LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VARRONE Michele – Presidente –
Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –
Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –
Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –
Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 17332/2005 proposto da:
D.P.M.L. *****, V.A.
V. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 151, presso lo studio dell’avvocato ROSATI Angelo, che li rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
V.A. *****;
– intimati –
sul ricorso 22203/2005 proposto da:
V.A. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MANTEGAZZA N 24, presso lo studio dell’avvocato GARDIN LUIGI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANCORA LUCIANO giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente –
contro
D.P.M.L., V.A.V.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 13/2005 della CORTE D’APPELLO di LECCE, Sezione Seconda Civile, emessa il 19/11/2004, depositata il 10/01/2005, R.G.N. 580/2002;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 23/11/2009 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;
udito l’Avvocato ANGELO ROSATI;
udito l’Avvocato NICOLA SBANO per delega dell’Avvocato LUCIANO ANCORA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento p.q.r. del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione 12 dicembre 1997, D.P.M., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sul figlio minore V.A.V., proponeva opposizione avverso il decreto 25 ottobre 1997, con il quale le era stato ingiunto, nella suddetta qualità, il pagamento in favore di V.A. della somma di L. 110.000.000, sulla base di due “dichiarazioni di debito” a quest’ultimo rilasciate da V.P., deceduto il *****, del quale la D.P. e V.S. (rispettivamente moglie e figlio) erano gli unici eredi.
Si costituiva in giudizio l’opposto, proponendo istanza di verificazione delle scritture, a seguito di disconoscimento della sottoscrizione di V.P., effettuato dalla opponente.
Con sentenza 30 novembre 2001-18 febbraio 2002, il Tribunale, rilevato che il minore aveva raggiunto la maggiore età nel corso del processo, e che tale circostanza non determinava tuttavìa la interruzione del processo, revocava il decreto ingiuntivo, condannando la D.P., nella duplice qualità, al pagamento della somma di L. 100.000.000, oltre le spese del giudizio e quella della consulenza tecnica di ufficio, la quale aveva accertato la autenticità delle firme apposte sulle due scritture.
Avverso tale decisione hanno proposto appello sia la D.P. che V.A.V., con un unico atto, deducendo che erroneamente il primo giudice non aveva dichiarato l’interruzione del processo.
I giudici di appello rilevavano che la dichiarazione dell’evento del raggiungimento della maggiore età (contenuta nella comparsa conclusionale) doveva considerarsi tempestiva e che erroneamente il primo giudice aveva disposto la continuazione del processo nonostante la causa interruttiva.
Di tale questione era legittimato a dolersi, tuttavia, solo V.A., e non anche la D.P., considerato che le norme che disciplinano la interruzione sono funzionali a tutelare solo la parte colpita dall’evento.
Tanto premesso, la Corte di appello di Lecce dichiarava la nullità della sentenza di primo grado rispetto ad V.A.V. nel rapporto tra questi ed V.A..
Da tale nullità, la Corte di appello non faceva discendere la rimessione della causa al primo giudice, in considerazione della tassatività delle ipotesi indicate dagli artt. 353 e 354 c.p.c., ritenendo che la causa dovesse essere decisa nel merito dai giudici di appello.
La Corte Territoriale richiamava la consulenza tecnica di ufficio, disposta dal Tribunale, la quale aveva confermato la autenticità della sottoscrizione apposta da V.P. su entrambe le scritture e condannava entrambi gli appellanti al pagamento della soma di L. 100.000.000, sulla base delle dichiarazioni scritte di V.P..
Avverso tale decisione D.P.M.L. e V.A. V. hanno proposto ricorso per cassazione, sorretto da tre motivi.
Resiste V.A. con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato alla ipotesi di accoglimento del primo motivo del ricorso principale.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve innanzi tutto disporsi la riunione dei due ricorsi, proposti contro la medesima decisione.
Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 101, 102, 300 e 354 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3).
Nel caso in cui il giudice – in esito alla dichiarazione con la quale il procuratore del genitore esercente la potestà sul minore abbia comunicato la cessazione della rappresentanza legale, per il compimento della maggiore età da parte del figlio – non dichiari la interruzione del processo ed il rappresentato non si costituisca spontaneamente, la sentenza pronunciata nei confronti del rappresentante, oramai privo della qualità di parte in senso processuale, è affetta da nullità per violazione del contraddittorio, comportante, se fatta valere con l’appello, la rimessione della causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 354 c.p.c..
Con il secondo motivo i ricorrenti principali deducono omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).
Quand’anche dovesse ritenersi corretta, nel caso di specie, la applicazione del principio dell’assorbimento e della conversione della nullità dedotta e riconosciuta in motivi di gravame (art. 161 c.p.c.), con la sostituzione della sentenza di secondo grado a quella di primo grado affetta dal vizio, la decisione della Corte di appello avrebbe dovuto comunque contenere una motivazione del tutto autonoma, priva cioè di riferimento alla sentenza dichiarata nulla.
La sentenza di appello, invece, si era limitata a condividere la valutazione operata dai primi giudici, integrandola con le risultanze della relazione del consulente tecnica di ufficio.
Con l’ultimo motivo i ricorrenti principali denunciano violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 320, 471, 489 e 490 c.c., i relazione agli artt. 101, 102, 156, 157, 354 e 633 c.p.c., nonchè omessa e/o contraddittoria pronuncia e motivazione su un punto decisivo della controversia, rilevabile anche di ufficio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
Il creditore del padre del minore ingiunto aveva inammissibilmente – agito in via giudiziaria contro un incapace, in spregio al principio, secondo il quale il diritto dei creditori del “de cuius” di agire nei confronti del minore chiamato all’eredità è sottoposto alla condizione sospensiva della accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, ovvero del decorso del termine annuale dal raggiungimento della maggiore età dell’erede.
La Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la nullità dell’intero procedimento di primo grado, perchè incardinato nei confronti di un minore (incapace) chiamato all’eredità, il quale era ammesso al beneficio della accettazione con beneficio di inventario.
I primi due motivi del ricorso principale, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, sono infondati.
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha affermato che il raggiungimento della maggiore età avvenuto nel corso del giudizio di primo grado, tempestivamente dichiarato in sede di comparsa conclusionale, determina automaticamente la interruzione del giudizio.
La decisione di primo grado, la quale non aveva dichiarato la interruzione del processo, pronunciando nei confronti del rappresentante del minore (divenuto maggiorenne) è stata dichiarata nulla dai giudici di appello, i quali sono scesi all’esame del rapporto sostanziale che formava oggetto della controversia, senza rimettere la causa al primo giudice, decidendola nel merito.
A tale conclusione i giudici di appello sono pervenuti dopo aver rilevato, con corretta motivazione, che nel caso di specie non vi era stata alcuna lesione del contraddittorio poichè V.A. si era costituito tempestivamente nel giudizio di secondo grado, proponendo appello unitamente alla madre, D.P.M.L..
In tal modo, la Corte Territoriale si è uniformata all’insegnamento di questa Corte, secondo cui il giudice di appello che dichiari la nullità’ della sentenza per la mancata interruzione (automatica) del processo a seguito della morte del procuratore, deve trattenere la causa e giudicare nel merito in virtù del principio della conversione dei vizi della sentenza di primo grado in motivi di gravame, non rientrando tale nullità1 fra i casi nei quali il giudice di appello debba rimettere la causa al primo giudice (artt. 353 e 354 cod. proc. civ.). (Cass. 22/ marzo 1996 n. 2493).
Come corollario di tale principio – è stato tuttavia affermato (Cass. cit.) – in questi casi la decisione del giudice d’appello deve contenere una motivazione del tutto autonoma, priva cioè di riferimenti alla sentenza impugnata dichiarata nulla.
Nel caso di specie, la Corte di merito ha rispettato in pieno tale insegnamento, poichè ha espresso le proprie valutazioni in modo del tutto autonomo, rispetto alle considerazioni logiche e giuridiche operate dal Tribunale.
I giudici di appello hanno richiamato, così sostituendo integralmente la motivazione del primo giudice, i risultati della consulenza tecnica di ufficio, precisando che l’ausiliare del giudice era giunto a ritenere la appartenenza a V.P. di entrambe le sottoscrizioni.
Ora sulla piena utilizzabilità della relazione del consulente tecnico nominato dall’ufficio nel giudizio di appello non vi è alcun dubbio, considerato che il minore risultava legittimamente rappresentato dalla propria madre e che questa aveva potuto difendersi pienamente in quella fase del giudizio, provvedendo alla nomina di un consulente tecnico di parte, che aveva preso parte alle operazioni dell’ausiliare del giudice, depositando anche proprie note (argom. da Cass. 343 del 1994 e 5659 del 1990).
I giudici di appello, con autonoma motivazione, hanno concluso che la metodologia seguita, la applicazione concreta di essa e la conclusione finale della c.t.u. dovevano essere interamente condivise, resistendo ai rilievi, in massima parte ultronei del consulente di parte dell’opponente, che – nella propria relazione – aveva dichiarato solamente di “dissentire non tanto per gli esiti a cui giunge il c.t.u. quanto per il mancato approfondimento e per gli effetti che tali risultati sortiscono a nocumento della signora D. P. e del figlio”.
La Corte territoriale ha osservato ancora che il consulente di parte si era limitato a prospettare due ipotesi alternative, del tutto contraddittorie ed indimostrate, adombrando che le firme false fossero state apposte per mano di un “consanguineo”, in considerazione della “straordinaria somiglianza” delle due grafie, oppure che le stesse derivassero dalla “costruzione del documento su foglio formato in bianco” così concludendo che il consulente di parte D.P., in buona sostanza, non aveva confutato gli argomenti svolti dal consulente tecnico di ufficio.
Conseguentemente, i primi due motivi del ricorso principale devono essere rigettati.
Del tutto infondato è anche l’ultimo motivo di ricorso, considerato che la norma contenuta nell’art. 486 c.c., comma 1, può essere fatta valere solo dal minore, nel cui interesse è posta e che, comunque, la mancanza di accettazione col beneficio di inventario, risulta sanata dal raggiungimento della maggiore età del figlio nel corso del giudizio, dal momento che l’art. 486 c.c., comma 1 (secondo cui il chiamato all’eredità, che sia nel possesso dei beni ereditari, durante i termini stabiliti per fare l’inventario o per deliberare può stare in giudizio come convenuto per rappresentare l’eredità) si applica anche al minore, il quale, senza provvedere alla accettazione con beneficio di inventario nel termine di un anno, è considerato erede puro e semplice.
Conclusivamente il ricorso principale deve essere rigettato, con assorbimento del ricorso incidentale, espressamente indicato come condizionato. Sussistono giusti motivi per disporre la integrale compensazione delle spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010