito la prova della sussistenza di un nesso diretto tra insidia ed evento dannoso (lesioni conseguenti, alla caduta).

Di fronte a tale motivato accertamento, si infrangono tutte le censure formulate dalla ricorrente.

Le censure riguardanti la mancata valutazione di alcune prove testimoniali da parte del giudice di appello rimangono assorbite dalla considerazione che le stesse (peraltro neppure riportate interamente) non riguardano le conseguenze della caduta, ma piuttosto le circostanze in cui la stessa si sarebbe verificata.

In tema di danno cagionato da cose in custodia è indispensabile, per l’affermazione di responsabilità del custode, che sia accertata – innanzi tutto – la sussistenza di un nesso di causalità tra la cosa ed il danno patito dal terzo, dovendo, a tal fine, ricorrere la duplice condizione che il fatto costituisca un antecedente necessario dell’evento, nel senso che quest’ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie di esso, e che l’antecedente medesimo non sìa poi neutralizzato, sul piano causale, dalla sopravvenienza di circostanze da sole idonee a determinare l’evento (Cass. 8 ottobre 2008 n. 24804).

Proprio la esistenza di questo nesso di causalità non è stato provato dalla attuale ricorrente, secondo quanto ha motivatamente ritenuto la Corte territoriale.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.

Nessuna pronuncia in ordine alle spese, non avendo l’intimato svolto difese in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010

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