LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –
Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –
Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –
Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 31367/2005 proposto da:
P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VLE PARIOLI 76 (studio Liberati & D’Amore), presso lo studio dell’avvocato DEL VECCHIO ALFREDO, rappresentato e difeso dall’avvocato DEL VECCHIO Francesco giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
M.F.;
– intimata –
sul ricorso 2573/2006 proposto da:
M.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO SAVERIO NITTI 11 (studio Girardi & Viscione), presso lo studio dell’avvocato PESCITELLI VINCENZO, rappresentata e difesa dall’avvocato MARINO NICOLA giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente –
contro
P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE DEI PARIOLI 76 (studio Liberati & D’Amore), presso lo studio dell’avvocato DEL VECCHIO ALFREDO, rappresentato e difeso dall’avvocato DEL VECCHIO FRANCESCO giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3587/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, emessa il 9/12/2004, depositata il 17/12/2004; R.G.N. 3.405/2002.
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 28/10/2009 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;
udito l’Avvocato Francesco DEL VECCHIO;
udito l’Avvocato Nicola MARINO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.1. Con intimazione di sfratto per morosità notificata in data 19/9/1987 P.R. conveniva innanzi al Pretore di Benevento M.F. per sentire convalidare lo sfratto intimato per il mancato pagamento di parte del canone di ***** e delle successive mensilità a decorrere dal ***** per complessive L. 10.300.000, relativamente all’immobile sito in *****, concesso in locazione alla convenuta ad uso studio di estetista con contratto in data *****.
Proposta opposizione dall’intimata e negata l’ordinanza di rilascio, la causa era riassunta innanzi al Tribunale di Benevento, indicato come competente per valore. In questa sede la M., contestando ogni avverso dedotto, insisteva nell’accoglimento della domanda riconvenzionale per tutti i danni sofferti, non escluso quello ex art. 96 c.p.c., e per quanto non adempiuto a seguito di diffida del *****.
Dal canto suo il P., nel corso del giudizio rettificava l’importo della morosità, dichiarando di avere ricevuto le due mensilità di *****.
Con sentenza in data 10-1-2002, il Tribunale accoglieva la domanda attorea, dichiarando la risoluzione del contratto di locazione tra P.R. e M.F. per grave inadempimento di quest’ultima; condannava la M. al rilascio dell’immobile in favore del P., nonchè al pagamento dei canoni non corrisposti (compresa la differenza insoluta del *****) per Euro 4.596,47, oltre accessori e spese processuali.
1.2. La decisione, gravata da impugnazione della M., era riformata dalla Corte di appello di Napoli, la quale con sentenza in data 9-12-2004 così provvedeva: dichiarava inammissibile la domanda di risoluzione del contratto di locazione proposta dal P. nei confronti della M.; condannava la M. a pagare la somma di Euro 3.356,96 oltre accessori; in accoglimento della domanda riconvenzionale della M. condannava il P. a restituire alla M. l’assegno di L. 5.000.000 a suo tempo versatogli a garanzia degli impegni assunti; dichiarava interamente compensate tra le parti le spese sia del primo che del secondo grado.
1.3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione P.R., svolgendo sei motivi.
Ha resistito M.F., depositando controricorso e svolgendo, a sua volta, ricorso incidentale, affidato a due motivi.
Con il “controricorso a ricorso incidentale” il P. ha eccepito l’inammissibilità del ricorso incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente occorre procedere ex art. 335 c.p.c., alla riunione dei ricorsi, principale e incidentale, avverso la medesima sentenza.
Di seguito si procederà all’esame dei motivi di ricorso principale.
1. I primi cinque motivi di ricorso investono tutti la statuizione di inammissibilità della domanda di risoluzione contrattuale. La Corte di appello ha, infatti, ritenuto fondato il motivo di impugnazione con il quale la M. aveva eccepito il difetto di legittimazione di P.R. per essere, al momento della notifica dello sfratto per morosità, proprietaria e locatrice dell’immobile, P.T., unica legittimata, in quanto tale a chiedere la risoluzione del rapporto.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1321 e 1372 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. In particolare il ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ritenuto documentalmente provata l’eccezione di difetto di legittimazione attiva di esso ricorrente in ordine alla domanda di risoluzione in considerazione dell’acquisto dell’appartamento locato da parte di P.T. in data ***** e della stipula da parte di quest’ultima con la M. di un nuovo contratto di locazione in data *****. Richiama il principio per cui la concessione in locazione non costituisce atto esclusivo del proprietario, potendo legittimamente assumere veste di locatore un soggetto diverso dal proprietario e osserva che la Corte territoriale ha mostrato di adeguarsi a detto principio, dimostrando di non dubitare della validità ed efficacia inter partes del contratto di locazione stipulato da esso istante nel *****, prima che il bene venisse acquistato dalla P.T. (ancorchè lo stesso bene fosse già all’epoca di proprietà di terzi), salvo, poi, contravvenire lo stesso principio sulla base del fatto che era stata stipulata una nuova locazione da P.T..
A parere del ricorrente la statuizione viola le norme di cui agli artt. 1321 e 1372 c.c., perchè non spiega come il negozio stipulato da P.T. con la M. abbia “sostituito” quello stipulato da esso ricorrente con la medesima M., in assenza di qualsiasi elemento da cui potesse desumersi che fosse intervenuto un accordo risolutorio in ordine a quello stipulato da esso istante;
peraltro dalla documentazione prodotta in giudizio risulterebbe che la P.T. aveva riconosciuto ad esso istante i frutti civili dell’immobile.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Al riguardo parte ricorrente deduce che la statuizione sopra denunciata sostanzia, tra l’altro, anche un error in procedendo dal momento che avrebbe implicitamente dichiarato risolto il contratto di locazione per cui è causa senza che fosse stata formulata alcuna domanda dalla M..
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 81 e 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Al riguardo parte ricorrente osserva che l’eccezione formulata dalla M. era stata tardivamente formulata in appello, in quanto riguardava la titolarità passiva del rapporto e non già la legittimatio ad causam, come affermato nella decisione impugnata; rileva che la Corte territoriale ha erroneamente richiamato il principio di cui all’art. 81 c.p.c., secondo cui nessuno, fuori dei casi espressamente previsti dalla legge di sostituzione o rappresentanza, può fare valere un diritto altrui in nome proprio, ritenendo che la questione, siccome attinente alla legittimatici ad causam, fosse rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo; l’eccezione, comunque, non era provata, all’uopo non rilevando la produzione di una scrittura proveniente da terzo estraneo al giudizio.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia per avere negato al P. la qualità di locatore a far data dal ***** e per aver omesso di esaminare gli elementi probatori ritualmente acquisiti in causa in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Al riguardo il ricorrente lamenta che la Corte territoriale, negandogli la qualità di locatore a partire dalla stipula del nuovo contratto di locazione da parte di P. T., abbia riconosciuto valore di prova legale a un documento proveniente da terzo estraneo al giudizio, privo di data certa, impugnato e contestato da esso P. e non abbia, invece, preso in esame altri documenti prodotti proprio dalla M. (quali la diffida della M. in data *****, la missiva della stessa conduttrice in data ***** e le rimesse dei canoni di *****), da cui si avrebbe la conferma della sua qualità di locatore anche dopo l’acquisto da parte di P.T. nel *****.
In ogni caso la motivazione sarebbe anche contraddittoria, per avere negato al P.R. la qualità di locatore ai fini della risoluzione del rapporto e avergliela poi riconosciuta ai fini del pagamento dei canoni per il periodo sino al *****.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., art. 214 c.p.c., art. 2702 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Al riguardo parte ricorrente deduce di avere contestato espressamente che P.T. avesse sottoscritto “contratti o stipulato con la M. una nuova separata locazione” (pag. 8 costituzione in appello) e lamenta che la Corte territoriale abbia posto a fondamento del proprio convincimento un documento privo di qualsiasi valore, violando le norme indicate.
2. I suddetti motivi di ricorso, in buona parte ripetitivi e, comunque, strettamente interconnessi, vanno esaminati congiuntamente e risultano tutti infondati, ancorchè la motivazione della decisione impugnata richieda qualche precisazione e rettifica.
2.1. In via di principio va innanzitutto rilevato che le questioni attinenti alla legitimatio ad causam intesa come diritto potestativo di ottenere non già una sentenza favorevole, bensì una decisione di merito – da riscontrarsi, anche d’ufficio, mediante la comparazione tra l’allegazione di un rapporto e il paradigma giuridico, nel profilo soggettivo, al quale il rapporto è riconducibile – vanno tenute distinte da quelle, rilevabili solo su eccezione di parte (e quindi soggette alle limitazioni e alle preclusioni stabilite dal codice di rito), relative all’appartenenza all’attore (o al convenuto) del diritto controverso (ex plurimis cfr. Cass. n. 21192/2006).
Ciò posto, osserva il Collegio che la Corte di appello non ha tratto le corrette conclusioni da siffatta distinzione di principio, erroneamente ritenendo che l’eccezione formulata dalla M. afferisse alla legittimatici ad causam. Deve, infatti, rilevarsi che l’appellante – contestando la qualità di locatore da parte di P.R., almeno al momento dell’intimazione di sfratto per morosità, per effetto del subingresso di altro soggetto nella disponibilità dell’immobile – poneva una questione di stretto merito, attinente alla effettiva titolarità del rapporto sostanziale dedotto in giudizio.
Tanto precisato, occorre, tuttavia, osservare che la tempestività dell’allegazione nell’atto di appello della M. della questione attinente alla titolarità del diritto a ottenere la risoluzione del rapporto di locazione discende da altra via, attesa la soggezione della controversia, incardinata nel lontano anno 1987, al regime del c.d. vecchio rito. Invero con riferimento ai giudizi iniziati in primo grado in epoca anteriore al 30 aprile 1995 trova applicazione, quanto al giudizio di appello, a prescindere dall’epoca in cui questo si svolge, l’art. 345 c.p.c., nella formulazione anteriore alle modifiche di cui L. n. 353 del 1990, che non comportava preclusioni alla proposizione di nuove eccezioni, salvo i riflessi sulle spese ex art. 92 c.p.c..
2.2. Per altro verso occorre dire che parte ricorrente travisa la ratio decidendo, ritenendo che la statuizione impugnata poggi esclusivamente su un dato documentale, rappresentato dal contratto di locazione attribuito a P.T., peraltro proveniente da un terzo estraneo al giudizio e, come tale, privo del valore di prova piena.
Invero, pur impropriamente affermando che “la fondatezza della doglianza (della M.) è documentalmente provata”, in realtà la Corte di appello ha tratto da una serie di dati documentali – e, cioè, oltre che dalla citata scrittura di locazione, dal rogito di acquisto di P.T. e dalle rimesse dei canoni di locazione a costei (cfr. pag. 6 della sentenza) argomenti indiziari, ritenendo acquisita in via presuntiva la prova che P.R. non fosse più il locatore dell’immobile al momento della proposizione dell’azione di sfratto, per essere, a quell’epoca, la disponibilità dell’immobile, pervenuta alla predetta P. T..
Si rammenta che, per consolidata giurisprudenza gli scritti provenienti da terzi estranei alla lite, pur non avendo efficacia di prova piena e non essendo soggetti nè alla disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 c.c., nè a quella processuale di cui all’art. 214 c.p.c., possono essere liberamente apprezzati nel loro valore indiziario dal giudice del merito, il quale è inoltre libero di formare il proprio convincimento circa la veridicità formale della scrittura sulla base di elementi probatori ottenuti dalle altre risultanze processuali nonchè dallo stesso comportamento della parte contro cui la scrittura viene prodotta, anche in relazione a particolari circostanze che possono conferire speciale significazione e rilevanza probatorie (cfr. Cass. civ., 14/05/1983, n. 3322; Cass. civ., 07/06/1984, n. 3440).
Inoltre in materia dì presunzioni è riservata al giudice di merito la valutazione discrezionale della sussistenza sia dei presupposti per il ricorso a tale mezzo di prova, sia dei requisiti di precisione, gravita e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, ovverosia come circostanze idonee a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit; l’unico sindacato riservato in proposito al giudice di legittimità è quello sulla congruenza della relativa motivazione. (Cass. civ., Sez. 2^, 04/05/2005, n. 9225). Peraltro il vizio in ordine al ricorso al ragionamento presuntivo deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (Cass. 21 ottobre 2003, n. 15737).
Ne consegue, nella specie, l’inammissibilità delle censure sub 1.4.
nella parte in cui si denuncia che i giudici di appello non abbiano posto, a fondamento della loro decisione, altri dati documentali (peraltro – per quanto è dato comprendere – antecedenti alla data dell’intimazione di sfratto, che è quella che rileva ai fini della verifica della qualità di locatore), dai quali potrebbe, al più, desumersi che, almeno nell’immediatezza dell’acquisto di P. T., la M. abbia continuato a riconoscere la qualità di locatore all’odierno ricorrente. Invero le censure del ricorrente non individuano alcun argomento scardinante nelle valutazioni espresse dai giudici di appello, rivelandosi esclusivamente funzionali alla rivalutazione, qui non consentita, delle risultanze probatorie.
2.3. Nè contrasta con quanto sopra il principio per cui la concessione in locazione di un immobile non costituisce atto esclusivo del proprietario, giacchè per poter legittimamente assumere la veste di locatore è sufficiente avere la mera disponibilità del bene medesimo; neppure rileva la circostanza che, nello specifico, P.T. si sarebbe impegnata a riconoscere i frutti civili all’odierno ricorrente. Invero ciò che la Corte territoriale ha accertato è che – quali che fossero i rapporti tra T. e P.R. – alla data della proposizione dello sfratto il secondo non aveva più la disponibilità del bene, avendola persa a vantaggio della prima. In tale prospettiva non è dato ravvisare alcuna pronuncia, sia pure implicita, in ordine alla risoluzione del rapporto di locazione tra P.R. e la M., tantomeno vi è contrasto con l’altra statuizione, concernente il pagamento di canoni maturati, allorchè l’immobile era ancora nella disponibilità dell’odierno ricorrente.
E’ invece assolutamente coerente con le ragioni della decisione in punto di risoluzione, il diniego – come si vedrà di seguito – della domanda di pagamento dei canoni successivi all’acquisto nel giugno 1987 da parte di P.T..
In definitiva tutti i motivi all’esame vanno rigettati.
3. Con il sesto motivo di ricorso si denuncia errore nella determinazione e nell’attribuzione delle somme dovute a P. R.. Al riguardo parte ricorrente deduce che – anche a volere ritenere che il contratto si fosse risolto alla data del ***** – la somma dovuta per canoni a quella data era pari a Euro 3.876,43 e non già a Euro 3.356,96, perchè le due mensilità pagate in corso di causa si riferivano ai mesi di luglio (la M. la imputa a giugno) e agosto 1987 e non ai mesi di luglio e agosto 1986, come ritenuto in sentenza.
3.1. Il motivo è inammissibile in considerazione della sua genericità e della violazione del principio della autosufficienza del ricorso per cassazione in base al quale il controllo del giudice di legittimità deve poter essere compiuto sulla base degli elementi contenuti nello stesso ricorso, nella specie tutto carenti, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative.
Invero – precisato che dalla parte espositiva della sentenza impugnata risulta che il P. in corso di causa aveva rettificato la domanda, dando atto del pagamento dei canoni di luglio e agosto 1986 (cfr. pag. 3) e considerato che la Corte di appello ha decurtato la somma riconosciuta in primo grado, ritenendo (come innanzi detto) non dovuti all’odierno ricorrente i canoni successivi all’acquisto di M.T. – non è dato rilevare alcun errore giuridico di imputazione;
mentre un eventuale errore di fatto non sarebbe, comunque, deducibile con il ricorso per cassazione.
Il ricorso principale va, dunque, rigettato.
4. Passando al ricorso incidentale articolato in due motivi – con cui si denuncia, rispettivamente, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla prova di pagamento dei canoni e alla regolazione delle spese del primo e del secondo grado – il Collegio ritiene fondata l’eccezione di inammissibilità formulata dal ricorrente principale.
4.1. Invero – sebbene il controricorso, avendo la sola funzione di resistere all’impugnazione altrui, non richieda a pena di inammissibilità l’esposizione sommaria dei fatti di causa, ben potendo richiamarsi ai fatti esposti nella sentenza impugnata ovvero nel ricorso principale (Cass. 21.2.1996,n. 1341; Cass. 9.9.1997, n. 8746) – ove il controricorso contenga anche un ricorso incidentale, per l’ammissibilità di quest’ultimo, data la sua autonomia rispetto al ricorso principale, deve sussistere l’esposizione sommaria dei fatti di causa a norma del combinato disposto dell’art. 371 c.p.c., comma 3, e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.
E’ pertanto inammissibile il ricorso incidentale (e non il controricorso) tutte le volte in cui si limiti ad un mero rinvio all’esposizione del fatto contenuta nel ricorso principale, potendo il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, ritenersi sussistente, solo quando dal contesto dell’atto di impugnazione si rinvengono gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle parti, senza necessità di ricorso ad altre fonti (Cass. S.U. 13.2.1998, n. 1513). Ai fini dell’inammissibilità alla mancata esposizione dei fatti di causa va equiparata l’insufficienza della stessa (Cass. 23/05/2003, n. 8154;
Cass. 23.7.1994, n. 2796).
Nella fattispecie neppure dal contenuto del controricorso emergono tutti questi elementi relativi allo svolgimento dei fatti di causa, per cui il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.
La reciproca soccombenza impone la compensazione integrale delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2010