LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –
Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. DI DOMENICO Vincenzo – Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Il Quadrifoglio S.p.a., in liquidazione, in persona del liquidatore e legale rapp.te pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma via di Villa Emiliani 11 presso lo studio dell’avv Tabet Giuliano e rappresentata e difesa giusta procura speciale a margine del ricorso dall’avv. Miccinesi Marco del foro di Firenze e dall’avv. Arnaldo Amatucci del foro di Arezzo;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in carica, ed Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici sono domiciliati ope legis in Roma, via dei Portoghesi 12;
– controricorrenti –
avverso la sentenza 1.16.04, depositata in data 6.4.04, della Commissione tributaria regionale della Toscana;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 11.12.09 dal Consigliere Dott. CARLEO Giovanni;
sentita la difesa svolta dall’Avvocatura Generale dello Stato per conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate, che ha concluso per il rigetto del ricorso con vittoria di spese;
Udito il P.G. in persona del Dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso con le pronunce consequenziali.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel corso di una verifica fiscale generale eseguita dalla G. di F. di Arezzo nei confronti della societa’ Il Quadrifoglio S.p.a., conclusasi con p.v.c. del 29 giugno 2000, i verificatori rinvenivano presso la sede della societa’ e nelle abitazioni di alcuni soci varia documentazione manoscritta per un totale di 195 fogli che ritennero riferibile ad operazioni di natura extracontabile, disponendone la custodia in un locale sito nella sede della societa’ previa apposizione di sigilli. Successivamente, gli agenti della Finanza, procedendo all’esame analitico della documentazione, rilevarono la sostituzione ed alterazione di alcuni originali e quindi trasmisero alla Procura della Repubblica notizia di reato. Nell’ambito del procedimento penale la Procura disponeva nuove perquisizioni domiciliari presso le abitazioni dei soci. Nell’abitazione del socio M.D. venivano rinvenuti e sequestrati quattro supporti magnetici sotto forma di nastri, due dei quali identificati con la dicitura “prove” risultarono, secondo i verificatori, contenere dati rappresentativi di movimentazioni di metallo e di pagamento non riscontrabili nella contabilita’ ufficiale. Dispostasi l’archiviazione del procedimento penale per l’impossibilita’ di individuare fautore dell’alterazione documentale, il socio M. D. richiedeva ed otteneva il dissequestro e la restituzione del materiale sequestrato, disfacendosi di esso. In esito alla verifica, la G. di F. accertava il maggior reddito di L. 3.196.657.000 rispetto a quello dichiarato di L. 227.555.000 e l’Ufficio II DD di Cortona notificava avviso di accertamento relativo all’anno 1995 con cui contestava una maggiore Irpeg di L. 1.098.567.000, una maggiore Ilor di L. 480.994.000, oltre tributi straordinari e sanzioni per L. 3.217.504.000.
Avverso tale atto la contribuente proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Arezzo, la quale respingeva il ricorso.
Proponeva appello ribadendo le tesi esposte in primo grado. La Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava il gravame.
Avverso la detta sentenza Il Quadrifoglio S.p.a. ha quindi proposto ricorso per Cassazione articolato in cinque motivi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate resistono con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la prima doglianza, deducendo il vizio di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, e art. 42, dell’art. 2697 c.c. nonche’ il vizio di omessa e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata deducendo che la CTR avrebbe errato quando, condividendo le considerazioni del primo giudice, ha attribuito alla ricorrente la causa dell’impossibilita’ di provvedere alla ricostruzione della contabilita’. Ed invero, secondo le regole in tema di ripartizione dell’onere probatorio, spettava all’Ufficio adoperarsi per assicurare la disponibilita’ delle prove raccolte, adottando le opportune cautele ai fini della copia e della trascrizione dei nastri, e non competeva invece alla contribuente “l’obbligo di conservare le prove a favore della controparte”. Con la conseguenza che l’impossibilita’ di riscontrare in termini oggettivamente certi e rassicuranti il materiale probatorio raccolto doveva essere ascritta alla sola negligenza dell’Amministrazione.
Inoltre, ed in tale rilievo si sostanzia una successiva doglianza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 12 c.p.c. nonche’ per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, (esattamente, si tratta della terza censura secondo l’ordine del ricorso, la cui trattazione viene anticipata per comodita’ di esposizione) la CTR avrebbe trascurato che l’Amministrazione non aveva assolto l’onere di provare i rilievi in contestazione in quanto il p.v.c. prodotto in causa conteneva i soli prospetti elaborati sulla scorta dei dati informatici ma non la stampa dei nastri dai quali tali prospetti sarebbero stati estrapolati.
Le due ragioni di doglianza, riportate nella loro essenzialita’, possono essere trattate congiuntamente, proponendo sostanzialmente profili di censura connessi in quanto entrambi fondati sul comune presupposto del mancato assolvimento, da parte dell’Amministrazione, dell’onere probatorio posto a suo carico mirante a garantire la conservazione delle prove addotte a sostegno delle proprie pretese.
Entrambe le censure sono inammissibili ancor prima di essere infondate. All’uopo, giova premettere che, per come risulta dal processo verbale delle operazioni compiute il ***** (foglio n. 252 del processo verbale) – il cui contenuto, opportunamente, nel rispetto del principio di autosufficienza, e’ stato trascritto, in parte qua, nel controricorso presentato dalle Amministrazioni – l’Ufficio, contrariamente all’assunto della ricorrente, aveva provveduto a trarre copia dei nastri sequestrati ed aveva invitato parte contribuente a siglare le stampe dei supporti magnetici memorizzati sul computer allo scopo di confermare che le stampe provenissero dai nastri in questione. Le operazioni erano state infatti eseguite alla presenza dell’amministratore della S.p.a.
Quadrifoglio e del suo difensore i quali avevano riconosciuto nel verbale l’assenza di manipolazioni o alterazioni nel corso della trascrizione dicendo testualmente- cosi’ il difensore – “ritengo che, data l’importanza della questione non sia opportuno, per sole ragioni di prudenza, e nonostante la convinzione che la trascrizione sia assolutamente fedele, far apporre ai miei clienti la firma che si richiede'.
Ora, il principio relativo all’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. non implica affatto che la dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto preteso debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che e’ gravato dal relativo onere, senza poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti al processo, poiche’ nel vigente ordinamento processuale (anche tributario) vale il principio di acquisizione, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione de convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro (cfr. Cass. 28316/05 in motivazione).
La premessa torna utile perche’ i giudici di seconde cure, conformemente ai giudici di primo grado, a conforto e riscontro delle risultanze probatorie raccolte dall’Amministrazione, hanno tenuto nella opportuna considerazione anche gli elementi indiziari derivanti dalla condotta tenuta dai soci della Quadrifoglio durante la verifica fiscale.
Cio’, sia con riferimento alla alterazione ed alla sostituzione di alcuni dei fogli sequestrati, ritenuti riferibili ad operazioni di natura extracontabile, sia, e soprattutto, con riguardo alla distruzione dei supporti magnetici restituiti dopo il dissequestro disposto dalla Autorita’ giudiziaria – fatto quest’ultimo ascrivibile pero’ ad un solo socio, il M. – affermando a riguardo che la distruzione dei supporti, da parte del socio, era stata operata nella consapevolezza che i materiali avrebbero dovuto formare oggetto del disposto esame peritale, con la conseguenza di rendere vana la consulenza tecnica in quanto non sarebbe stato piu’ possibile verificare la conformita’ delle copie, ed aggiungendo come tale comportamento consistesse in un uso indebito del diritto, ovvero nella violazione de dovere di lealta’ che le parti devono avere nel processo da considerarsi rilevante ai fini del convincimento del giudice.
Cio’ premesso, deve conclusivamente sottolinearsi come una tale valutazione si sottragga al sindacato di legittimita’ in quanto ogni valutazione delle risultanze probatorie, ove sia adeguatamente motivata come nella specie, non puo’ essere censurata in sede di legittimita’. Nella specie, la ricorrente, pur deducendo formalmente un vizio di violazione di legge nonche’ un vizio di motivazione, nel porre a base delle sue doglianze una circostanza, vale a dire la mancata effettuazione di copie conformi dei nastri da parte dell’Amministrazione, la cui ricorrenza e’ stata invece esclusa dalla Commissione di merito, avanza invece, nella sostanza delle cose, un’istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalita’ del giudizio di cassazione, onde l’evidente inammissibilita’ delle ragioni di doglianza svolte.
Passando all’esame della seconda censura, il cui esame e’ stato posposto per comodita’ di trattazione, va premesso che la stessa, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, e art. 42, dell’art. 112 c.p.c. della violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2 citato, del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 33 e 70 nonche’ della motivazione insufficiente e contraddittoria – si fonda su un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo, la C.T.R. avrebbe omesso di considerare che l’Ufficio, per sua stessa ammissione, aveva proceduto ad un accertamento analitico contabile D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d, per cui con riferimento a tale parametro normativo e non gia’ a quello differente dettato dal comma successivo avrebbe dovuto valutare la legittimita’ dell’avviso impugnato. In secondo luogo, i supporti informatici furono rinvenuti dalla G. di F. nell’esercizio di un’attivita’ di polizia giudiziaria a seguito di una perquisizione autorizzata dall’A.G. al fine del reperimento di documentazione cartacea per cui l’acquisizione dei nastri avvenne oltre i limiti dell’autorizzazione e la loro apertura fu effettuata senza autorizzazione giudiziale in violazione delle regole di procedura penale. Entrambi i profili di censura sono infondati. Quanto al primo, deve sottolinearsi che l’esistenza dei presupposti per l’applicazione del metodo induttivo non esclude, infatti, che l’amministrazione possa servirsi, nel corso del medesimo accertamento e per determinate operazioni, del metodo analitico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, oppure contemporaneamente di entrambe le metodologie. (cfr Cass. n. 27068/06).
Pertanto, nell’ipotesi di ritrovamento di “contabilita’ parallela” a quella ufficialmente tenuta dalla societa’ sottoposta a verifica fiscale, ed in ogni altro caso in cui possa ritenersi una complessiva inattendibilita’ delle scritture contabili, desunta da gravi, numerose e ripetute omissioni e/o false ed inesatte indicazioni, l’Ufficio delle imposte, legittimamente, provvede alla determinazione del reddito con il metodo induttivo ed anche-utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici, prive dei requisiti, di cui all’art. 2729 c.c. sul presupposto dell’inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti, di tal che, a fronte della legittima prova presuntiva offerta dall’ufficio, incombe sul contribuente l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della predetta pretesa.
(Cass. 20837/05).
Quanto al secondo profilo di doglianza, giova sottolineare che l’utilizzo dei dati e delle notizie, trasmessi dalla G. di F, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria, non e’ affatto subordinato alla condizione che tale acquisizione sia avvenuta nella piena osservanza delle regole del processo penale, giacche’, nell’ambito di una controversia tributaria non sussiste il pericolo di ledere i diritti inviolabili dell’indagato, per la cui esclusiva tutela le prescrizioni in parola sono state specificamente elaborate.
Come ha gia’ avuto modo di statuire questa Corte, l’inosservanza di tali prescrizioni, rilevante al fine della possibilita’ di utilizzare in sede penale i risultati dell’indagine, non incide – purche’ siano state invece rispettate le garanzie previste dalle norme tributarie – sul potere degli uffici finanziari e del giudice tributario di avvalersene a fini meramente fiscali (cfr. Cass. 8990/07). Ed, in ogni caso, va ribadito che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica per l’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e simili, prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 3, e’ richiesta solamente nel caso di accesso disposto dagli uffici imposte nei locali della ditta, ma non anche nel caso di perquisizione domiciliare gia’ autorizzata dall’autorita’ giudiziaria, essendo evidente che l’autorizzazione alla perquisizione domiciliare e’ comprensiva di ogni attivita’ strumentale necessaria per l’acquisizione delle prove (cfr. Cass. 20824/05. 14058/06). Passando all’esame della quarta doglianza, deve premettersi che con tale censura, articolata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d in combinato disposto con gli artt. 2697, 2772 e 2729 c.c. nonche’ dell’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, la ricorrente lamenta l’erroneita’ della tesi della Commissione regionale quando ha negato il ricorso alla praesumptio de praesumpto da parte dell’Amministrazione. Ed infatti – questa, la conclusione della ricorrente – la CTR avrebbe effettuato almeno due passaggi presuntivi, il primo consistente nel fatto che i dati costituissero operazioni commerciali effettivamente poste in essere, il secondo consistente nel fatto che tali operazioni fossero state poste in essere dalla ricorrente e non da terzi. E cio’, senza considerare che le presunzioni in questione non sarebbero gravi, precise e concordanti.
La censura non coglie nel segno. A riguardo, va rilevato innanzitutto che l’apprezzamento del giudice del merito circa l’esistenza degli elementi assunti a fonte della presunzione, la loro rispondenza ai requisiti di idoneita’, gravita’ e concordanza richiesti dalla legge e circa lo stesso ricorso a tale mezzo di prova non e’ sindacabile in sede di legittimita’, qualora la motivazione adottata appaia logicamente coerente, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni, (cfr Cass. 8300/08, 26841/08).
Ed invero, deve escludersi la configurabilita’ nel caso di specie dell’asserita praesumptio de presunto non ricorrendo affatto la valorizzazione di una presunzione semplice per derivarne un’altra presunzione semplice in quanto, come ha evidenziato la Commissione di merito, il procedimento logico degli accertatori si e’ articolato in un solo passaggio da un fatto noto (esistenza di dati ed operazioni privi di riscontro) ad un fatto ignoto che consentiva la configurazione di tali dati ed operazioni come fatti commerciali rilevanti e fiscalmente significativi.
Infine l’ultima doglianza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d e art. 2, dell’art. 2697 c.c. in combinato disposto con gli artt. 53 e 97 Cost. nonche’ per omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, si fonda sulla considerazione che la CTR avrebbe sbagliato quando ha ritenuto corretto il riconoscimento, da parte dell’Ufficio, dei soli maggiori costi deducibili, risultanti dalla documentazione, fondamento dell’individuazione dei maggiori ricavi accertati, aggiungendo che competerebbe al contribuente l’onere probatorio ai fini del riconoscimento dei costi. In tal modo, avrebbe errato la Commissione “nel voler disconoscere che le norme sopra indicate non consentivano di addossare su contribuente siffatto onere probatorio”.
Anche tale censura appare manifestamente infondata, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui compete al contribuente “l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attivita’ produttive di ricavi ” (Cass. n. 11240/02, n. 11514/01, n. 3305/09, n. 18000/06). Considerato che la sentenza impugnata appare in linea con i principi di diritto richiamati, ne consegue che il ricorso per Cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 15.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010