Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.808 del 19/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7052-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7093/2 004 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/03/2005 R.G.N. 9271/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2009 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 24971 del 2002 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda proposta da P.F. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal ***** e condannava la società al ripristino del rapporto ed al risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni spettanti dal 27-3-1999 alla data della pronuncia oltre accessori.

La società proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.

La P. si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 1-3-2005, respingeva l’appello e condannava la appellante alle spese.

Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. Poste Italiane ha proposto ricorso con due motivi.

La P. ha resistito con controricorso ed ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente in sostanza deduce la mancanza nella specie di un limite temporale alla stipula dei contratti a termine ai sensi dell’art. 8 ccnl del 1994 come integrato dall’accordo aziendale 25-9-97, sostenendo che un tale limite non sarebbe ricavabile nè dalla disciplina legale nè dalla corretta interpretazione degli accordi attuativi del citato accordo aziendale.

Osserva il Collegio che la Corte di merito, ha attribuito rilievo decisivo in particolare alla considerazione che: “con l’accordo del 31-1-1998, le parti davano atto che, fino al 31-1-1998, … si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato. Successivamente, erano stati raggiunti altri accordi, i quali avevano indicato la possibilità di procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30-4-1998 (accordo del 16-1-1998).

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere la impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo (stipulato “per esigenze eccezionali” in data successiva al 30-4-1998).

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato”. (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, nella specie, come questa Corte ha ripetutamente affermato e come va anche qui enunciato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Tale interpretazione degli accordi attuativi (ed in specie dell’ultimo citato) è fondata sul significato letterale delle espressioni usate che è così evidente e univoco (“in conseguenza di ciò e per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al *****”) che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti (cfr., explurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453), mentre, diversamente opinando – ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga – si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, fossero in sostanza “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).

Peraltro al riguardo irrilevante è l’accordo del 18 gennaio 2001, invocato dalla società, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga; ed infatti, ammesso che le parti stipulanti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), considerata la indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, deve comunque escludersi che le parti stesse avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

Va pertanto respinto il primo motivo confermandosi la nullità del termine apposto al contratto de quo.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1217 e 1233 c.c., in sostanza lamenta che la Corte d’appello “non ha svolto alcun tipo di verifica” in ordine alla messa in mora del datore di lavoro da parte del lavoratore e non ha tenuto “conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato attività lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la società resistente”, disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di esibizione dei modelli 101 e 740 del lavoratore.

Il motivo è inammissibile giacchè, atteso che sul punto la sentenza impugnata nulla ha disposto specificamente, confermando in sostanza la decisione del primo giudice (che, come risulta dalla narrativa della sentenza stessa aveva condannato la società “al risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni spettanti dal 27-3-1999”) si tratta di questione nuova, che postula nuovi accertamenti di fatto, sulla quale manca in ricorso qualsiasi indicazione specifica in ordine all’avvenuta deduzione davanti ai giudici di appello (v. Cass. 15-2-2003 n. 2331, Cass. 10-7-2001 n. 9336).

Parimenti, poi, la ricorrente non specifica come e in quali termini abbia allegato davanti ai giudici di merito un aliunde perceptum (in relazione al quale è pur sempre necessaria una rituale acquisizione della allegazione e della prova, pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato – cfr.. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8- 2007 n. 17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099).

Nè è censurabile in questa sede il mancato accoglimento della richiesta di esibizione (dei modelli 101 e 740) avanzata dalla società.

Come questa Corte ha più volte precisato, “il rigetto da parte del giudice di merito dell’istanza di disporre l’ordine di esibizione al fine di acquisire al giudizio documenti ritenuti indispensabili dalla parte non è sindacabile in cassazione, perchè, trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova del fatto non sia acquisibile aliunde e l’iniziativa non presenti finalità esplorative, la valutazione della relativa indispensabilità è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito e non necessita neppure di essere esplicitata nella motivazione, il mancato esercizio di tale potere non essendo sindacabile neppure sotto il profilo del difetto di motivazione” (v. fra le altre Cass. 14-7-2004 n. 12997, Cass. sez. 1 17-5-2005 n. 10357, Cass. sez. 3 2-2-2006 n. 2262). D’altra parte “l’esibizione di documenti non può essere chiesta a fini meramente esplorativi, allorquando neppure la parte istante deduca elementi sulla effettiva esistenza del documento e sul suo contenuto per verificarne la rilevanza in giudizio” (v. fra le altre Cass. 20-12-2007 n. 26943).

Il ricorso va, pertanto respinto e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore della P..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della P. delle spese, liquidate in Euro 52,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010

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