LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –
Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –
Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –
Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 18421/2004 proposto da:
B.L. (c.f. *****), M.L., B.
R. (c.f. *****), B.P. (c.f.
*****), B.M. (c.f. *****), B.G., M.G.L. (C.f. *****), M.M., (c.f. *****), gli ultimi due nella qualità di eredi B.N., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIAN BATTISTA VICO 1, presso l’avvocato PROSPERI MANGILI LORENZO, rappresentati e difesi dall’avvocato BELTRAMI Franco, giusta procure a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI FORLI’;
– intimato –
sul ricorso 20435/2004 proposto da:
COMUNE DI FORLI’ (c.f. *****), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RUGGERO FAURO 43, presso l’avvocato PETRONIO UGO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DI GIOVANNI MARIO, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
B.L., M.L., B.R., B.
P., B.M., B.G., M.G.
L., M.M.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 65/2004 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 13/01/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 15/10/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;
udito, per i ricorrenti, l’Avvocato PROSPERI MANGILI LORENZO, per delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale, rigetto del ricorso incidentale;
udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato PETRONIO che ha chiesto il rigetto del ricorso principale, accoglimento del ricorso incidentale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Forlì,con sentenza del 18 settembre 2000, condannò il comune di Forlì al risarcimento del danno per l’avvenuta occupazione espropriativa in data *****, di alcuni immobili di proprietà di L., R., P., M. e B.G., M.L. nonchè M.G. e M. onde realizzare i lavori di sistemazione di una strada comunale disposti con Delib. consiliare 4 novembre 1988, che liquidò, in L. 225.000.000 per il fabbricato totalmente abbattuto, L. 260.975.000 per l’area di sedime, L. 12.250.000 per il terreno circostante e L. 770.000 per altra area di soli 2 mq. facente parte della part. *****.
L’impugnazione del comune è stata parzialmente accolta dalla Corte di appello di Bologna che, con sentenza del 13 gennaio 2004 ha respinto le domande dei proprietari, e confermato esclusivamente l’occupazione acquisitiva della superficie di mq. 2 della part. *****, in quanto: a) al decreto di occupazione d’urgenza *****, reso esecutivo dal CORECO, con provvedimento del 19 ottobre 1990, doveva seguire della L. n. 865 del 1971, ex art. 20, comma 1, l’immissione in possesso negli immobili poi espropriati, entro il 19 gennaio 1990: in realtà avvenuta con verbale di consistenza e di immissione del 15 gennaio 1991, redatti in presenza di due testimoni,come richiesto dalla L. n. 1 del 1978, art. 3; b) a nulla perciò rilevava che i proprietari ed i loro inquilini erano rimasti nella detenzione dell’edificio e che erano state necessarie alcune ingiunzioni per ottenerne il rilascio, mancando la prova che la stessa fosse dovuta a ragioni diverse dalla mera tolleranza dell’amministrazione espropriante, che con il menzionato verbale ne aveva comunque ottenuto il possesso; c) che conseguentemente tutti gli immobili erano stati ritualmente espropriati con decreto del 29 luglio 1994, d eccezione di un’area di soli mq. 2 (part. *****) non compresa nei provvedimenti ablativi; per la quale dunque si era verificata l’occupazione acquisitiva.
Per la cassazione della sentenza il B. ed i consorti hanno proposto ricorso affidato ad un motivo; cui ha resistito il comune di Forlì con controricorso contenente ricorso incidentale per due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., perchè proposti contro la medesima sentenza.
Con quello principale B.L. ed i consorti, deducendo violazione della L. n. 865 del 1971, art. 20 e art. 345 cod. proc. civ., censurano la sentenza impugnata per aver considerato nuova e comunque infondata la loro eccezione di inefficacia dell’occupazione temporanea per inutile scadenza del termine di 3 mesi concesso dalla norma per la loro immissione in possesso senza considerare che la stessa già proposta in primo grado era documentata dall’ordinanza del Sindaco rivolta agli inquilini in data ***** con cui si intimava loro lo sgombero del fabbricato;ed in cui non si accennava nè a mera tolleranza nè ad alcun precedente possesso dell’immobile da parte dell’amministrazione. Rilevano che la contraria conclusione della sentenza si pone in contrasto con la giurisprudenza di legittimità per la quale l’immissione in possesso non è configurabile in presenza di meri atti iniziali di esecuzione,ma deve essere completale che la relativa prova grava sull’amministrazione che ha conseguito il decreto.
Il ricorso è infondato.
La Corte di appello ha accertato senza contestazione alcuna dei ricorrenti al riguardo: 1) che il comune di Forlì ha conseguito in data 21 settembre 1990 decreto di occupazione di urgenza, dichiarato legittimo dal CORECO con provvedimento del 19 ottobre 1990, degli immobili B. onde provvedere all’allargamento ed alla risistemazione di una strada pubblica ubicata nel territorio comunale (pag. 28); 2) che in data 15 gennaio 1991, antecedente alla scadenza del termine trimestrale concesso della L. n. 865 del 1971, art. 20, comma 1, lo stesso comune aveva redatto un verbale di stato di consistenza e di immissione in possesso di detti beni secondo le formalità prescritte dalla L. n. 1 del 1978 (presenza di due testimoni, in assenza dei proprietari).
Ne ha tratto correttamente la conseguenza che gli atti suddetti avevano comportato lo spossessamento dei B. e l’inizio del possesso degli immobili da parte dell’amministrazione comunale,idoneo a dar corso al decreto che ne autorizzava l’occupazione temporanea:
perciò interrotta esclusivamente dal decreto di esproprio 29 luglio 1994 che ha impedito il verificarsi della c.d. occupazione espropriativa (tranne che su di un’area di soli mq. 2 compresa nella part. *****).
La giurisprudenza di questa Corte,resa anche a sezioni unite,è infatti assolutamente consolidata nel ritenere che l’acquisto del possesso e la contemporanea perdita da parte del soggetto cui faceva capo (siano essi effetto di un contratto o di un comportamento materiale) non richiedono per la loro realizzazione, un rapporto materiale (e la contemporanea cessazione del rapporto stesso), con la cosa nella sua totale consistenza (il che sarebbe peraltro praticamente impossibile nella ipotesi di bene immobile) ma soltanto un atto (sostanzialmente) simbolico, indicativo dell’inizio del nuovo rapporto (e la cessazione di quello precedente) con la cosa (ad es.
la traditio brevi manu) ovvero un atto negoziale comportante il mutamento della natura giuridica della disponibilità della cosa (costituito possessorio) o comportante la sua esclusiva disponibilità: quali esemplificativamente la recinzione di un’area, ovvero il suo dimensionamento tramite apposizione di picchetti.
A maggior ragione fra detti atti è stato compreso il verbale di immissione in possesso (unitamente a quello contenente lo stato di consistenza degli immobili), posto che la L. n. 1 del 1978, art. 3, impone all’espropriante o ai suoi concessionari: 1) di procedere alla formazione, dopo che sia disposta l’occupazione, dello stato di consistenza del bene da espropriare in concomitanza con la redazione del verbale di immissione in possesso; 2) di ammettere al contraddittorio il fittavolo il mezzadro, il colono o il compartecipante, previo avviso notificato al proprietario, ed affisso nel Comune, almeno venti giorni prima; 3) di redigere il verbale (di consistenza e di immissione in possesso) in contraddittorio, col proprietario, o in sua assenza con l’intervento di due testimoni che non siano dipendenti dell’espropriante o del concessionario.
Qualora,quindi, venga prodotto in giudizio, come avvenuto nel caso di specie, il verbale di consistenza e di immissione in possesso, redatto a seguito della emanazione del decreto di occupazione di urgenza, si deve presumere: a) che il beneficiario di tale provvedimento si sia effettivamente impossessato dell’immobile – e cioè di tutti i beni indicati nel verbale suddetto (cfr. in tal senso Cass. sez. un. 1160/2000; sez. un. 28/1999; 510/1999; Cass. 2001/1968); b) che sia il proprietario che l’eventuale fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante siano stati portati a conoscenza e siano, quindi, consapevoli dell’avvenuto loro spossessamento e dell’acquisto del possesso del bene da parte dell’occupante; c) che la eventuale successiva permanenza nel godimento del fondo del proprietario o di taluno di detti soggetti, che vantino diritti di natura reale o personale sullo stesso, deve ascriversi a mera tolleranza dell’amministrazione espropriante (Cass. 7775/2001;
2563/2002; 1225/2002; 6491/2004; 8384/2008): anche perchè nessuna disposizione impone a quest’ultima l’immediato sgombero del fondo, nonchè il contestuale inizio dei lavori, stabilendo, invece, la stessa L. n. 1 del 1978, art. 1, comma 2, che “Gli effetti della dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità cessano se le opere non hanno avuto inizio nel triennio successivo all’approvazione del progetto”.
Con questo quadro normativo,oggi recepito dall’art. 24 del T.U. sulle espropriazioni, appr. con D.P.R. n. 327 del 2001, secondo il quale l’immissione in possesso si intende effettuata “anche quando, malgrado la redazione del relativo verbale, il bene continua ad essere utilizzato, per qualsiasi ragione, da chi in precedenza ne aveva la disponibilità” (comma 4) – non si pongono in contrasto,come dedotto dai ricorrenti, le decisioni di questa Corte, per le quali soltanto l’effettiva e completa immissione nel possesso – e non il semplice inizio, nel suddetto termine, delle operazioni di apprensione determina l’acquisizione della disponibilità del bene da parte dell’espropriante; per cui seppure la presa di possesso sia impedita da una resistenza arbitraria del privato (non superata da parte dell’amministrazione con il ricorso a mezzi di polizia) si produce l’inefficacia del decreto di occupazione sancita dal ricordato comma 1 dell’art. 20: riferendosi all’evidenza detti principi all’ipotesi, qui non ricorrente, in cui l’espropriante non abbia adottato nessuno di questi atti ed i suoi incaricati abbiano proceduto direttamente alla materiale apprensione del fondo in forza del provvedimento autorizzativo.
Non giova, poi, ai B. che la presunzione di reale e completo impossessamento del loro fondo sia da comprendere fra quelle iuris tantum; che ammettono, dunque, tutti gli interessati, ed in particolar modo il proprietario a dimostrare la mancata effettiva esecuzione del provvedimento amministrativo e/o che pur l’adozione e l’esecuzione del provvedimento di occupazione d’urgenza, la loro permanenza nell’immobile abbia costituito esercizio di possesso tutelabile ed idoneo a comportarne l’efficacia per l’inutile scadenza del termine in questione: in quanto rettamente la sentenza impugnata ha ritenuto che la prova contraria non poteva ritenersi raggiunta in conseguenza delle due ingiunzioni 17 maggio e 4 ottobre 1991 con cui il comune di Forlì aveva loro intimato il rilascio dell’edificio in vista della sua demolizione e dell’inizio dei lavori stradali programmati: perchè del tutto compatibili con il comportamento tollerante di detta amministrazione dato che soltanto in tale momento ebbe interesse a conseguire l’effettivo sgombero del fabbricato da abbattere; di cui, quindi, nei mesi precedenti non era prevista alcuna utilizzazione. Senza considerare che detta prova non ha interessato affatto il terreno pur esso incluso nel verbale di immissione in possesso,acquisito dunque dal comune espropriante il *****.
Con il primo motivo del ricorso incidentale, l’ente pubblico, deducendo violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, si duole che l’area estesa mq. 2 pur essendo stata considerata dalla sentenza oggetto di occupazione espropriativa, sia stata indennizzata non con il criterio riduttivo stabilito al riguardo da quest’ultima norma, ma in base al suo intero valore venale, applicabile soltanto nell’ipotesi di occupazione c.d. usurpativa.
Con il secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 2947 cod. civ., lamenta che non sia stata dichiarata la prescrizione del relativo diritto di credito,iniziata a decorrere proprio dal momento di impossessamento dell’immobile (*****); e quindi interamente maturata assai prima della citazione introduttiva del giudizio (22 marzo 1996).
Entrambi i motivi sono infondati: il secondo perchè non tiene conto della giurisprudenza relativa agli stessi presupposti peculiari dell’occupazione acquisitiva, ravvisata fin dalle fondamentali sentenze 1464/1983 e 3940/1988 delle Sezioni Unite, nel “fenomeno specifico, caratterizzato quale suo indefettibile punto di partenza da una dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e quale suo indefettibile punto di arrivo dalla realizzazione dell’opera medesima; nonchè dall’inserimento tra questi due poli, di una attività esecutiva manipolatrice del bene altrui nella sua fisionomia materiale di comportamento dettato dalle leggi in materia”. Con il quale l’istituto si identifica e dal quale soltanto può iniziare a decorrere il diritto all’indennizzo spettante ex art. 42 Cost.,. al proprietario in sostituzione del bene illegittimamente sottratto.
A differenza, dunque della mera occupazione-detenzione illegittima di immobili altrui, cui si riferisce Cass. 16564/2002, invocata dal comune, la prescrizione del relativo credito non può iniziare a decorrere che dal momento della sua irreversibile trasformazione nell’opera pubblica programmata dalla dichiarazione di p.u.; che entrambi i giudici di merito hanno accertato avvenuta in data 14 marzo 1992,con la conseguenza di restare definitivamente interrotta in seguito alla citazione h introduttiva del giudizio.
Il criterio di calcolo riduttivo di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, invocato, infine dal comune, non è più applicabile: la Corte Costituzionale, infatti, con la nota sentenza 349 del 2007 ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale in quanto la norma, non prevedendo un ristoro integrale del danno subito per effetto dell’occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato, è in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU e per ciò stesso viola l’art. 117 Cost., comma 1.
Pertanto, a seguito di detta declaratoria di incostituzionalità è stato ripristinato l’originario criterio di stima dell’indennizzo dovuto al proprietario che ha subito l’occupazione acquisitiva, corrispondente al valore venale pieno dell’immobile espropriato (L. n. 2359 del 1865, art. 39): si da raggiungere, secondo la Corte Costituzionale, “la sua massima estensione consentita” in luogo del “massimo di contributo di riparazione che nell’ambito degli scopi di generale interesserà pubblica amministrazione può garantire all’espropriato” nell’ipotesi di trasferimento coattivo in cui sia osservata la sequenza procedimentale stabilita dalla legge.
L’applicazione di questo criterio è stata del resto ribadita dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, il cui comma 89 sub e) ha modificato l’art. 55 del T.U. sulle espropriazioni per p.u. appr. con D.P.R. 327 del 2001, disponendo che “nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di p.u., in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio alla data del 30 settembre 1996, il risarcimento del danno è liquidato in misura pari al valore venale del bene”; che è stata di fatto applicata dalla Corte di appello.
Il rigetto di entrambi i ricorsi induce la Corte a dichiarare interamente compensate tra le parti le spese processuali.
P.Q.M.
La Corte, riunisce i ricorsi e li rigetta. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010