LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE LUCA Michele – Presidente –
Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –
Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –
Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –
Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 21796-2006 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
L.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO 4, presso lo studio dell’avvocato BROCHIERO MAGRONE FABRIZIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAGLIARELLO ANGELO, giusta mandato in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 480/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 01/07/2005 R.G.N. 579/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2009 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega ROBERTO PESSI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza dell’11.5 – 1.7.2005, in riforma della sentenza di prime cure, accolse la domanda di accertamento della nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso a decorrere dal ***** tra la Poste Italiane spa e l’odierna intimata L.G., dichiarò la sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato e condannò la parte datoriale al pagamento delle retribuzioni dalla data di ricevimento della richiesta del tentativo di conciliazione, oltre accessori. Per la cassazione di tale sentenza la Poste Italiane spa ha proposto ricorso fondato su quattro motivi e illustrato con memoria.
L’intimata L.G. ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività dello stesso, atteso che tale atto venne notificato a mezzo del servizio postale con spedizione effettuata il primo luglio 2006 e, perciò, nel rispetto del termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c. (nel testo in allora vigente), stante che la sentenza impugnata è stata pubblicata il primo luglio 2005.
Infatti, in tema di notificazioni a mezzo del servizio postale e a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002, il perfezionamento si ha per verificato al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario e il ricorso per cassazione è tempestivo qualora il relativo plico sia stato consegnato all’ufficiale giudiziario (e, nel caso di specie, da questo inviato) nel termine, non rilevando che esso sia giunto a destinazione dopo la scadenza del termine stesso (cfr, ex plurimis, Cass., n. 239/2006), nè tanto meno, che il giorno di consegna all’Ufficiale Giudiziario cada di sabato, poichè, anche in tal caso, il termine legale viene ad essere rispettato.
2. L’intimata è stata assunta in forza di contratto a tempo determinato, successivo al 30.4.1998, stipulato a norma dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994 e, in particolare, in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane.
3. La Corte territoriale, premesso che il ricordato accordo sindacale del 25 settembre 1997 era disciplinato dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 ha attribuito rilievo decisivo, tra l’altro, al fatto che, avendo le parti raggiunto un’intesa originariamente priva di termine, le stesse avevano stipulato accordi attuativi che avevano fissato un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, limite fissato inizialmente al 31 gennaio 1998 e, successivamente, al 30 aprile 1998; i contratti a termine conclusi per la presenza di esigenze eccezionali, siccome stipulati in epoca successiva all’ultimo dei termini sopra indicati, erano quindi illegittimi.
La suddetta impostazione è stata ampiamente censurata dalla Società ricorrente (secondo e terzo motivo), la quale contesta, in particolare, l’interpretazione data dalla Corte di merito al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed agli accordi dalla stessa definiti come attuativi; deduce in particolare che questi ultimi accordi avevano natura meramente ricognitiva.
4. Le censure della Società ricorrente sono infondate.
Con numerose sentenze questa Corte Suprema (cfr, ex plurimis, Cass., n. 18378/2006), decidendo su fattispecie sostanzialmente identiche a quella in esame, ha univocamente confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 sopra richiamato (esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione), dopo il 30 aprile 1998.
Premesso, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con la sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che, in forza della sopra citata delega in bianco, le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data *****, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31 gennaio 1998 (e poi, in base al secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto a tempo determinato; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo.
E’ stato osservato, in particolare, che la suddetta interpretazione degli accordi attuativi non viola alcun canone ermeneutico, atteso che il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 12245/2003; 12453/2003).
Inoltre è stato rilevato che tale interpretazione è rispettosa del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c., a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi de quibus (nel senso che con essi erano stati stabiliti termini successivi di scadenza alla facoltà di assunzione a tempo, termini che non figuravano nel primo accordo sindacale del 25 settembre 1997); diversamente opinando, ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così, testualmente, Cass., n. 2866/2004).
Infine è stata ritenuta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza dell’accordo del 18 gennaio 2001, in quanto stipulato quando il diritto del soggetto interessato si era già perfezionato; ed infatti, anche ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), l’irrilevanza del citato accordo è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass., n. 5141/2004).
I testè ricordati orientamenti di questa Corte devono essere pienamente confermati e, pertanto, le censure all’esame devono essere rigettate.
5. La sentenza impugnata ha ritenuto l’infondatezza della tesi dell’avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso in relazione all’inerzia mantenuta dal lavoratore dopo la scadenza dell’ultimo contratto a termine e fino alla manifestazione della volontà di ripristinare la funzionalità di fatto del rapporto. Con il primo motivo la ricorrente assume il vizio di motivazione sul punto.
Secondo il condiviso orientamento di questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass., n. 23554/2004), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;
la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto. Nel caso in esame la Corte di merito, anche attraverso il richiamo a precedenti pronunce di questa Corte, ha ritenuto che la durata dell’inerzia del lavoratore dopo la scadenza dell’ultimo contratto non fosse sufficiente a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso, in difetto di altri comportamenti dimostrativi con certezza della risoluzione consensuale, e tale conclusione, in quanto priva di vizi logici o errori di diritto, resiste alle censure mosse in ricorso.
6. Il quarto motivo di ricorso, con il quale la ricorrente si duole delle pronunce di carattere risarcitorio sotto il profilo che la Corte territoriale, ritenendo sufficiente ai fini della messa in mora il ricevimento della richiesta del tentativo di conciliazione, non avrebbe verificato se effettivamente tale costituzione in mora vi fosse stata, è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non essendo stato ivi riportato il contenuto dell’atto che la Corte territoriale ha ritenuto abbia comportato costituzione in mora. Parimenti inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso è il profilo di doglianza relativo all’aliunde perceptum, non avendo la ricorrente, a fronte dell’affermazione della Corte secondo cui nulla era stato specificato al riguardo, riportato i termini e i modi con cui la questione sarebbe stata devoluta al Giudice del gravame.
7. In forza delle considerazioni che precedono il ricorso va dunque rigettato.
Trattandosi di controversia concernente problematiche sulle quali questa Corte ha già espresso orientamenti assolutamente consolidati, si ritiene conforme a giustizia applicare il criterio della soccombenza; per l’effetto la Società ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 22,00 oltre ad Euro 2.000,00 (duemila) per onorari, spese generali, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010