Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.709 del 19/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31563/2005 proposto da:

INSTRUMENTATION LABORATORY SPA *****, in persona del suo amministratore delegato pro tempore Dott. C.P.

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO 78, presso lo studio dell’avvocato SVARIATI ELVIRA, rappresentata e difesa dall’avvocato MAININI Daniela con delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

LOMBARDIA IMMOBILI D’IMPRESA SRL *****, in persona del suo legale rappresentante pro tempore Dott. O.G.

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 111, presso lo studio dell’avvocato D’AMATO Domenico, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati BUCCI ENNIO, VIVONA VITTORIO con delega in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1749/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO, Sezione Prima Civile, emessa il 16/03/2005; depositata il 02/07/2005;

R.G.N. 3389/C/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 01/12/2009 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito l’Avvocato ELVIRA SVARIATI (per delega Avvocato DANILEA MAININI);

udito l’Avvocato DOMENICO D’AMATO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo assorbito il resto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 16 marzo-2 luglio 2005, la Corte di appello di Milano, in accoglimento dell’appello proposto dalla Lombardia Immobili di Impresa avverso la decisione del locale Tribunale del 16-28 maggio 2003, condannava la Instrumentation Laboratori s.p.a. (d’ora in poi, I.L.) a pagare alla società appellante la somma di Euro 180.759,41, pari al 2,5% contrattualmente pattuito del prezzo di L. quattordici miliardi dell’immobile venduto, oltre IVA ed interessi legali dal 19 settembre 2000, data della conclusione dell’affare, fino all’effettivo saldo.

I giudici di appello rilevavano che – a seguito della revoca dell’incarico di mediazione per la vendita di un complesso immobiliare di proprietà della I.L. – la Lombardia Immobili di Impresa aveva chiesto la provvigione per avere messo in contatto la venditrice con una società del Gruppo Pirelli, che la mediatrice aveva contattato.

La domanda, secondo la Corte territoriale, meritava di essere accolta, poichè la Lombardia aveva svolto una attività tutt’altro che generica.

Infatti, la stessa non si era limitata a inoltrare alla I.L. nominativi qualsiasi, tratti da archivi di dati, accessibili a tutti, ma aveva utilmente prescelto, tra i diversi nominativi delle aziende indicate nell’elenco, trasmesso ad I.L., il nominativo di quella azienda che riteneva più interessata all’acquisto.

In effetti, l’affare era stato concluso con una delle società del medesimo Gruppo Pirelli, al quale apparteneva anche Milano Centrale Servizi, indicata come società che coordinava e sovrintendeva le operazioni immobiliari delle società del gruppo Pirelli: la società Pirelli Submarine, collegata alle altre segnalate da Lombardia Immobili di Impresa ad I.L..

Avverso questa decisione la I.L. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da quattro motivi, illustrati da memoria.

Resiste la Lombardia con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alle norme che disciplinano la mediazione (artt. 1754 e 1755 c.c.) oltre che in relazione alle norme che regolano la interpretazione dei contratti (art. 1362 c.c., e segg.).

Nel caso di specie, ad avviso della ricorrente, sarebbe mancata quella serie di attività che caratterizzano la figura della mediazione.

Non poteva dirsi sufficiente una semplice segnalazione del nominativo di un potenziale acquirente a determinare la insorgenza del diritto ad un compenso provvisionale sulla vendita, comunque realizzata dalla proprietaria.

Con il secondo motivo si deduce la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), in relazione alla previsione di cui all’art. 1322 c.c., in punto di autonomia contrattuale delle parti, oltre che in relazione alla previsione di cui all’art. 1325 c.c., n. 2, in punto di esistenza necessaria della causa tra i requisiti del contratto.

La difesa della I.L. aveva sempre contestato che il caso in esame rientrasse nella fattispecie della mediazione “atipica”.

I giudici di appello avevano condiviso le argomentazioni svolte da Lombardia, secondo le quali, al fine di decidere se il diritto a compenso fosse maturato a favore della società attrice, sarebbe stato sufficiente esaminare le condizioni del contratto, nella parte in cui sono indicate le condizioni per il sorgere del diritto alla provvigione (senza necessità di indagare circa la esistenza di quegli elementi fattuali che vengono generalmente in rilievo nella mediazione tipica di cui all’art. 1754 cod. civ., e segg.).

I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi tra di loro.

Gli stessi sono inammissibili, ancor prima che infondati.

Deve ribadirsi, innanzi tutto, il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale la interpretazione del contratto costituisce attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti incongrua o contraria a logica, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione.

Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutica, è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato.

Nel caso di specie, con ampia e articolata motivazione, la Corte territoriale ha preso in esame la questione sottoposta al suo esame e – dopo aver rilevato che le prove testimoniali articolate dalla società attrice, Lombardia, apparivano superflue in considerazione della posizione processuale assunta da I.L. (che non aveva specificamente contestato le circostanze dedotte) – ha concluso che una interpretazione delle clausole contrattuali che portasse a negare a Lombardia la provvigione, nel caso in cui la cliente avesse individualmente proseguito e concluso le trattative con una società interessata all’acquisto, segnalata dalla mediatrice, avrebbe contrastato con la regola secondo la quale il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 c.c.) costituendo, oltre tutto, una aperta violazione delle condizioni della stessa lettera di incarico.

Con questa, infatti, I.L. aveva dato a Lombardia la autorizzazione a promuovere la vendita e condurre le trattative relative al complesso industriale di sua proprietà, sito in *****, composta da una palazzina destinata ad uffici/laboratori, capannone ad uso laboratorio e capannone ad uso deposito.

I.L. aveva autorizzato Lombardia ad effettuare una azione promozionale a mezzo “direct marketing” attraverso offerte mirate, da inviare ad un adeguato numero di aziende potenzialmente interessate, delle quali Lombardia avrebbe dovuto far pervenire alla proprietaria il relativo elenco.

Era stabilito che “qualora la vendita dovesse concludersi con una delle aziende succitate a cui verrà inviata l’offerta, o comunque con aziende o persone da Voi presentate, il cui nominativo ci comunicherete a mezzo telefax, ovvero con società ad esse collegate, saremo tenuti al pagamento a Vostro favore” della provvigione del 2,5% per importi di vendita superiori ai 14 miliardi.

I.L. aveva precisato, inoltre, che, qualora fosse stata contattata direttamente da una delle aziende a cui era stato offerto l’immobile “e perciò risultante dall’elenco su citato”, avrebbe provveduto a comunicare a Lombardia il nominativo “al fine di procedere alla gestione della richiesta da parte Vostra”, mentre nulla sarebbe stato dovuto “nel caso in cui la vendita (venga) conclusa direttamente dalla nostra società (I.L.)”.

I giudici di appello hanno sottolineato che il diritto alla provvigione avrebbe dovuto essere riconosciuto a Lombardia, anche se l’affare fosse stato concluso con una società collegata ad una di quelle segnalate nell’elenco dei contratti presi dalla mediatrice, secondo gli accordi intervenuti tra le parti (che – ha precisato la Corte di merito – si erano protratti per oltre dieci giorni dal 29 febbraio al 9 marzo 2000).

La Corte territoriale ha aggiunto che, meno di quindici giorni dopo il conferimento dell’incarico, in data 22 marzo 2000, Lombardia aveva informato I.L. del fatto che il giorno 16 marzo 2000 aveva proposto la vendita del complesso in oggetto ai rappresentanti della società Pirelli (Milano Centrale Servizi spa) nella persona dell’ing. S. G..

Nella stessa data del 22 marzo 2000, Lombardia avevA inviato a I.L. l’elenco delle aziende alle quali aveva inviato l’offerta scritta relativa al complesso immobiliare di proprietà della cliente.

In tale elenco risultava anche il nominativo della Pirelli Cavi e Sistemi spa, società che appartiene allo stesso gruppo già segnalato in precedenza.

Le conclusioni cui è pervenuta la Corte territoriale sono in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale:

“In tema di contratto di mediazione, per il riconoscimento del diritto alla provvigione non rileva se l’affare si sia concluso tra le medesime parti o tra parti diverse da quelle cui è stato proposto, allorchè’ vi sia un legame, anche se non necessariamente di rappresentanza, tra la parte alla quale il contratto fu originariamente proposto e quella con la quale è stato successivamente concluso, tale da giustificare, nell’ambito dei reciproci rapporti economici, lo spostamento della trattativa o la stessa conclusione dell’affare su un altro soggetto” (Cass. 3 aprile 2009 n. 8126; cfr. Cass., n. 20549 del 2004).

E’ principio ripetutamente affermato da questa Corte che ai fini del diritto alla provvigione ex art. 1755 c.c., non occorre un perdurante intervento del mediatore il quale, cioè, non deve sorreggere tutte, le fasi della trattativa fino alla conclusione dell’affare, essendo sufficiente anche la semplice attività di segnalazione dell’affare medesimo, qualora costituisca il risultato di una ricerca fatta dal mediatore e poi valorizzata dalle parti con l’effettiva conclusione del contratto.

In altri termini, il diritto alla provvigione deve essere riconosciuto anche quando l’attività del mediatore non sia stata il fattore determinante ed esclusivo della conclusione dell’affare, essendo sufficiente, rispetto a questo, che la menzionata attività presenti il carattere della completezza, (cfr. sentt. nn. 15014/00, 7554/1997, 7048/1997, 1566/1997, 392/1997, 297/1996, 9350/1991).

E’ del pari principio incontroverso, in tema di mediazione, che l’accertamento della esistenza di un nesso di causalità tra l’affare concluso dopo la scadenza del mandato e l’attività svolta dal mediatore nel corso del mandato stesso costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato (cfr. sent. n. 15014/00, 4043/1999).

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4) in relazione alle norme che disciplinano la ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., ed in relazione al principio di disponibilità delle prove ex art. 115 c.p.c., ed ai criteri di valutazione delle prove da parte del giudice.

I giudici di appello avevano rilevato che I.L. non aveva contestato che l’ing. S., del settore immobiliare della Pirelli, avesse avuto incontri con i responsabili di I.L. e che lo stesso fosse informato della conclusione del contratto tra I.L. e Pirelli Submarine Telecom Systems Italia.

In particolare, la Corte territoriale aveva sottolineato che I.L. non aveva dedotto prova contraria per resistere alle istanze istruttorie dedotte in via cautelativa da Lombardia, traendo da tale constatazione, “la conferma ulteriore della proficuità e dell’importanza causale dell’opera svolta da Lombardia Immobili d’Impresa per promuovere la conclusione dell’affare richiesto da I.L.” (p. 18 della sentenza impugnata).

La società ricorrente rileva che, in effetti, nessuna delle circostanze capitolate dalle parti era stata ammessa e, dunque, non era dato comprendere in qual modo – sulla base del semplice tenore letterale delle stesse – i giudici di appello avessero potuto ricavare elementi per la propria decisione.

Nessuna delle circostanze dedotte da Lombardia era stata riconosciuta ed ammessa da I.L., nè provata a seguito di escussione di testimoni.

Tra l’altro, non corrispondeva neppure al vero che I.L. avesse trascurato di chiedere l’ammissione a prova contraria sulle circostanze dedotte dalla controparte: la richiesta, già formulata con la prima nota di replica del 4 febbraio 2002, era stata ribadita in sede di precisazione delle conclusioni.

In buona sostanza, Lombardia aveva azionato la propria pretesa solo sulla base della lettera di incarico del 9 marzo 2000 e la propria comunicazione, inviata via fax alla I.L. in data 22 marzo 2000.

Sulla base di questi soli due documenti, la Corte territoriale aveva accolto la domanda attrice.

In tal modo, la Corte aveva ritenuto provato ciò che provato non era affatto, ovvero a) l’avvenuto compimento delle attività in cui si concreta la mediazione, quali la conduzione e l’assistenza nelle trattative; b) la predisposizione ed il successivo invio, a tutte le aziende indicate negli elenchi trasmessi alla proprietà, delle “offerte mirate”; c) il collegamento esistente tra le varie società del gruppo Pirelli (in particolare tra la spa Milano Centrale Servizi spa e la spa Pirelli Submarine Telecon Systems Italia); d) l’esistenza di una offerta formale da parte di Milano Centrale servizi spa per l’acquisto del complesso immobiliare in questione; e) la qualifica, l’inquadramento organico e la legittimazione ad operare dell’ing. S., all’interno della Spa Milano Centrale servizi.

Per la nascita del diritto a provvigione, conclude la società ricorrente, non è sufficiente la messa in relazione delle parti, seppur finalizzata alla conclusione dell’affare.

Occorre, invece, che tra l’opera del mediatore e la conclusione dell’affare esista un nesso di causalità diretto.

In tal senso – sottolinea la società ricorrente depone chiaramente l’art. 1755 c.c., il quale richiede che l’affare sia concluso “per effetto” dell’intervento del mediatore. In altre parole, il mediatore deve provare che, pur in presenza di altri fattori concausali, il contratto non si sarebbe concluso senza il suo intervento.

I.L., opponendosi alla richiesta di pagamento della provvigione, aveva sostenuto che tra la conclusione dell’affare e l’attività di mediazione non era ravvisabile alcun nesso di causalità.

I giudici di appello hanno respinto tale argomentazione, richiamando – con ampia e corretta motivazione – la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, essendo sufficiente che il mediatore abbia messo in relazione tra loro acquirente e venditore, in modo che la conclusione dell’affare possa ricollegarsi all’opera da lui svolta, anche se la conclusione è avvenuta dopo la scadenza dell’incarico, senza che le determinazioni interne di una delle parti possano essere ritenute idonee ad incidere sul nesso causale; l’accertamento del nesso causale costituisce apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato (Cass. n. 5762 del 2003; cfr.

Cass. 3438 del 2002).

Nel caso di specie, hanno sottolineato i giudici di appello, erano state le stesse parti a prevedere espressamente la ipotesi che la conclusione dell’affare potesse intendersi realizzata, indipendentemente dalla partecipazione della mediatrice a tutte le fasi delle trattative, fino alla stipulazione del contratto, nell’ipotesi in cui questo fosse concluso non direttamente con una delle società contattate, ma anche con una società collegata ad una di esse.

Tale previsione, ha rilevato la Corte territoriale costituiva manifestazione della piena autonomia negoziale delle parti (art. 1322 c.c.), come tale, insindacabile in sede giudiziaria.

Di fronte a tale accertamento, si infrangono tutte le censure della ricorrente, basate esclusivamente sulla denuncia di violazione di norme di legge.

Quanto alla mancata ammissione delle prove articolate dalla Lombardia, ed alla prova contraria dedotta da I.L., le censure formulate con questo motivo sono del tutto inammissibili, non essendo riportate integralmente le circostanze dedotte dalle parti.

Donde la impossibilità per questa Corte di valutare la decisività di tali prove.

In ogni caso, si richiama il consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale, il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza, rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione ad istanze istruttorie, per le quali la omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. 11 febbraio 2009, n. 3357).

Nessuna censura, come già ricordato, viene sollevata dalla ricorrente sotto tale profilo (art. 360 c.p.c., n. 5).

Con il quarto motivo la ricorrente deduce omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), in relazione al mancato esame di fatti e documenti rilevanti per la decisione, oltre che in relazione al principio di disponibilità delle prove ed ai criteri di valutazione delle stesse da parte del giudice, ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c..

I giudici di appello, nell’accogliere integralmente la domanda di Lombardia, avevano dato atto che nessuna contestazione era stata sollevata da I.L. in ordine alla indicazione dell’importo di Euro 180.759,41, pari alla percentuale del 2,5% contrattualmente pattuita sul prezzo di vendita di L. quattordicimiliardi.

La affermazione della Corte di appello, ad avviso della ricorrente, non corrisponderebbe alla realtà processuale.

Infatti, I.L., sin dalla comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado, aveva prontamente contestato non solo l’an ma anche il quantum della pretesa avversaria, producendo copia di una proposta ricevuta dalla s.p.a. Milano Centrale Mediaimpresa, dalla quale risultava che il prezzo offerto per l’acquisto era stato pari a L. tredicimiliardi (prezzo effettivo di vendita dell’immobile).

L’omesso esame di tale documento costituiva indubbiamente vizio della motivazione, riguardando un punto decisivo della controversia:

infatti, non vi era dubbio che la sentenza della Corte di appello sarebbe stato ben diversa se il contenuto dello stesso fosse stato esaminato.

Anche queste censure sono inammissibili.

Solo in comparsa conclusionale, nel giudizio di primo grado, I.L. aveva accennato, incidentalmente, ad una asserita carenza di prova sul “quantum” della provvigione (correttamente, pertanto, i giudici di appello avevano escluso che nel caso di specie, fosse mancata una specifica contestazione del “quantum” del compenso, da parte di I.L., secondo le indicazioni di Cass. S.U. n. 761 del 2002).

Del resto, la misura della provvigione che spetta al mediatore per l’attività svolta nella conclusione dell’affare – anche se ciò non sia specificamente previsto in patti, tariffe professionali od usi, e tanto più in quanto si utilizza il criterio di commisurarla ad una percentuale di un dato montante – deve tenere conto del reale valore dell’affare, che è cosa diversa dal prezzo che le parti indicano nel contratto, anche se può coincidere con questo. (Cass. 12236 del 25 maggio 2007).

In ogni caso, il prezzo indicato nel documento prodotto da I.L., riguardava solo una prima offerta formulata dalla società che aveva manifestato la volontà di acquistare.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.

Sussistono giusti motivi, anche in considerazione dell’esito alterno della causa, per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010

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