Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.793 del 19/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21451-2005 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa dall’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.E.;

– intimato –

sul ricorso 25770-2005 proposto da:

C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati MEDINA ALBERTO, SERTORI GIOVANNI, giusta mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A.;

– intimata –

sul ricorso 29225-2005 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa dall’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 562 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 26/08/2004 R.G.N. 841/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/11/2009 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega TRIFIRO’ SALVATORE;

udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO per delega SERTORI GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI COSTANTINO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e rigetto nel resto.

La Corte:

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

1. la Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza di prime cure, ha dichiarato, in particolare, l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato fra C.E. e Poste Italiane s.p.a..

2. Come si evince dalla sentenza impugnata, C.E. è stato assunto con contratto a termine in data 3 maggio 2002 per esigenze tecniche organizzative e produttive, anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione … ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie … nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi 17, 18 e 23 ottobre, 11/12/01 e 11/1, 13/2 e 17/4/02.

3. La Corte d’appello di Milano ha considerato il caso in esame come pacificamente rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 25 c.c.n.l. del 2001; questo si desume sia dallo svolgimento del processo nel quale si riferisce che il ricorrente-appellante aveva rilevato che nel contratto individuale era riportata la clausola del contratto collettivo che autorizzava le assunzioni a termine, sia nella motivazione, nella quale si sottolinea che entrambe le parti hanno fatto riferimento alla citata norma collettiva.

Sulla base di tali premesse la Corte territoriale ha ritenuto la nullità del termine apposto al contratto de quo sul rilievo che nè nel contratto individuale nè nel successivo giudizio era stata indicata quale delle numerose ipotesi previste nella citata norma collettiva ricorreva nel caso concreto; in sostanza era mancata una valida formalizzazione delle ragioni poste a giustificazione dell’apposizione del termine suddetto; dalla nullità del termine la Corte di merito ha fatto discendere la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato con condanna della società Poste Italiane al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data di messa in mora individuata nella richiesta del tentativo di conciliazione.

4. Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi; il C. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato;

Poste Italiane ha notificato controricorso avverso il ricorso incidentale; entrambe le parti hanno depositato memoria.

5. Preliminarmente deve disporsi la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la stessa sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).

6. Col primo motivo Poste Italiane s.p.a. denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 dell’art. 1362 e segg. cod. civ. e artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ. nonchè vizio di motivazione. Assume che erroneamente la sentenza ha ritenuto che il contratto fosse disciplinato dall’art. 25 del c.c.n.l. del 2001 in quanto tale contratto individuale, nel richiamare la vigente normativa, faceva riferimento al D.Lgs. n. 368 del 2001, citato art. 1. Deduce la legittimità del richiamo esclusivo al citato art. 1, atteso che lo stesso D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11 nell’abrogare la L. n. 56 del 1987, art. 23 e ne fare salve le clausole dei contratti collettivi nazionali stipulati ai sensi della norma da ultimo citata, non ha inteso limitare l’applicazione della nuova normativa di cui all’art. 1 del D.Lgs. ma ha considerato le ipotesi previste dai contratti collettivi come semplici ipotesi aggiuntive rispetto a quelle previste dalle fonti normative primarie. Sotto altro profilo allega che comunque il contratto a termine de quo era stato stipulato dopo il *****, e cioè quando il contratto collettivo era già scaduto. Afferma, in conclusione, che la legittimità del contratto de quo doveva essere valutata unicamente ai sensi della normativa dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, citato art. 1.

7. La censura, in quanto fondata sull’erronea applicazione alla fattispecie in esame della disciplina di cui all’art. 25 del c.c.n.l.

del 2001, costituisce una questione nuova ed è pertanto inammissibile. Secondo il costante insegnamento di questa Corte Suprema (cfr., da ultimo, Cass. 28 luglio 2008 n. 20518), ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa. Nel caso di specie, nel quale la Corte di merito, come si è evidenziato in narrativa, ha ritenuto che fosse pacifico fra le parti che il contratto era stato stipulato ai sensi dell’art. 25 del c.c.n.l. del 2001 e non ha fatto alcun cenno ad una contestazione di tale circostanza da parte della società, deve osservarsi che in nessuna parte del ricorso per cassazione viene evidenziato che Poste Italiane s.p.a. aveva sollevato in appello la questione dell’inapplicabilità della disciplina collettiva sopra citata e della riconducibilità della fattispecie alla disciplina di cui al citato D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1. Analogamente deve ritenersi questione nuova l’allegazione, peraltro assolutamente generica, secondo cui il contratto a termine in esame era stato stipulato dopo la scadenza del contratto collettivo del 2001. Anche di tale questione, tipicamente di fatto non risulta essere stata sollevata nel corso del giudizio d’appello.

8. Col secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. nonchè vizio di motivazione con riferimento alla statuizione della sentenza impugnata che, secondo quanto affermato in ricorso, affermerebbe che non sarebbe stata fornita la prova della sussistenza della condizione legittimante la stipulazione del contratto ovvero il collegamento tra le esigenze invocate e il numero delle assunzioni a termine effettuate.

9. Anche tale censura deve essere considerata inammissibile; premesso che la Corte di merito ha ritenuto la nullità del termine apposto al contratto de quo sul rilievo della mancanza di una valida formalizzazione delle ragioni poste a giustificazione dell’apposizione del termine, appare del tutto in conferente, in quanto irrilevante rispetto alla decisione, la questione della prova della sussistenza della condizione legittimante la stipulazione del contratto ovvero il collegamento tra le esigenze invocate e il numero delle assunzioni a termine effettuate.

10. Col terzo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1, 4 e 5 e degli artt. 1418, 1419 e 1457 cod. civ. e vizio di motivazione con riferimento alla statuizione della sentenza impugnata che ha individuato, quale conseguenza della ritenuta illegittimità del termine apposto al contratto in esame, la conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato. Invoca in particolare, da un lato, l’abrogazione della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 1, che prevedeva tale meccanismo di conversione e, dall’altro, l’applicazione dell’art. 1419 cod. civ., a norma del quale la nullità di singole cause comporta la nullità dell’intero contratto se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità.

11. La censura è infondata. Questa Corte non rinviene infatti nelle argomentazioni della società ricorrente ragioni sufficienti per discostarsi dal principio enunciato da Cass. 21 maggio 2008 n. 12985 secondo cui anche dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001 all’illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del suddetto principio di diritto.

12. Con il quarto motivo del ricorso viene censurata la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui ha stabilito che al lavoratore spettano le retribuzioni dalla data della costituzione in mora; la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 2094 e 2099 cod. civ. nonchè vizio di motivazione allegando, in sostanza, la violazione del principio di corrispettività delle prestazioni.

13. Anche l’ultimo motivo di ricorso è infondato in base all’insegnamento di questa Corte Suprema (cfr. Cass. S.U. 8 ottobre 2002 n. 14381 nonchè, da ultimo, Cass. 13 aprile 2007 n. 8903) che, con riferimento all’analoga ipotesi della trasformazione in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di più contratti a termine succedutisi tra le stesse parti, per effetto dell’illegittimità dell’apposizione dei termini, o comunque dell’elusione delle disposizioni imperative della L. n. 230 del 1962, ha affermato che il dipendente che cessa l’esecuzione delle prestazioni alla scadenza del termine previsto può ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell’impossibilità della prestazione derivante dall’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla – in linea generale in misura corrispondente a quella della retribuzione – qualora provveda a costituire in mora lo stesso datore di lavoro ai sensi dell’art. 1217 cod. civ.;

nella parte in cui la censura contesta l’individuazione, quale momento della messa in mora, della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione, essa deve essere considerata inammissibile per violazione del principio di autosufficienza, non essendo stato riprodotto nel ricorso il testo della suddetta richiesta, della quale viene contestata l’idoneità a costituire atto di costituzione in mora (cfr., ad esempio, Cass. 10 agosto 2004 n. 15412).

14. Il ricorso principale deve essere in definitiva rigettato.

Conseguentemente il ricorso incidentale condizionato deve essere considerato assorbito.

15. In applicazione del criterio della soccombenza la società ricorrente principale deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale; condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 29,00 oltre Euro 2000 per onorari e oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010

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