LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –
Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –
Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –
Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
CECCHI GORI GROUP MEDIA HOLDING SRL, in persona del Consigliere di Amministrazione Delegato e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA MINCIO 2 presso lo studio dell’avvocato PAPARELLA Franco, procura speciale Notaio Dr. IGOR GENGHINI in ROMA REP. 17842 del 22/7/2008;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 116/2005 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 25/01/2006;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 24/11/2009 dal Consigliere Dott. DI IASI Camilla;
udito per il ricorrente l’Avvocato ZERMAN PAOLA MARIA che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito per il resistente l’Avvocato PAPARELLA FRANCO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per Cassazione nei confronti della Cecchi Gori Group Media Holding s.r.l. (che resiste con controricorso successivamente illustrato da memoria) e avverso la sentenza n. 116/29/05, depositata l’8/3/05, con la quale, in tema di c.d. Iva di gruppo ed in relazione ad impugnazione di cartella di pagamento recante l’iscrizione a ruolo dell’imposta corrispondente alla misura delle eccedenze di credito compensate e non garantite dalle societa’ che le avevano maturate, la C.T.R. Lazio rigettava l’appello dell’Ufficio confermando la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della societa’. In particolare, i giudici d’appello sostenevano: che nella specie la cartella non era stata preceduta da altri atti e percio’, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 7 non essendo possibile il riferimento ad un precedente atto di accertamento, avrebbe dovuto recare la motivazione della pretesa tributaria; che, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 6 l’ufficio avrebbe dovuto, a pena di nullita’, previamente invitare la contribuente a fornire chiarimenti; che la societa’, ricostruendo, senza contestazioni da parte dell’ufficio, la situazione contabile da cui e’ scaturita la cartella de qua, aveva dimostrato che le somme portate in compensazione riguardavano in parte il 1997 e in parte il 1998, mentre la cartella faceva riferimento al solo 1997 e l’atto d’appello faceva riferimento al solo 1998; che per taluni crediti esposti in compensazione la societa’ controllante non era comunque tenuta a prestare garanzia, trattandosi di crediti di modesto importo, espressamente esonerati dall’obbligo ai sensi del D.Lgs. n. 56 del 1998, art. 1; che per gli altri crediti la societa’ controllante non era tenuta a prestare garanzia in quanto, come riconosciuto dall’amministrazione con circolare del 22/06/98, la controllante Iva e’ da ritenere esonerata dalla prestazione della garanzia per le eccedenze di credito trasferite e compensate, atteso che il trasferimento del credito dalla controllata alla controllante comporta che l’eccedenza di imposta puo’ essere utilizzata solo dalla societa’ controllante; che il D.M. 13 dicembre 1979, art. 6 deve essere disapplicato per contrasto con gli artt. 23 e 25 Cost. in quanto introduce (in violazione della prevista riserva di legge in materia) una prestazione patrimoniale (obbligo di fideiussione con la sanzione della perdita del diritto di credito non assistito da fideiussione).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 7, del D.Lgs. n. 427 del 1997, art. 17, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 60 e 73, del D.M. 13 dicembre 1979, art. 6 oltre che vizi di motivazione, la ricorrente rileva che nella cartella non vi e’ carenza di motivazione, essendo in essa chiaramente esplicitata la ragione del recupero, benche’ in modo succinto e con le abbreviazioni consentite dal modello ministeriale della cartella, come testimoniato dalle argomentazioni difensive articolate dalla contribuente.
Secondo la ricorrente, inoltre, i giudici d’appello non avrebbero considerato che la cartella e’ stata emessa ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 3 e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 17 per effetto dei quali l’imposta non versata risultante dalla dichiarazione annuale e’ iscritta direttamente in ruoli a titolo definitivo e pertanto non sussisteva l’obbligo di un previo invito al pagamento, restando pertanto inconferenti i richiami alla L. n. 241 del 1990, art. 7, comma 3 e alla L. n. 212 del 2000, art. 6.
La censura relativa al ritenuto difetto di motivazione della cartella opposta e’ inammissibile.
In proposito, e’ innanzitutto da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimita’, alla cartella di pagamento devono ritenersi comunque applicabili i principi di ordine generale indicati per ogni provvedimento amministrativo dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3 (poi recepiti, per la materia tributaria, dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7), ponendosi una diversa interpretazione in insanabile contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., tanto piu’ quando tale cartella (come nella specie) non sia stata preceduta da un motivato avviso di accertamento (v. Cass. n. 15638 del 2004). Tanto premesso in linea generale, deve rilevarsi che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimita’, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruita’ del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non e’ atto processuale, bensi’ amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimita’ dell’atto stesso -, e’ necessario, a pena di inammissibilita’, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di Cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruita’ esclusivamente in base al ricorso medesimo, (v. Cass. n. 15867 del 2004) e che nella specie non risulta riportata in ricorso la cartella della cui motivazione si discute se non per la dicitura “omes. vers. ecced. credit. 97 compens. e no garant.” che ovviamente non puo’ costituire di per se’, estrapolata dal suo contesto e da ogni altro riferimento, indice della sussistenza di idonea motivazione.
E’ infine opportuno sottolineare che, diversamente da quanto ritenuto da parte ricorrente, le argomentazioni difensive della contribuente non servono a testimoniare a posteriori la sussistenza di idonea motivazione dell’atto opposto ne’ a suggerire una sorta di “raggiungimento dello scopo” del suddetto atto, posto che la motivazione dell’atto impositivo non ha solo la funzione di mettere il contribuente in grado di conoscere le ragioni e l’ammontare della pretesa tributaria per approntare idonea difesa (che deve in ogni caso poter essere efficace ed agevole senza costringere il contribuente a predisporre una linea difensiva al buio ed articolata a 360 gradi) ma ha anche la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa.
La censura deve essere pertanto rigettata, con assorbimento di tutte le altre cesure esposte nel motivo in esame e nei due successivi motivi di ricorso, posto che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimita’, quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimita’, si fonda su distinte ed autonome “rationes decidendi” ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perche’ possa giungersi alla cassazione della stessa e’ indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite “rationes”, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate, con la conseguenza che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta (v. tra le altre Cass. n. 12372 del 2006).
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, e condanna parte ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimita’ che liquida n Euro 10.200,00 di cui Euro 10.000,00 per onorari oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010