LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –
Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –
Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –
Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 31737/2005 proposto da:
R.U., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 308, presso lo studio RUFFOLO, rappresentato e difeso dall’avvocato DI GIOVANNI Francesco giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
e contro
M.L., B.C.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 845/2004 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, Sezione 2^ Civile, emessa il 28/05/04, depositata il 23/12/2004;
R.G.N. 2198/03.
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 28/10/2009 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;
udito l’Avvocato Piera CARTONI MOSCATELLI per delega avv. Francesco DI GIOVANNI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l’accoglimento del 4^ motivo con assorbimento del resto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.1. Con intimazione di licenza per finita locazione M.L. conveniva l’avv. R.U. innanzi al Tribunale di Bologna per sentire convalidare l’intimata licenza per la data del ***** relativamente all’immobile ad uso autorimessa sito in *****, locato al convenuto con contratto in data *****.
Il R. non si costituiva; interveniva, invece, l’avv. B. C. per eccepire la nullità della intimazione per invalidità della notifica, pervenuta nello studio legale dell’avv. R. in ***** e non nella residenza anagrafica del convenuto in *****. Il B. giustificava il proprio interesse a intervenire, asserendo di utilizzare regolarmente l’autorimessa di cui trattasi.
Emessa ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c., con sentenza in data 9-10-2003, l’adito Tribunale dichiarava il difetto di legittimazione passiva del B.; dichiarava che il contratto di locazione inter partes era cessato alla data del ***** e confermava l’esecuzione per il rilascio per il *****; condannava il R. al pagamento delle spese processuali e compensava, invece, tali spese nei rapporti tra il B. e la M..
1.2. La decisione, gravata da appello da parte del R., nel contraddittorio anche del B., era confermata dalla Corte di appello di Bologna, la quale con sentenza in data 28-5/23-12-2004 rigettava l’appello e condannava l’appellante e il B. al pagamento delle spese processuali in favore della M..
1.3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’avv. R.U. contro M.L., ved. BO. e nei confronti dell’avv. B.C., svolgendo quattro motivi.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Al riguardo parte ricorrente si duole che la notifica dell’intimazione di licenza sia avvenuta nel proprio studio professionale in *****, sebbene la propria residenza sia in ***** e censura la decisione impugnata nel punto in cui ha affermato l’alternatività dei due luoghi; osserva che i luoghi indicati per la notifica dell’art. 139 c.p.c., commi 1 e 6 – qualora non sia possibile quella in mani proprie, ai sensi dell’art. 138 c.p.c. – sono previsti in successione preferenziale e soltanto se la casa di abitazione e lo studio trovasi nel medesimo comune di residenza vi è alternatività tra essi. Contesta, quindi, di avere, di fatto, la residenza in *****, assumendo di avervi solo un “domicilio secondario”; deduce che l’effettiva e abituale dimora in detta città non potrebbe neppure ricavarsi dal fatto che nel contratto di locazione si trovi la generica indicazione “ab. *****”, trattandosi di indicazione inserita “per praticità”, in considerazione dell’ubicazione del bene locato; in tale contesto sarebbe ingiustificato il richiamo da parte della Corte di appello all’indirizzo giurisprudenziale che assegna alle risultanze anagrafiche mero valore presuntivo.
1.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 660 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. A questo riguardo parte ricorrente si duole che la sentenza impugnata abbia omesso di esaminare le argomentazioni svolte nell’atto di appello in ordine all’erronea applicazione dell’art. 660 c.p.c., comma 1; precisa che l’intimazione di licenza non venne notificata all’int. ***** di Via del ***** (dove trovasi il proprio “domicilio secondario”, che è per l’appunto l’abitazione indicata nel contratto), ma presso il suo studio legale (all’int. 6); in ogni caso – quand’anche si ritenesse che la notifica fosse avvenuta al domicilio eletto – la stessa notificazione sarebbe nulla perchè effettuata in violazione sia del criterio tassativo preferenziale di cui all’art. 139 c.p.c., sia dell’art. 660 c.p.c.. Lamenta, altresì, che la Corte di appello abbia travisato il contenuto delle proprie deduzioni nel punto in cui il locale garage era indicato come pertinenza dell’abitazione di via del Cestello, ritenendo che si trattasse di autonomo motivo di appello.
2. I suddetti motivi, attesa l’evidente interconnessione, vanno trattati congiuntamente.
In via di principio si osserva che l’art. 139 c.p.c., pone un criterio di successione preferenziale solo per quanto riguarda la scelta del comune nel quale deve essere effettuata la notificazione, cioè quello di residenza, di dimora o di domicilio; mentre, nell’ambito del comune individuato secondo il suddetto criterio, è consentita la notificazione nell’ufficio del destinatario o nel luogo dove esercita l’industria o il commercio in alternativa a quella presso la casa d’abitazione, perciò senza necessità di preventiva infruttuosa ricerca del destinatario stesso presso tale abitazione (Cass. civ., Sez. 3^, 19/11/2003, n. 17504; Cass. civ., Sez. 3^, 26/07/2002, n. 11077).
Ciò posto, la motivazione della decisione impugnata impone, indubbiamente, una precisazione nel punto in cui si legge che la notifica ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 1, se non effettuata in mani proprie ex art. 138 c.p.c., può “essere eseguita nella residenza del convenuto o dove questi ha l’ufficio od esercita l’industria e il commercio”, in quanto “tra tali diversi luoghi non esiste un ordine preferenziale, essendo previsti nel contesto normativo, come alternativi” (pag. 8 della sentenza). Invero “l’alternatività”, con il luogo dove l’intimato esercita la propria attività, affermata dai giudici di appello, deve intendersi riferita – non già alla “residenza del convenuto” – bensì, più esattamente, alla “casa di abitazione” (indicazione, questa, omessa in sentenza verosimilmente per mero errore materiale) posta nel medesimo comune di residenza.
Per altro verso l’affermazione, oggetto di censura, va letta in stretta correlazione con i dati obiettivi di seguito riportati nella stessa sentenza – e, segnatamente: l’avvenuta notificazione dell’atto di licenza per finita locazione e citazione per la convalida in ***** presso lo studio dell’avv. R.; l’effettiva consegna dell’atto in quella sede ad un’impiegata addetta allo studio;
l’indicazione nello stesso contratto di locazione dell’abitazione del R. sempre in ***** – che hanno indotto la Corte di appello a individuare proprio in questa città la residenza di fatto dell’odierno ricorrente, ritenendo che lo stesso “risiedeva, abitualmente, in *****, ove esercitava abitualmente la professione di avvocato nella predetta via” (pag. 9).
In altri termini i giudici di merito hanno ritenuto conforme a legge la notificazione dell’atto di intimazione, perchè, nonostante Bologna non corrispondesse alla residenza anagrafica, il luogo era, comunque, quello dell’effettiva residenza del destinatario, risultando, poi, indifferente – stante l'”alternatività” dei luoghi indicati dall’art. 138 c.p.c., comma 1, nell’ambito del comune di residenza così individuato – che la notifica fosse avvenuta presso lo studio dell’avv. R., senza il preventivo tentativo presso l’abitazione, peraltro posta sempre al n. *****.
2.1. Merita puntualizzare che il vizio di omessa considerazione dell’eccezioni e obiezioni mosse alla sentenza di primo grado in relazione all’art. 660 c.p.c., è configurabile come error in procedendo per violazione dell’art. 112 c.p.c., e non come vizio di motivazione o error in iudicando (cfr. Cass. civ., Sez. 5^, 28/02/2008, n. 5223) e come tale andava fatto valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.
Soprattutto occorre osservare che il ricorrente travisa la ratio decidendi, laddove si duole che sia stato dato rilievo al domicilio eletto nel contratto di locazione, peraltro in violazione dell’art. 660 c.p.c., dal momento che nel percorso argomentativo della decisione impugnata il domicilio indicato nel suddetto contratto costituisce solo un elemento indiziario, che, nel concorso degli altri elementi concernenti lo svolgimento dell’attività professionale dell’intimato, è stato ritenuto idoneo a far superare le risultanze anagrafiche e individuare l’effettiva residenza del R..
2.2. Valga considerare che ai sensi dell’art. 43 c.c., comma 2, la residenza è il luogo in cui la persona ha la dimora abituale. Non dunque quello in cui risulta averla in base alle risultanze anagrafiche, che rivestono valore meramente presuntivo, ma quello in cui effettivamente dimora. A tale luogo fa evidentemente riferimento l’art. 139 c.p.c., laddove stabilisce che la notifica deve essere fatta nel comune di residenza del destinatario “ricercandolo nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio”. Ne consegue secondo un orientamento univoco di legittimità e di merito che la notificazione della citazione è validamente eseguita presso la residenza effettiva del destinatario dell’atto, nonostante le diverse risultanze anagrafiche (cfr. ex plurimis Cass. civ., Sez. 1^, 12/04/2006, n. 8523; Cass. civ., Sez. 2^, 16/11/2006, n. 24422).
D’altra parte, la corretta individuazione del luogo di residenza effettiva del destinatario della notificazione e, dunque, la verifica della validità della notificazione, può avvenire attraverso qualunque fonte di convincimento anche presuntiva, considerato il valore meramente dichiarativo delle risultanze anagrafiche (in questo senso: Cass. 26 maggio 1999, n. 5076). In ogni caso, l’accertamento della residenza, domicilio o dimora del destinatario della notificazione compiuto dal Giudice di merito non è censurabile in Cassazione – se non per vizi della relativa motivazione – in funzione dello scrutinio di validità della notifica dell’atto di citazione, trattandosi di accertamento in fatto riservato al Giudice di merito (Cass. 28 settembre 2004, n. 19416).
Da questi principi si ricava che l’individuazione da parte dei giudici di appello del comune di Bologna, quale luogo di residenza effettiva del R., avrebbe dovuto essere contrastata con la specifica deduzione di vizi della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Il ricorrente, invece, inammissibilmente, oppone in termini meramente assertivi che l’abitazione di ***** era “un’abitazione secondaria¯ ovvero ancora sottolinea circostanze in sè non decisive, quali la pretesa svista nell’interpretazione di alcune deduzioni svolte nell’atto di appello, tentando di accreditare, attraverso la formale enunciazione del vizio di violazioni, di legge e di difetto di motivazione, una valutazione meramente alternativa rispetto a quella adottata, con motivazione adeguata dai giudici del merito.
In definitiva entrambi i motivi all’esame non meritano accoglimento.
3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione del principio del ne bis in idem di cui all’art. 39 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Il ricorrente si duole che sia stata esclusa la violazione di siffatto principio in relazione ad altra causa da esso radicata innanzi al Tribunale di Bologna in data 6-3-2003 nei confronti della M.. Osserva che in quest’ultima causa si discuteva della validità e opponibilità della disdetta e di plurime responsabilità della locatrice, per cui tra detta causa e la presente sussisterebbe un rapporto di continenza e un indubbio nesso di pregiudizialità logica.
4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 426 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Al riguardo il ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ritenuto infondata l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per la mancata notifica dell’ordinanza ex art. 426 c.p.c., trascurando l’univoco orientamento giurisprudenziale che ritiene necessaria la notifica dell’ordinanza di trasformazione del rito al convenuto contumace.
4.2. L’esame del quarto motivo va anteposto al terzo, svolgendo una questione di carattere pregiudiziale attinente alla ritualità del contraddittorio nel primo grado del giudizio.
Il motivo è fondato. Invero la giurisprudenza lavoristica ha da tempo affermato con riguardo alle controversie individuali di lavoro promosse dopo l’entrata in vigore della L. 11 agosto 1973, n. 533 (relativamente alle quali non avrebbe trovato diretta applicazione la sentenza 14 gennaio 1977, n. 14, con la quale la Corte Costituzionale dichiarò l’incostituzionalità del combinato disposto dell’art. 20 legge medesima e dell’art. 426 c.p.c., nella parte in cui non prevede la comunicazione al contumace dell’ordinanza che, ai sensi di tale ultima norma, dispone la trasformazione del rito ordinario in quello speciale, posto che tale pronunzia concerneva esclusivamente le cause già pendenti al momento di entrata in vigore della L. n. 533 cit.) che, ove la causa sia stata introdotta nelle forme ordinarie e si debba conseguentemente disporre il passaggio al rito speciale, la relativa ordinanza deve essere comunicata alla parte contumace, in applicazione di una regola che, sebbene non espressamente sancita per tale caso, costituisce tuttavia un principio generale del nostro ordinamento e perciò anche un criterio legittimo di ermeneutica conformemente al disposto dell’art. 14 disp. gen. (Cass. civ., 13/02/1985, n. 1209).
Anche nel rito locatizio qualora il giudice disponga la trasformazione del rito ai sensi dell’art. 426 c.p.c., l’ordinanza di fissazione dell’udienza di discussione e di concessione di termine perentorio per la integrazione degli atti deve essere comunicata alla parte contumace, in osservanza del suddetto principio generale dell’ordinamento (cfr. Cass. civ., Sez. 3^i, 06/11/2008, n. 26611;
Cass. civ., Sez. 3^, 19/01/1987, n. 428).
Orbene la succinta motivazione in parte qua della decisione impugnata – secondo cui l’intimazione di licenza era avvenuta ritualmente, per cui la mancata costituzione del R. era dovuta a libera scelta – per un verso, da implicitamente, ma univocamente atto dell’omessa notifica dell’ordinanza al contumace e, per altro verso, non fornisce idonea giustificazione di tale omissione. Invero la volontarietà della scelta iniziale di non costituirsi in giudizio non esclude che, nel quadro del diritto di difesa e con riferimento ad ipotesi in cui un termine sia stabilito per il compimento di atti la cui omissione importi un pregiudizio per la situazione soggettiva giuridicamente tutelata, l’art. 24 Cost., debba estendersi alla conoscibilità del momento iniziale di decorrenza del termine stesso, al fine di assicurarne all’interessato l’utilizzazione nella sua interezza (cfr.
Corte cost. n. 14 del 1977).
In definitiva sussiste l’eccepita nullità relativa al primo grado del giudizio, sia pure limitatamente alla fase successiva all’ordinanza di trasformazione del rito, per cui il processo andrà rinnovato a partire dal momento in cui si è verificata detta nullità, vertendosi in una situazione assimilabile a quelle di cui all’art. 354 c.c., comma 1.
Il quarto motivo va, dunque, accolto, risultando assorbito il terzo motivo, per cui la sentenza impugnata va cassata in relazione con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, innanzi al Tribunale di Bologna.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il quarto, assorbito il terzo; cassa in relazione la sentenza impugnata con rinvio anche per le spese del giudizio di. cassazione al Tribunale di Bologna, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2010