LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VARRONE Michele – Presidente –
Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –
Dott. CALABRESE Donato – Consigliere –
Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –
Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 18906/2005 proposto da:
S.A.M. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA 323, presso lo studio dell’avvocato MANGANELLI Barbara, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
C.E. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SALLUSTIO 9, presso lo studio dell’avvocato PALERMO Gianfranco, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUMINOSO ANGELO giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente –
contro
S.A.M., Z.P.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 56/2004 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, emessa il 5/11/2004, depositata il 22/02/2005, R.G.N. 134/2000;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 09/12/2009 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;
udito l’Avvocato BARBARA MANGANELLI;
udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso previa riunione il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del 1^ motivo e l’assorbimento del 2^
motivo del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
S.A.M. conveniva, davanti al tribunale di Oristano, C.E. e Z.P. chiedendone la condanna solidale alla rifusione dei danni subiti a seguito di infortunio sul lavoro accertato con sentenza penale in giudicato.
Si costituiva il solo C. contestando ogni addebito.
Il tribunale, con sentenza del 20.3.2000, condannava in solido i convenuti al risarcimento dei danni nella misura di L. 437.982.649.
Proponevano, appello principale il C. ed incidentale il S.. Restava contumace lo Z..
Con sentenza del 22.2.2005, la Corte d’Appello di Cagliari accoglieva parzialmente gli appelli.
Ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo il S..
Resiste con controricorso il C. che ha anche proposto ricorso incidentale affidato a due motivi.
L’altro intimato non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente i ricorsi – principale ed incidentale -vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Ricorso principale.
Con unico motivo il ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2056 cod. civ., artt. 2 e 32 Cost. e art. 196 c.p.c., ed insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
Il motivo non è fondato.
Il ricorrente denuncia che la Corte di merito avrebbe aderito alle conclusioni cui era pervenuta la consulenza tecnica d’ufficio, disposta nel giudizio di appello, limitandosi a considerarla “ben argomentata ed esente da vizi logici e tecnici, senza, però, motivare in modo adeguato, il rifiuto di disporre una nuova consulenza tecnica d’ufficio e senza cogliere supposte lacune e contraddizioni; in particolare la mancata valutazione dei postumi invalidanti, il contrasto fra gli accertamenti compiuti nei due gradi del giudizio, la differenza tra la misura del danno accertato in sede di c.t.u. e quello certificato ai fini INAIL, nonchè la mancata indicazione dei parametri tabellari di riferimento utilizzati per la determinazione del danno biologico”.
Le riportate censure evidenziano, già di per solo, che, al di là delle violazioni e di vizi motivazionali denunciati, in realtà il ricorrente pretenderebbe un ulteriore accertamento e valutazione di fatti che competono al giudice di merito, non consentita in sede di legittimità se la motivazione adottata è esente da vizi logici o giuridici.
In particolare, venendo più particolarmente all’esame delle censure avanzate, deve sottolinearsi che è principio pacifico che l’indagine sull’entità dell’effetto invalidante costituisce un tipico accertamento di fatto sottratto al sindacato di legittimità.
In particolare non è censurabile la statuizione del giudice di merito che ha posto alla base della decisione adottata le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio ritenute esatte e condivisibili, con una motivazione che dia atto delle relative ragioni.
In questa ottica, infatti, non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca per relationem le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio, di cui dichiari di condividere il merito.
E, per contrastare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinnanzi al giudice a quo, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione.
Diversamente, il ricorrente si sofferma, con i vari profili di censura, in una disamina, corredata di notazioni critiche, di vari punti dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, al fine di contestarne la fondatezza.
In tal modo, però, prospetta un sindacato di merito – come già detto – inammissibile in sede di legittimità (v. anche Cass. 4.5.2009 n. 10222).
Peraltro, il giudice del merito non è tenuto ad esporre in modo puntuale le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, potendo limitarsi ad un mero richiamo di esse, soltanto nel caso in cui non siano mosse alla consulenza precise censure, alle quali, pertanto, è tenuto a rispondere per non incorrere nel vizio di motivazione.
Tale vizio è però denunciabile, in sede di legittimità, solo attraverso una indicazione specifica delle censure non esaminate dal medesimo giudice – e non già tramite una critica diretta della consulenza stessa -; censure che, a loro volta, devono essere integralmente trascritte nel ricorso per cassazione al fine di consentire, su di esse, la valutazione di decisività (v. anche Cass. 6.9.2007 n. 18688).
Nella specie, il giudice del merito ha dato corretta, puntuale ed esaustiva spiegazione delle ragioni per le quali non era necessario disporre una nuova, ulteriore consulenza tecnica d’ufficio, con ciò escludendo i vizi motivazionali denunciati.
Ad eguale conclusione deve pervenirsi anche in ordine agli ulteriori profili di censura.
Quanto, infatti, alla mancata valutazione dei postumi invalidanti ed al contrasto fra gli accertamenti compiuti nei due gradi del giudizio, deve rilevarsi che – contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente principale – il c.t.u. nella relazione espletata nel giudizio di appello – come si ricava dalla sentenza impugnata – ha riscontrato un aggravamento dei postumi invalidanti, tanto da elevare la percentuale del danno biologico permanente dal 17% riconosciuto nel giudizio di primo grado al 22%.
Difficile comprendere, pertanto, anche l’interesse ad un tale motivo di censura.
Quanto, poi, alla differenza tra la misura del danno accertato in sede di c.t.u. e quello certificato ai fini Inail, deve sottolinearsi la diversità delle finalità cui tendono gli accertamenti da parte dell’Inail e quelli disposti, con c.t.u., ai fini della determinazione e della liquidazione del danno biologico.
Da ultimo, in ordine alla mancata indicazione dei parametri tabellari di riferimento utilizzati per la determinazione del danno biologico, il c.t.u.- come si ricava dalla sentenza impugnata -, ha dato ampio conto dei criteri tabellari utilizzati e della loro congruità con riferimento al caso concreto.
Nè il ricorrente principale, al di là di una indicata contraddittorietà di tali conclusioni recepite dalla sentenza impugnata, ne contesta, con motivazioni argomentate, il metodo e le conclusività.
Le censure, pertanto, appaiono destituite di fondamento.
Ricorso incidentale.
Con il primo motivo il ricorrente incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., art. 2056 c.c., comma 1, artt. 2727 e 2723 cod. civ., dell’art. 115 c.p.c., comma 1, artt. 165, 166, 161 e 345 cod. proc. civ. e dell’art. 81 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, ed inoltre omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in relazione al capo della sentenza concernente la condanna al rimborso delle spese mediche.
Il motivo non è fondato.
Questa Corte ha già avuto modo di esprimersi nel senso che dinnanzi a lesioni personali di devastante entità, che abbiano costretto il leso ed i suoi familiari a numerosi e ripetuti ricoveri, purchè questi ultimi siano documentati, il giudice può liquidare il danno consistito nelle erogazioni per viaggi di cura e spese mediche anche in assenza della prova dei relativi esborsi, ai sensi dell’art. 1226 c.c. (Cass. 1.12.1999 n. 13358).
Ora, nel caso in esame, in cui il danneggiato aveva riportato una rilevante invalidità permanente, la Corte di merito, nel riconoscere in via equitativa il risarcimento del danno per assistenza e spese mediche – ricompreso, quindi, nella richiesta di risarcimento del danno avanzata nel giudizio di primo grado – ha così motivato: “Nel caso in esame la difesa dell’appellato ha fornito un’ampia documentazione sanitaria, per altro non corredata da ricevute di pagamento o fatture per prestazioni rese fuori dell’ambito del servizio sanitario nazionale.
Tuttavia, sulla base della gravità delle lesioni subite, della durata della degenza ospedaliera e della ragionevole complessità della successiva fase di recupero, in via presuntiva sì deve ritenere verosimile che la parte abbia dovuto sopportare delle spese abbastanza consistenti per analisi mediche specialistiche, per terapie e per varie forme di assistenza”; spese, quindi, liquidate in via equitativa.
Sulla base, quindi, della documentazione sanitaria fornita – di cui si da atto in sentenza – pur non corredata dai relativi esborsi, la Corte di merito ha correttamente fondato la seria presunzione di una loro erogazione e quindi, la sussistenza di un danno a tal fine risarcibile in via equitativa.
Trattasi di motivazione congrua e sufficiente a fondare il diritto ad un tale risarcimento, come tale non censurabile sotto il profilo del vizio di motivazione; adottata senza incorrere nelle violazioni denunciate.
Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, ed inoltre omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in relazione al capo della sentenza concernente la condanna del C. al pagamento dei due terzi delle spese processuali di secondo grado.
Il motivo non è fondato.
Invero, in base al principio fissato dall’art. 336 c.p.c., comma 1, secondo il quale la riforma della sentenza ha effetto anche sulle parti dipendenti dalla parte riformata (cosiddetto effetto espansivo interno), la riforma, anche parziale, della sentenza di primo grado determina la caducazione ex lege della statuizione sulle spese e il correlativo dovere, per il giudice d’appello, di provvedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle stesse.
Tale pronuncia, in ossequio al principio della globalità del giudizio sulle spese, deve avvenire con riferimento all’intero processo ed all’esito finale della lite, indipendentemente dalla sorte delle fasi incidentali eventualmente apertesi nel suo corso (Cass. 16.5.2006 n. 11491; v. anche Cass. 11.6.2008 n. 15483; Cass. 14.10.2008 n. 25143).
Nella specie, la Corte di merito ha ritenuto correttamente soccombente l’appellante principale in esito alla pretesa azionata nei suoi confronti, ma, in considerazione dell’accoglimento dei motivi di appello – alcuni dei quali “per quanto di ragione” – ha compensato – ciò rientrando nel suo potere discrezionale – nella misura di un terzo, le spese del giudizio di appello.
In considerazione del principio sopra enunciato, relativo all’esito finale del giudizio ed alla sua valutazione complessiva, pertanto, appare corretta la statuizione sulle spese adottata ed infondata la censura avanzata.
Conclusivamente, i ricorsi – principale ed incidentale – vanno rigettati.
La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Spese compensate.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 9 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010