Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.707 del 19/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12380/2005 proposto da:

C.G. *****, ANTENNA TARANTO 6 SRL in persona della Sig.ra C.M., elettivamente domiciliati in ROMA, LUNGOTEVERE DEI MELLINI 44, presso lo studio dell’avvocato IMPERIO Michele che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO SIMEONE con delega in atti;

– ricorrenti –

contro

19 LUGLIO SCARL *****, B.A. C.F.

*****, T.S. C.F. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DARDANELLI 37, presso lo studio dell’avvocato CAMPANELLI GIUSEPPE, rappresentati e difesi dall’avvocato LEOPARDI Salvatore con delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

P.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 51/2005 della CORTE D’APPELLO di LECCE, Sezione Seconda Civile, emessa il 26/11/2004; depositata il 13/02/2005; R.G.N. 210/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 25/11/2009 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;

udito l’Avvocato SALVATORE LEOPARDI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Nel ***** C.G., in proprio e quale legale rappresentante della s.r.l. Antenna Taranto 6, convenne in giudizio davanti al tribunale di Lecce l’Ufficio dell’Alto Commissario per la lotta contro la delinquenza mafiosa, gli onorevoli S.B. ed Ba.An., la “Cooperativa 19 luglio”, editrice del quotidiano “*****”, ed i direttori responsabili B.A., T.S. e P.F., chiedendo di essere risarcito dei danni non patrimoniali subiti:

a) per la divulgazione nel territorio di ***** a giornali, segreterie politiche ed uffici sindacali, di notizie riservate rivenienti dallo stralcio di una relazione dell’Alto Commissario che lo riguardava, che doveva per sua natura rimanere segreta e che conteneva notizie false, distorte e prive di riscontro oggettivo;

b) per l’avvio di un’ulteriore campagna denigratoria da parte di due parlamentari citati che, mediante interrogazioni parlamentari, avevano “ripescato e rilanciato tutto il fango contenuto nello stralcio del fascicolo”;

c) per la ripresa della campagna denigratoria da parte del menzionato quotidiano locale di ***** che, acriticamente sposando la linea accusatoria, aveva raccolto e diffuso le notizie senza alcuna preventiva verifica.

I convenuti resistettero. La Cooperativa eccepì pregiudizialmente l’incompetenza territoriale del tribunale di Lecce, indicando come competente quello di *****.

Con sentenza del 12.3.2001 l’adito tribunale disattese l’eccezione di incompetenza, rigettò la domanda nei confronti dell’Alto Commissariato, dichiarò improponibile quella nei confronti del S. e del Ba. ed accolse quella nei confronti degli altri convenuti, che condannò al risarcimento dei danni.

2.- La corte d’appello di Lecce, decidendo con sentenza n. 51/05 sull’appello dei soccombenti, ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado, nella parte che li riguardava, per la ravvisata incompetenza del territorio del tribunale di Lecce. Ha in particolare escluso che fra le cause esistesse connessione per l’oggetto o per il titolo e che potesse dunque trovare applicazione l’art. 33 c.p.c..

3.- Se ne dolgono con ricorso per cassazione C.G. e la s.r.l. Antenna Taranto 6, affidandosi ad un unico motivo cui congiuntamente resistono con controricorso la Cooperativa 19 luglio, B.A. e T.S..

Il 13.11.2009 il ricorrente C. ha depistato un atto difensivo definito “memoria di costituzione in aggiunta”.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- E’ denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 19, 33 e 103 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 2, 3 e 5, per avere la corte d’appello escluso che fra le cause promosse nei confronti dei vari convenuti esistesse connessione per l’oggetto o per il titolo, tale da giustificare che tutti fossero convenuti davanti al giudice del luogo di residenza o domicilio di una di esse.

Sostengono i ricorrenti che, poichè era invocato l’accertamento di un fatto diffamatorio che si sostanziava, per tutti i convenuti, nella divulgazione o nell’illegittimo richiamo di notizie lesive della reputazione e dell’immagine del C., fra le cause v’era identità sia di titolo che di oggetto, essendo tutti i convenuti chiamati a rispondere della medesima condotta.

2.- La censura è inammissibile in quanto del tutto prescinde, limitandosi alla prospettazione della tesi disattesa, dalle puntuali argomentazioni addotte sul punto dalla corte d’appello alle pagine 6 e 7 della sentenza impugnata, la quale ha diffusamente argomentato in ordine all’esclusione di una connessione tra le cause che giustificasse la deroga alla competenza territoriale di cui all’art. 33 c.p.c..

La Corte Territoriale ha, anzitutto “escluso in radice ogni possibilità di riferimento alla connessione per l’oggetto, giacchè questa ricorre quando i più diritti azionati hanno ad oggetto uno stesso termine di riferimento, e cioè lo stesso bene o la stessa prestazione”. Ha poi posto in rilievo come la domanda spiegata nei confronti dell’Alto Commissariato fosse fondata sull’illegale diffusione dello stralcio di una relazione riguardante il C., quella avanzata nei confronti degli onorevoli S. e Ba.

sul contenuto denigratorio delle loro interrogazioni parlamentari, quella proposta nei confronti degli appellanti (attuali controricorrenti) sulla diffusione a mezzo stampa di notizie riguardanti fatti relativi al C.. Ed ha concluso che “ciò che sembra accomunare le tre domande è semplicemente il riferimento ad un ricorrente e comune contenuto denigratorio di notizie e fatti diversi riguardanti lo stesso contesto storico e soggettivo, ma tale semplice ed empirico legame non può essere inteso in termini di connessione sulla base del titolo, difettando quella comunanza, parziale o totale, di fatto costitutivo unico che è richiesta dalla norma per giustificare la deroga alla competenza territoriale”.

Ebbene, agli argomenti addotti dalla corte d’appello i ricorrenti non contrappongono argomenti diversi, come avrebbero dovuto in relazione al fatto che oggetto dell’impugnazione è la sentenza, ma si limitano a ribadire i propri originari assunti, omettendo di sottoporre a specifico vaglio critico le considerazioni in base alle quali quegli assunti erano stati disattesi. Non è dunque soddisfatto il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, il quale presuppone la contestazione, tutte le volte che siano state sviluppate, delle ragioni sulle quali il giudice della sentenza impugnata ha fondato la propria decisione.

3.- Il ricorso è respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 4.700,00, di cui Euro 4.500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010

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