LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 26230/2007 proposto da:
S.A., D.A.C., M.G., C.M., P.B., Z.S., C.P., B.G., S.V., M.
G., M.V.M., P.C., D.
S., V.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE PINTURICCHIO 21, presso lo studio dell’avvocato ABBATE Ferdinando Emilio, che li rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;
– intimata –
avverso il decreto R.A.D. n. 51739/05 + (51740/05, 51741/05, 51742/05, 51745/05) del 28/11/06, della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 10/07/2006;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;
udito per i ricorrenti l’Avvocato Roda Ranieri (per delega avv. Abbate Ferdinando Emilio) che si riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA che aderisce alla relazione scritta.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: “Il Consigliere relatore, letti gli atti depositati;
Rileva:
S.A., D.A.C., M.G., C.M., P.B., Z.S., C.P., B.G., S.V., M.G., M.V.M., P.C., D.S. e V.A. chiedono, per due motivi, la cassazione del decreto, emesso il io ottobre 2005, con cui la Corte d’appello di Roma ha liquidato a ciascuno di essi la somma di Euro 8.000,00 a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale patito in conseguenza della non ragionevole durata di un giudizio promosso con ricorso dell’aprile 1993 davanti al T.a.r. del Lazio – avente a oggetto l’adeguamento triennale dell’indennità giudiziaria – e definito con sentenza depositata il 10 dicembre 2003.
Non si difende la Presidenza del Consiglio.
Osserva:
Con il primo motivo, denunziando violazione di plurime norme interne e pattizie nonchè vizi motivazionali, i ricorrenti criticano, anzitutto, la determinazione in quattro anni della ragionevole durata del giudizio presupposto, benchè privo di profili di complessità e rientrante tra le controversie di lavoro, le quali, secondo quanto ripetutamente affermato dalla Corte EDU, richiedono una diligenza particolare con conseguente, consistente riduzione del termine ragionevole del processo. Censurano, poi, la misura dell’indennizzo liquidato in misura “irragionevolmente” inferiore ai criteri dettati, anche in casi analoghi, dalla Corte di Strasburgo.
Con il secondo, ascrivono alla corte capitolina di avere liquidato le spese in violazione dei minimi tariffari.
Il primo motivo appare sotto entrambi i profili manifestamente infondato.
Di vero, la corte capitolina ha ricostruito la storia della vicenda processuale, nel corso della quale il T.a.r. aveva sollevato questione di costituzionalità della legge ostativa al riconoscimento del diritto fatto valere in giudizio e ha motivatamente considerato congrua la durata di tre anni. Ciò in linea con i parametri cronologici dettati dalla giurisprudenza europea e da tempo recepiti da questa Corte. Anche la liquidazione del danno non patrimoniale in somma pari a Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo è in asse con i parametri indennitari (oscillanti mediamente tra i mille e i millecinquecento Euro) dettati dalla giurisprudenza sovranazionale e domestica.
Appare, invece, fondato il secondo motivo, quanto meno nella parte afferente la liquidazione dei diritti di procuratore (in misura addirittura inferiore a Euro 200,00), posto che la Corte da atto di avere riunito all’udienza di discussione ricorsi presentati separatamente.
In conclusione, ove si condividano i testè formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio, ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c.”.
2. – Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso nei limiti sopra precisati.
Ravvisandosi le condizioni per la decisione della causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la Corte può procedere direttamente alla liquidazione delle spese nella misura indicata in dispositivo secondo le tariffe vigenti ed i conseguenti criteri di computo costantemente adottati da questa Corte per cause similari e poste a carico della parte soccombente. Il limitato accoglimento del ricorso, per converso, giustifica la parziale compensazione delle spese del giudizio di legittimità nella misura di 2/3, da porre carico dell’Amministrazione per la parte rimanente. Spese distratte.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere le parti ricorrenti le spese del giudizio:
che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 1.861,00 per diritti e Euro 490,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. Abbate antistatario; che compensa in misura di 2/3 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/3 e che determina per l’intero in Euro 965,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. Abbate antistatario.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010