LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VARRONE Michele – Presidente –
Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –
Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –
Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 11527/2005 proposto da:
F.B. *****, F.V., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CARLO DELLA ROCCA 57, presso lo studio dell’avvocato CONTINI SPERTI ADRIANA, rappresentati e difesi dall’avvocato CABIDDU Maria Caterina con delega a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
M.M., P.R., P.G.;
– intimati –
sul ricorso 11635/2005 proposto da:
M.M., P.R., P.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A. BAIAMONTI 4, presso lo studio dell’avvocato AMATO RENATO, rappresentati e difesi dall’avvocato SEQUI MARCELLO con delega a margine del controricorso e ricorso incidentale condizionato;
– ricorrenti –
e contro
F.B., G.V.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 11/2004 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, Sezione Agraria, emessa il 30/11/2004; depositata il 22/12/2004;
R.G.N. 194/2003;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 01/12/2009 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;
udito l’Avvocato RENATO AMATO (per delega Avv. MARCELLO SEQUI);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 30 novembre – 22 dicembre 2004 la Corte di appello di Cagliari ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda di risarcimento danni proposta da F. B. e F.V. contro M.M., P. R. e P.G. (tutti eredi di P.E.) per avere concesso quest’ ultimo un fondo in affitto, in *****, che si era rivelato non idoneo alla coltivazione di pomodori.
I F. avevano dedotto di aver concluso un contratto di affitto avente ad oggetto alcuni terreni di proprietà del P., siti in agro di *****, della superficie di trentasette ettari, per un corrispettivo di L. 37.000.000. Tra le parti era stato espressamente convenuto che i terreni sarebbero stati adibiti esclusivamente alla coltivazione di pomodori. Nel ricorso al Tribunale, i ricorrenti esponevano che su una superficie di undici ettari la produzione di pomodori era andata completamente distrutta, e che su altri quattordici ettari la produzione era stata largamente inferiore al previsto.
Confermando la decisione del Tribunale, i giudici di appello osservavano che i due attori erano sicuramente a conoscenza del fatto che il fondo fosse stato utilizzato in precedenza per la coltivazione del riso e, pertanto, anche del fatto che esso potesse essere naturalmente inidoneo – almeno per un anno – all’impianto di colture differenti, come quella del pomodoro, le quali soffrono notoriamente per l’eccesso di acqua nel suolo (anche per i residui di diserbanti chimici ancora presenti nel suolo, comunemente utilizzati per la coltivazione del riso, da considerare dannosi per la coltivazione di altre piante orticole).
Il vizio del bene oggetto della locazione doveva considerarsi ben noto ai conduttori, esperti coltivatori, in quanto da loro immediatamente riconoscibile.
Del tutto inutile, pertanto, appariva la prova tendente a dimostrare che i conduttori F. fossero a conoscenza delle condizioni del terreno.
Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione B. e F.V. con quattro, distinti, motivi.
Resistono con controricorso M.M., P.R. e P.G., proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato, sorretto da un unico motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve innanzi tutto disporsi la riunione dei due ricorsi, proposti contro la medesima decisione.
I ricorrenti principali, con il primo motivo, deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
La Corte territoriale ha motivato il rigetto della domanda proposta dagli attuali ricorrenti adducendo la conoscenza o conoscibilità in capo agli stessi del vizio dei terreni, risultati poi inquinati dal precedente uso di diserbanti.
A tale conclusione i giudici di appello erano giunti sulla base di semplici presunzioni, del tutto prive del carattere della gravità, precisione e concordanza.
Anche i fatti indicati dai giudici di appello dovevano considerarsi del tutto vaghi e indeterminati nella loro realtà storica. Non poteva riconoscersi il carattere della gravità e delle concordanza alla circostanza che i F. fossero a conoscenza del fatto che i terreni fossero in precedenza coltivati a riso e che i terreni coltivati a riso siano, di per sè, del tutto inidonei ad altre coltivazioni.
Con il secondo motivo, i ricorrenti principali deducono la violazione di norme di legge, in particolare degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè omessa, insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).
Nel caso di specie, gli elementi presuntivi risultavano palesemente contrari al contenuto delle prove documentali e testimoniali raccolte nel giudizio e ritualmente dedotti anche in sede di appello.
Tutti gli esperti sentiti dai giudici avevano confermato che sui terreni prima coltivati a riso è possibile coltivare, nella successiva annata agraria, il pomodoro, con buon esito.
I giudici di appello non avevano tenuto conto delle risultanze istruttorie e non avevano fornito alcuna giustificazione atta a spiegare la prevalenza conferita alla (ritenuta) presunzione.
I ricorrenti principali, con il terzo motivo, denunciano violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1617, 1175, 1375, 1575 e 1578 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5); i giudici di appello avevano violato, in particolare, l’art. 1617 c.c., che prevede un obbligo per il locatore di consegnare la cosa al conduttore in condizioni da servire all’uso ed alla produzione cui è destinata.
Come gli attuali ricorrenti avevano già dedotto in primo grado ed in sede di appello, il P. aveva un preciso obbligo di informare i fratelli F. circa il fatto, solo da lui conosciuto e conoscibile, che sui terreni era stato usato un diserbante incompatibile con la coltivazione del pomodoro.
Si trattava, all’evidenza di una circostanza essenziale per la stessa possibilità di esecuzione del contratto, che il P. conosceva e che ha invece occultato ai ricorrenti.
Tra l’altro, il divieto di coltivazione del pomodoro su terreno trattato col diserbante Facet è espressamente contenuto nella etichetta del prodotto e che al P., risicoltore da moltissimi anni, non potevano sfuggire le caratteristiche dei diserbanti utilizzati e le relative modalità di uso.
Con il quarto motivo, i ricorrenti principali deducono, infine, violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 1575, 1578, 1617 e 1218 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3).
I giudici di appello avevano violato anche i principi in materia di inadempimento contrattuale, con specifico riferimento alla presunzione di conoscenza in capo al locatore della sussistenza dei vizi della cosa e della presunzione di responsabilità per inadempimento.
Non avendo il locatore assolto all’onere probatorio posto a suo carico, e risultando anzi evidente il comportamento negligente del medesimo, i giudici di appello avrebbero dovuto affermare la piena responsabilità del P. condannandolo al risarcimento dei danni per inadempimento.
I quattro motivi, da esaminare congiuntamente loro, in quanto connessi tra di loro, sono infondati.
Con motivazione del tutto adeguata, che sfugge alle censure di violazione di legge e di vizi della motivazione, la Corte territoriale ha escluso qualsiasi inadempimento del proprietario, sottolineando che la consegna di una cosa che risulti poi inidonea a realizzare l’interesse del conduttore non comporta la violazione dei doveri che incombono sul locatore quanto risulti che il conduttore conosceva o poteva conoscere (come appunto si era verificato nel caso di specie per il fondo in Oristano di proprietà del P., per gli affittuari F.) la possibile inidoneità del bene medesimo.
Nel caso di specie, il primo giudice aveva sottolineato che la circostanza della precedente coltivazione a riso del terreno oggetto del contratto di affitto era perfettamente nota ai ricorrenti, per la stessa ammissione contenuta nella prospettazione del ricorso introduttivo.
E che rientra nelle nozioni di comune esperienza, note dunque anche a chi non eserciti l’attività agricola, che la coltivazione del riso necessiti di terreni pianeggianti, facilmente allagabili.
Di conseguenza – ha ragionato la Corte territoriale, condividendo integralmente le osservazioni formulate al riguardo dal giudice di primo grado – anche le persone non dedite professionalmente all’esercizio della agricola sono in grado di rendersi conto sia del fatto che un terreno sul quale sia stato coltivato il riso sia naturalmente pregno di acqua, sia del fatto che esso sia, di conseguenza, naturalmente inidoneo all’impianto di colture differenti le quali, come il pomodoro, soffrano per l’eccesso di acqua presente sul fondo.
Da ultimo, hanno concluso i giudici di appello, chi sia dedito professionalmente alla coltivazione dei pomodori come espressamente hanno prospettato gli attuali ricorrenti – non può ragionevolmente ignorare il fatto che i diserbanti chimici utilizzati normalmente per la coltivazione del riso siano dannosi per altre piante e quindi che i terreni trattati con tali sostanze, prima di essere destinati ad altre coltivazioni, debbano necessariamente subire un trattamento di eliminazione dei residui del prodotto con il “riposo” di almeno un anno.
Si tratta di accertamenti in fatto, logicamente motivati, e di presunzioni ritenute gravi f precise e concordanti dai giudici di appello.
La sentenza impugnata resiste pertanto a tutte le censure contenute nel ricorso principale dei F..
Il ricorso principale deve essere rigettato.
Con il ricorso incidentale condizionato i controricorrenti deducono vizi della motivazione violazioni di norme di legge (avendo i giudici di appello tenuto conto delle seconde analisi effettuate dal consulente nominato dall’ufficio senza alcuna garanzia del contraddittorio, mediante prelevamento di alcune piante prelevate dal terreno – dato in affitto agli originari attori).
Il ricorso incidentale deve essere dichiarato assorbito, per effetto del rigetto del ricorso principale.
I ricorrenti principali devono essere condannati in solido tra loro al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale.
Condanna i ricorrenti principali in solido al pagamento delle spese che liquida in Euro 2.700,00 (duemilasettecento/00) di cui Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010