Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.766 del 19/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Sviluppo Commerciale s.r.l. in liquidazione;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 494/40/07 del 22/10/07.

FATTO E DIRITTO

Considerato che il Consigliere relatore, nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione scritta prevista dall’art. 380 bis c.p.c., nei termini che di seguito si trascrivono:

“L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per Cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che ha rigettato l’appello dell’Ufficio contro la sentenza di primo grado, che aveva accolto il ricorso della societa’ avverso un avviso di accertamento.

La societa’ intimata non si e’ costituita.

Il ricorso contiene quattro motivi. Puo’ essere trattato in Camera di consiglio (art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5) ed accolto, per manifesta fondatezza del primo motivo, rigettato il secondo ed il terzo e dichiarato inammissibile il quarto, alla stregua delle considerazioni che seguono:

Con il primo motivo l’Agenzia lamenta il vizio di motivazione, lamentando il fatto che la decisione sia fondata esclusivamente sulla illegittimita’ della acquisizione di documentazione extra – contabile, senza tenere in alcun conto il risultato degli accertamenti bancari eseguiti nei confronti della societa’ e dei soci.

Il primo motivo e’ manifestamente fondato, non rinvenendosi nel percorso motivazionale del giudice tributario alcun riferimento agli ulteriori elementi indiziari su cui l’accertamento era fondato.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la contraddittorieta’ della motivazione, a suo avviso desumibile dal fatto che, da un lato, il giudice tributario, valutando nel merito gli elementi offerti dall’ufficio, ritiene non esservi prova adeguata della appartenenza alla societa’ dei locali ove e’ stata rinvenuta la documentazione extra-contabile e, dall’altro, afferma essersi formato un giudicato esterno favorevole alla societa’ quanto alla illegittimita’ della acquisizione probatoria.

Il secondo motivo e’ manifestamente infondato, essendo palese che nella specie si tratta di due concorrenti rationes decidendi e non certo di un vizio logico della motivazione.

Con il terzo motivo l’Agenzia deduce, sotto il profilo della violazione di legge, l’erroneita’ della decisione quanto alla ritenuta inutilizzabilita’ nel processo tributario della documentazione pur illegittimamente acquisita.

Il terzo motivo e’ manifestamente infondato, alla stregua del principio secondo cui, in tema di imposte dirette (come di IVA) ed in ipotesi di accesso domiciliare, la illegittimita’ (ed a maggior ragione la mancanza) del provvedimento di autorizzazione del procuratore della Repubblica ai sensi degli del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52 importa la inutilizzabilita’, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale atteso che:

a) detta inutilizzabilita’ non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola;

b) il compito del giudice di vagliare le prove offerte in causa e’ circoscritto a quelle di cui abbia preventivamente riscontrato la rituale assunzione;

c) l’acquisizione di un documento con violazione di legge non puo’ rifluire a vantaggio del detentore, che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente o indirettamente responsabile. Peraltro, a prescindere dalla verifica dell’esistenza o meno, nell’ordinamento tributario, di un principio generale di inutilizzabilita’ delle prove illegittimamente acquisite analogo a quello fissato per il processo penale dall’art. 191 del vigente c.p.p.., l’inutilizzabilita’ in questione discende dal valore stesso dell’inviolabilita’ del domicilio solennemente consacrato nell’art. 14 Cost. (Cass. 19689/04) l’erronea applicazione nella fattispecie del principio del giudicato esterno in materia tributaria, desumibile dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 13916/06.

Il quarto motivo e’ inammissibile, atteso che la sentenza – come gia’ rilevato – si fonda su due distinte rationes decidendi, ciascuna delle quali e’ idonea a sorreggere la decisione, cosicche’ e’ irrilevante l’eventuale erroneita’ di una sola di esse”;

che l’Agenzia delle Entrate ha presentato una memoria;

che il collegio non condivide la proposta del relatore quanto al terzo motivo;

che infatti, secondo la giurisprudenza prevalente di questa Corte, la mancanza della autorizzazione dell’ispettore compartimentale (o, per la guardia di finanza, del comandante di zona) prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 7, ai fini della richiesta di acquisizione, dagli istituti di credito, di copia dei conti bancari intrattenuti con il contribuente, non preclude l’utilizzabilita’ dei dati acquisiti, atteso che la detta autorizzazione attiene ai rapporti interni e che in materia tributaria non vige il principio (presente nel codice di procedura penale) della inutilizzabilita’ della prova irritualmente acquisita, salvi i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico (Cass. 4987/03) e d’altro canto l’utilizzazione della documentazione acquisita nel corso delle attivita’ di polizia tributaria non e’ subordinato all’autorizzazione dell’autorita’ giudiziaria, richiesta dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 63 in quanto tale atto e’ posto esclusivamente a tutela del segreto istruttorio; inoltre, la violazione delle regole dell’accertamento tributario non comporta come conseguenza necessaria l’inutilizzabilita’ degli elementi acquisiti, in mancanza di una specifica previsione normativa in tal senso (Cass. 14058/06, 2450/07, 7279/09);

che pertanto, accolti il primo ed il terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il secondo e dichiara inammissibile il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione tributaria, il 17 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010

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