LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –
Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –
Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –
Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere –
Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 12266-2005 proposto da:
PI.MA. *****, in proprio e quale legale rappresentante del Centro Studi ***** e di D.
A.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 76, presso lo studio dell’avvocato INFASCELLI FRANCESCA, rappresentati e difesi dall’avvocato CASSINI ALBERTO con delega in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
O.G., P.F., M.S.I.;
– intimati –
sul ricorso 15807-2005 proposto da:
M.I., ved. S. e G.D. ved. O., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI SS. QUATTRO 56, presso lo studio dell’avvocato TARSITANO FAUSTO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato BATTOCLETTI RINO con delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrenti –
PI.MA., D.A.M.;
– intimati –
sul ricorso 15811-2005 proposto da:
P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI SS.
QUATTRO 56, presso lo studio dell’avvocato TARSITANO FAUSTO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BATTOCLETTI RINO per procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente –
e contro
PI.MA., D.A.M.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 176/2004 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, Prima Sezione Civile, emessa il 16/01/2004; depositata il 20/03/2004;
R.G.N. 206/2001;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/11/2009 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;
udito l’Avvocato ALBERTO CASSINI;
udito l’Avvocato RINO BATTOCLETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale ” P.” assorbimento altro ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- O.G., P.F. e S.M. furono ricompresi – nel libro intitolato “***** …”, scritto da Pi.Ma. e da D.A.M. ed edito nel ***** dal “***** – nell’elenco di persone indicate come responsabili di deportazioni e/o collaborazionisti del IX Corpus e delle armate titine”.
Nel 1999 l’ O., il P. ed M.I., vedova di S.M., agirono giudizialmente nei confronti degli autori e dell’editore chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni (indicati in L. 250.000.000 per ognuno) derivati dall’affermata diffamazione. Sostennero che nessuno dei tre aveva concorso alla deportazione di alcuno e ritennero offensivo l’epiteto di “collaborazionisti”.
Il P. si dolse inoltre d’essere stato indicato, in un’intervista rilasciata il ***** dallo stesso Pi.Ma.
al quotidiano “*****”, come autore dell’arresto in ***** di due componenti del CNL, da quel momento definitivamente scomparsi. Negò la verità del fatto e chiese per questo la condanna del Pi. al pagamento di ulteriori L. 350.000.000.
I convenuti resistettero.
Con sentenza n. 1442 del 2000 l’adito tribunale di Pordenone, in parziale accoglimento delle domande, condannò solidalmente i convenuti al pagamento di L. 10.000.000 ad ognuno degli attori, ed il Pi. al pagamento di ulteriori L. 3.000.000 al P. in relazione alla menzionata intervista.
2.- La corte d’appello di Trieste, decidendo con sentenza n. 176 del 2004 sull’appello del Pi. e della D., ha riformato la sentenza esclusivamente sul secondo punto, escludendo la natura diffamatoria dell’intervista, e l’ha confermata in ordine al contenuto del libro “***** …”.
3.- Avverso detta sentenza ricorrono per cassazione Pi.Ma.
ed D.A.M., affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso P.F., che propone ricorso incidentale, fondato su due motivi.
Resistono con distinto controricorso anche M.I., vedova S., e G.D., vedova O., che propongono ricorso incidentale condizionato, basato su un unico motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- I ricorsi vanno riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
A) Il ricorso principale di Pi./ D..
2.- Col primo motivo la sentenza è censurata per insufficiente e comunque contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
I ricorrenti si dolgono che la corte d’appello abbia concluso nel senso che la definizione di O., P. e S. quali “collaborazionisti e/o responsabili di deportazioni” sia stata frutto di una personale valutazione degli autori del libro “***** …” pur dopo la produzione delle sentenze dalle quali – come affermato dalla stessa corte territoriale – “si ricava con certezza che sia l’ O. che lo S. vennero rinviati a giudizio … in quanto ebbero ad organizzare e dirigere una formazione partigiana operante nelle valli del ***** in stretto collegamento con le forze partigiane ***** al fine di separare tale territorio dall'***** e a vessare la popolazione di sentimenti italiani, al fine di favorire l’unione delle valli del *****”. Attribuendo valenza al fatto che il proscioglimento per essersi il reato estinto per amnistia impedisce di ritenere accertato il reato stesso ed ignorando gli elementi probatori comunque acquisiti in sede penale (fra i quali episodi efferati come violenze nei confronti della popolazione, omicidi, sequestri di persona, devastazione delle sedi comunali, distruzione dei registri dello Stato civile) che avevano consentito al giudice istruttore di Udine di qualificare lo S., di cui O. era il più stretto collaboratore, “figura talmente importante e preminente che viene addirittura definito *****, la corte d’appello sarebbe incorsa nel vizio di omesso esame di punti decisivi della controversia, essendo quei fatti avallati anche dai prodotti brani di cronaca giudiziaria dell’epoca e dai testi di autorevoli storici.
La motivazione è inoltre indicata come contraddittoria laddove afferma che, sulla base della documentazione dimessa in causa, “legittimamente si poteva giungere alla conclusione storica che P., S. e O., oltre ad aver combattuto contro le forze nazifasciste …, anche perseguivano la finalità ulteriore di unire allo Stato *****, retto da un sistema politico di democrazia socialista a loro gradito, parti del *****”, ma che “tuttavia tale conclusione rimaneva sempre il prodotto di personale elaborazione di elementi probatori, non sussistendo alcun accertamento giudiziale con forza di giudicato”.
Osservano i ricorrenti che ogni giudizio storico è necessariamente frutto della personale elaborazione dello studioso e che quella elaborazione può valere ad integrare una diffamazione solo se sia arbitraria.
La motivazione è, infine, tacciata di illogicità per difetto di coerenza fra le varie ragioni esposte nella parte in cui, condividendo la tesi del tribunale, la corte d’appello ha affermato che “è necessaria non solo la sussistenza della veridicità dei fatti affermati, ma pure l’esposizione al lettore degli elementi fattuali sui quali si fonda l’affermazione”; e ciò perchè non è sufficiente “una generica e complessiva indicazione di fonti, lumeggiandosi come certi i fatti affermati”, essendo invece necessaria “la loro esplicazione specifica in relazione ad ogni persona indicata nell’elenco”. La corte avrebbe così affermato l’esigenza di una sorta di obbligo di allegazione, omettendo di considerare che – trattandosi di elenchi con centinaia di nomi – l’indicazione della fonte e dello specifico episodio legittimante il giudizio espresso dagli autori avrebbe reso illeggibile il testo storico (e qualunque altro testo di tale natura). La critica storica – concludono i ricorrenti – esige, invece, solo che i fatti siano veri e che siano stati puntualmente verificati, come nella specie era accaduto sulla base di fonti attendibili, quali testi precedentemente pubblicati, scampoli di cronaca dell’epoca, indagini di polizia giudiziaria che avevano determinato il rinvio a giudizio.
2.1.- Le censure sono infondate.
L’ultima, che attiene all’autentica ratio decidendi della sentenza, si atteggia per vero come critica relativa all’applicazione di norma di diritto, piuttosto che come vizio della motivazione. Sostenere che il diritto di critica storica può legittimamente risolversi in una lesione dell’altrui reputazione sol che i fatti su cui si fonda siano veri, indipendentemente dall’indicazione specifica di quanto viene attribuito ad ognuna delle persone che vengono considerazione, significa invero invocare un principio di diritto; e l’assumere che di quel principio non è stata fatta applicazione ineluttabilmente si risolve in una doglianza di violazione di norme, nella specie tuttavia non prospettata.
La motivazione è, peraltro, del tutto congrua e niente affatto contraddittoria.
Conviene prendere le mosse dal rilievo officioso – possibile in relazione alla natura del vizio denunziato in procedendo) – che dalle pagine da 7 6 a 7 8 del libro “***** …” vengono indicati 85/90 nomi sotto il titolo “*****” ed il sottotitolo del seguente, completo testuale tenore: “RESPONSABILI DI DEPORTAZIONI E/O COLLABORAZIONISTI DEL IX CORPUS E DELLE ARMATE TITINE (Da testimonianze familiari vittime, da testimonianze partigiani combattenti, da ricerche e pubblicazioni: L.P., B.G., P.L. O.P., A.N., P.G. da copie denunce presentate presso la Questura di Gorizia, da Informative Associazione Famiglie Deportati in *****, dalla Div. *****, da Archivi *****, da Centro Studi *****, da *****, da *****, da *****, da *****, da *****, da *****, da *****, da *****, da ***** e da resoconti di Processi ed Inchieste Giudiziarie del dopoguerra)”. Segue l’elenco dei nomi (talora seguiti dal soprannome o nome di battaglia), tra cui quelli degli attori in primo grado, senza ulteriori indicazioni.
La corte d’appello ha ritenuto che la scelta operativa degli autori non solo impedisse ogni approfondimento circa l’effettiva esistenza dei fatti e delle condotte sulla base dei quali gli attori in primo grado erano stati indicati come responsabili di collaborazionismo o di deportazioni di persone con sentimenti di italianità, “ma financo di capire se O., P. e S. furono dei meri collaborazionisti ovvero concorsero anche a deportare gli avversari politici” (pagina 13 della sentenza). Ebbene, tale ovvia considerazione della corte di merito non è oggetto di specifica censura, benchè sia immediatamente comprensibile come altro sia il “collaborazionismo” (nel senso, indicato dalla corte d’appello, di perseguimento del fine politico dell’inserimento di un territorio in uno Stato anzichè in un altro (segnatamente da parte di soggetti di etnia non *****) ed altro il rendersi responsabili di reati, ovvero addirittura di crimini contro l’umanità, quali (anche secondo il diritto internazionale) innegabilmente sono le deportazioni.
E di reati specificamente commessi dai tre soggetti menzionati la corte d’appello ha ritenuto che il testo non fornisse prova alcuna, non essendo all’uopo sufficiente “una generica e complessiva indicazione di fonti, lumeggiando come veri i fatti affermati”, ma occorrendo invece “una loro esplicazione specifica in relazione ad ogni singola persona indicata nell’elenco, che consentisse al lettore di apprezzare le conclusioni per quello che erano: loro personale valutazione di elementi di prova” (così la sentenza impugnata, alle pagine 13 e 14).
L’iter argomantativo non è affatto contraddittorio, considerato anche che difettava una generale, già comunemente acquisita notorietà storica dei personaggi e dei fatti di cui ciascuno poteva essersi reso protagonista ed essendo il libro evidentemente destinato anche a chi degli specifici fatti non aveva pregressa contezza.
Nè può dirsi carente la motivazione per non avere il giudice del merito apprezzato nel senso propugnato dai ricorrenti gli elementi acquisiti nel processo penale conclusosi con l’applicazione dell’amnistia; elementi che, a giudizio della corte d’appello, proprio in ragione del difetto di un accertamento giudiziale al riguardo, “mantengono in sè una certa valenza di opinabilità”; la quale – questo il senso della decisione – in tanto avrebbe legittimato l’inclusione dei tre nell’elenco dei possibili deportatori in quanto al lettore fossero stati quantomeno offerti gli specifici elementi di fatto sulla base dei quali gli autori avevano espresso la loro opinione critica.
3.- Col secondo motivo è denunciata insufficiente e contraddittoria motivazione con riguardo alla posizione del solo P., sostenendosi che se la corte d’appello aveva ritenuto non smentita dall’istruzione probatoria la partecipazione del medesimo all’episodio che aveva comportato la scomparsa dei patrioti Ol.
e Sv. (episodio riferito dal Pi. nell’intervista che il P. assumeva diffamatoria e che secondo la corte non era stata tale), non avrebbe potuto al contempo ritenere arbitraria l’accusa, rivolta allo Stesso P. nel libro, di essere stato collaborazionista e responsabile di deportazioni. Il motivo va esaminato congiuntamente alla opposta censura mossa alla sentenza dal P. col ricorso incidentale.
B) Il ricorso incidentale di P..
4.- Col primo motivo è denunciata “omessa valutazione delle prove ed in particolare contraddittoria motivazione sui punti decisivi della compatibilità dei documenti con le prove testimoniali e dell’interpretazione dei documenti stessi”.
4.1.- Già l’intitolazione del motivo rende palese che la censura inammissibilmente concerne l’apprezzamento dei fatti compiuto dal giudice del merito. Il ricorrente si duole infatti che la corte territoriale non abbia considerato che la mattina del ***** il P. non poteva trovarsi a *****, come invece affermato dal prof. Mu. nel suo diario, in quanto due testi avevano dichiarato che quel giorno egli si trovava con loro a *****, distante alcune decine di chilometri. Senonchè, dal contenuto della deposizione riportata in ricorso risulta anche che un teste “non” era stato insieme al P. quella mattina e che l’altro teste aveva solo visto il P. (non è specificato se di mattina o di pomeriggio) e che egli (il teste) non era rimasto fino a sera.
Nessuna delle due dichiarazioni è dunque drasticamente incompatibile con la presenza del P. a ***** la mattina del *****, sicchè il vizio denunziato non sussiste.
Che poi, secondo il ricorrente, la motivazione sia illogica e contraddittoria rispetto ai documenti prodotti (nel senso che dall’accompagnamento di Ol. e Sv. in Prefettura da parte del P. si poteva al più supporre che all’accompagnamento fosse succeduto un arresto) è valutazione di puro merito, la cui difformità da quella compiuta dalla Corte d’appello non è in sè sintomatica di un vizio della sentenza.
La Corte d’appello ha in proposito ritenuto (alle pagine da 14 a 18 della sentenza) che dall’esito dell’approfondita istruzione probatoria (che non è qui il caso di ripercorrere) non era risultata smentita, ma anzi confermata, la partecipazione del P. alla vicenda che portò alla scomparsa dell’ Ol. e dello Sv. (o s.); che erano rappresentanti del Partito Socialista Italiano in seno al CNL di ***** e che il P., commissario della formazione partigiana ***** IX Corpus, invitò a recarsi con lui presso il comando delle forze armate *****, affermando che il comandante desiderava conoscerli. La corte di merito ha inoltre considerato che era risultato, come appunto specificato dal Pi. nell’intervista, che le modalità di svolgimento dell’episodio erano state riferite da Mu.Em., rappresentante del P.C.I. in seno al C.N.L. di *****, il quale aveva in particolare affermato che il P. “lo fece scendere con una scusa in ***** per allontanarsi con l’ Ol. e lo Sv. verso il Comando *****” (pagina 15 della sentenza).
La conclusione della corte territoriale che l’episodio era vero (al di là dell’improprietà dell’uso del termine “arresto” riferito al P.), che nell’intervista era stata specificamente indicata la fonte delle informazioni del Pi. e che, per questo, vi era stato legittimo esercizio del diritto di cronaca, al contempo manifesta sia l’infondatezza del motivo del ricorso del P., che attiene ad un motivato apprezzamento del fatto, sia del secondo motivo del ricorso principale – di cui s’era più sopra rinviato lo scrutinio – giacchè la ragione dell’esimente è ravvisata anche nella indicazione specifica della fonte, invece del tutto difettata nel testo del libro “***** …”.
5.- Col secondo motivo la sentenza è censurata per “violazione e falsa applicazione dell’art. 595 c.p. anche in relazione all’art. 21 Cost., nonchè omessa ed insufficiente motivazione circa il punto decisivo dell’esimente del diritto di critica storica”.
5.1.- Il motivo è infondato:
a) nella parte in cui il ricorrente fa leva sulla verità della notizia come presupposto legittimante il legittimo esercizio del diritto di cronaca ed assume che la notizia non era vera, poichè la notizia era invece vera, secondo quanto ritenuto dalla corte d’appello con le affermazioni infondatamente contestate col motivo sopra esaminato;
b) nella parte in cui assume che non ricorrono i presupposti della scriminante costituita dalla verità putativa, perchè la verità tout court della notizia rende evidentemente impropria ogni considerazione della verità putativa, che presuppone la non verità oggettiva della notizia. Per il resto, il motivo reitera le considerazioni già disattese nell’esame del motivo precedente.
C) Il ricorso incidentale di M.I., vedova S., e G.D., vedova O..
6.- Il ricorso risulta assorbito, in quanto con lo stesso è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. nell’assunto che siano state illegittimamente acquisite in appello le sentenze penali del tribunale di Udine e della corte d’assise di Firenze che avevano definito un processo penale iniziato negli anni ’50 a carico dello S. e dell’ O..
Si tratta, invero, di ricorso da ritenersi condizionato all’accoglimento di quello principale, invece respinto. D) Conclusioni.
7.- Vanno conclusivamente respinti il ricorso principale e quello incidentale di P.F., con assorbimento del ricorso incidentale M./ G..
Le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate: in ragione della soccombenza reciproca nel rapporto processuale tra Pe./ D. e P. e per giusti motivi quanto agli altri rapporti processuali, iscrivendosi la vicenda esaminata nel retaggio di un contesto storico caratterizzato da efferatezze ed abomini solo tardivamente proclamati e nelle conseguenti tensioni derivatene.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e quello incidentale del P., dichiara assorbito l’altro ricorso incidentale e compensa tra tutte le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010