LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE LUCA Michele – Presidente –
Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere –
Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 8749-2006 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
M.R.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 162/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 08/03/2005 r.g.n. 449/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2009 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;
udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
La Corte:
FATTO E DIRITTO
Rilevato che:
1. la Corte d’appello di Venezia ha confermato la sentenza di prime cure che aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato da Poste Italiane s.p.a. con M.R.;
2. per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso illustrato da memoria; la lavoratrice è rimasta intimata;
3. come si evince dalla sentenza impugnata la lavoratrice è stata assunta con vari contratti a termine il primo dei quali (l’unico che rileva nel presente giudizio) protrattosi dal *****; il suddetto contratto è stato stipulato a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane;
4. la Corte territoriale attribuiva rilievo decisivo, tra l’altro, al fatto che, avendo le parti raggiunto un’intesa originariamente priva di termine, le stesse avevano stipulato accordi attuativi che avevano fissato un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, limite fissato inizialmente al 31 gennaio 1998 e successivamente al 30 aprile 1998; i contratti a termine in esame, stipulati in epoca successiva all’ultimo dei termini sopra indicati, erano illegittimo in quanto privi del supporto derogatorio;
5. con i primi tre motivi la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 dell’art. 1362 e segg. cod. civ. nonchè vizio di motivazione con riferimento alla statuizione della sentenza impugnata che ha affermato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso fra le parti; contesta, in particolare, l’interpretazione data dalla Corte di merito al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed agli accordi dalla stessa definiti come attuativi;
la censura è infondata;
con numerose sentenze questa Corte Suprema (cfr., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378), decidendo su fattispecie sostanzialmente identiche a quella in esame, ha univocamente confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 sopra richiamato (esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione), dopo il 30 aprile 1998;
partendo dal principio della delega in bianco a favore dei sindacati conferita dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 (Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588), la giurisprudenza di questa Corte, dato atto che, in applicazione di tale delega, è stata individuata, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997, ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data *****, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31 gennaio 1998 (e poi in base ai secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che, per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione, l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo;
ha osservato in particolare che la suddetta interpretazione degli accordi attuativi non viola alcun canone ermeneutico atteso che il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453);
ha rilevato altresì che tale interpretazione è rispettosa del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi de quibus (nel senso che con essi erano stati stabiliti termini successivi di scadenza alla facoltà di assunzione a tempo, termini che non figuravano nel primo accordo sindacale del 25 settembre 1997); diversamente opinando, ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866);
ha, infine, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141);
6. con l’ultimo motivo del ricorso viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1219, 1223 e 2697 cod. civ. nonchè vizio di motivazione con riferimento alla statuizione della sentenza impugnata con la quale è stata rigettata l’eccezione dell’aliunde perceptum in sede di liquidazione del danno derivante dalla declaratoria dell’illegittimità del termine apposto al contratto de quo;
anche tale motivo è infondato; premesso che la Corte di merito ha motivato la propria decisione di non accogliere l’eccezione in quanto nessuna prova costituita o costituenda era stata dedotta relativamente alla sussistenza, nel periodo successivo alla messa in mora, di altri rapporti di lavoro, deve osservarsi che, secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr., da ultimo, Cass. 2 febbraio 2006 n. 2262), l’ordine di esibizione della prova (invocato dalla ricorrente) costituisce l’espressione di una facoltà discrezionale che l’art. 210 c.p.c., comma 1 rimette al prudente apprezzamento del giudice di merito, che non è tenuto a specificare le ragioni per le quali egli ritiene di avvalersene; con la conseguenza che il mancato esercizio di detta facoltà non può essere oggetto di ricorso per cassazione, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione; analogamente Cass. 9 gennaio 2007 n. 209 ha affermato che nel rito del lavoro l’acquisizione di nuovi documenti o l’ammissione di nuove prove da parte del giudice di appello rientra tra i poteri discrezionali allo stesso riconosciuti dagli artt. 421 e 437 cod. proc. civ., e tale esercizio è insindacabile in sede di legittimità anche quando manchi un’espressa motivazione in ordine alla indispensabilità o necessità del mezzo istruttorie ammesso, dovendosi la motivazione ritenere implicita nel provvedimento adottato;
7. il ricorso deve essere in definitiva rigettato;
8. nulla deve essere statuito in ordine alle spese attesa il mancato svolgimento di attività processuale da parte della lavoratrice, rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010