Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.749 del 19/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. SOTGIU Simonetta – rel. Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI TERAMO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA TRIONFALE 5637, presso lo studio dell’avvocato D’AMARIO FERDINANDO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

POMPEI DOMENICO & C SNC;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1/2004 della COMM. TRIB. REG. di L’AQUILA, depositata il 12/02/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 15/12/2009 dal Consigliere Dott. SOTGIU Simonetta;

udito per il ricorrente l’Avvocato D’AMARIO FERDINANDO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo ha ritenuto, con sentenza 12 /2/2004, non assimilabili ai rifiuti urbani à fini TARSU dal 1997 al 2000, i materiali ferrosi avviati a recupero presso la Ditta Pompei Domenico & c. s.n.c., in quanto costituiti non da scarti di lavorazione classificabili come rifiuti speciali, ma da manufatti, destinati alla vendita a terzi per il conferimento a fonderie.

Il Comune di Teramo chiede la cassazione di tale sentenza sulla base di un unico articolato motivo, senza resistenza da parte dell’intimato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Comune ricorrente censura sotto un primo profilo la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo i giudici d’appello pronunciato in ordine al motivo d’appello relativo all’infedele denuncia da parte del contribuente della reale superficie produttiva di rifiuti (mq. 4.324, rispetto ai mq. 800 denunciati).

Sotto un secondo profilo si rileva che il Comune aveva denunciato con l’atto d’appello la violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21 comma 7 e art. 49, comma 14 rilevando che l’avviso di recupero dei rifiuti assimilati non comporta l’esonero dalla privativa comunale, ma una riduzione tariffaria, spettante a consuntivo, dopo la dimostrazione dell’avvenuta cessione dei rifiuti a terzi, circostanze queste sulle quali la Commissione Regionale non si sarebbe parimenti pronunciata, avendo ritenuto la non assimilabilità di “ritagli e trucioli di ferro” e di “altre particelle di materiali ferrosi”, che, anche se derivanti da produzioni industriali, hanno una composizione merceologica analoga a quella dei rifiuti urbani, suscettibili quindi di assimilazione, giusta deliberazione adottata dal Comune di Teramo il 22 maggio 1998,vigendo in precedenza l’assimilazione ex lege (L. n. 146 del 1994, art. 39). Pertanto i rifiuti ferrosi di cui è causa dovevano ritenersi sottoposti, in quanto assimilati o assimilabili, al regime di privativa comunale in materia di rifiuti, anche in caso di smaltimento in proprio.

Il primo profilo di ricorso è infondato. La mancata pronuncia del giudice d’appello su uno dei motivi di doglianza comporta un implicito rigetto dello stesso, senza che peraltro possa in questa sede stabilirsi se la infedele dichiarazione da parte del contribuente fosse stata, oggetto di discussione in primo grado, in quanto contestata nell’avviso di accertamento, dato che, se così non fosse, il motivo in sede di gravame sarebbe stato nuovo e quindi inammissibile. Sul punto, difettando da parte del ricorrente sufficienti riferimenti alla problematica, apparentemente sollevata soltanto nelle sedi di gravame, il suddetto profilo di ricorso deve dunque ritenersi infondato.

E’ invece fondato,nei limiti che saranno appresso precisati, il secondo profilo del ricorso.

Premesso che la Ditta Pompei non produce, ma commercializza scarti di lavorazione di prodotti ferrosi, è interamente tassabile la superficie aziendale ove tali rifiuti sono depositati, poichè l’assimilazione fra rifiuti urbani e speciali prevista dalla L. n. 146 del 1994, art. 39 (in vigore per tutto il 1997) non ha inciso sui rifiuti speciali (quali gli scarti di lavorazione) commercializzati, ma solo su quelli prodotti in luoghi specifici di lavorazione industriale, intese quali “zone dello stabilimento sulle quali insiste il vero e proprio opificio industriale”, nel quale tali rifiuti si formano (Cass. 17601/2009; 13851/2004; 18087/2004;

12749/2002), – mentre per il periodo successivo, con l’abrogazione della L. n. 146 del 1994, art. 39 ad opera della L n. 128 del 1998, art. 17 è divenuto pienamente operante il disposto del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g che consente ai Comuni di deliberare – come nella specie è avvenuto – l’assimilazione ai rifiuti urbani di quelli non pericolosi derivanti da attività economiche, con la conseguenza che, in riferimento, alle annualità di imposta successive al 1997, assumono decisivo rilievo le indicazioni dei regolamenti comunali circa la assimilazione dei rifiuti provenienti da attività industriali a quelli urbani ordinari (Cass. 13328/2009), senza che per tali residui rilevi il fatto di essere ceduti a terzi (cfr. Cass. 8696/2004).

Tuttavia, poichè la sentenza impugnata esclude, sia pure sulla base delle sole dichiarazioni della Ditta contribuente, che i materiali ferrosi di cui è causa rientrino fra quelli elencati nella delibera comunale di assimilazione 22 maggio 1998, il giudice di rinvio dovrà verificare la reale natura di tali residui, al fine di stabilirne la inclusione, in tutto o in parte, nel contenuto nella predetta delibera, poichè la eventuale conferma della natura di tali residui quali “manufatti” da cedere a terzi per l’utilizzazione in un diverso ciclo produttivo (cioè nelle fonderie) ne comporterebbe la specialità, con conseguente intassabilità delle superfici adibite a deposito. Accolto pertanto il ricorso nei sensi di cui in motivazione, e cassata conseguentemente la sentenza impugnata gli atti vanno rimessi ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, che liquiderà anche le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa conseguentemente la sentenza impugnata, e rinvia anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010

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