Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.824 del 19/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 19532/2008 proposto da:

E.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DARDANELLI 13, presso lo studio dell’avvocato MARTIRE Roberto, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TEMPESTA PAOLO, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA DI RIETI – UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO in persona del prefetto pro tempore;

– intimata –

avverso l’ordinanza R.G. n. 277/08 del TRIBUNALE di RIETI, del 22/4/08, depositata il 24/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: “Il Tribunale di Rieti, con decreto in data 24 aprile 2008, ha rigettato l’opposizione proposta dal cittadino extracomunitario E.S. avverso il provvedimento di espulsione emesso dal Prefetto di quel capoluogo in data 21 gennaio 2008.

Per la cassazione di detto decreto ricorre E.S., sulla base di tre motivi.

Non resiste la Prefettura-Ufficio Territoriale del Governo di Rieti.

Osserva:

Al di là della ridondante rubrica, il primo mezzo di ricorso censura la motivazione del provvedimento. Si duole che il giudice non avrebbe preso in esame alcuni documenti, fondando la decisione su altri elementi. Formula al riguardo un preciso quesito di diritto: dica codesta Suprema Corte se il giudice del merito possa motivare la propria decisione solo sulla base di alcune delle prove dedotte in giudizio dalle parti senza esaminare le altre, ovvero sia tenuto ad esaminarle e prenderle in considerazione tutte nel loro insieme, esponendo poi in motivazione l’iter logico che abbia portato a dare prevalenza ad una o ad alcune di esse, dovendosi in mancanza ritenere violato il disposto degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Quesito che esige una risposta positiva nella prima parte e negativa nella seconda. Si è, infatti, ripetutamente affermata la regola per cui, al fine di adempiere l’obbligo di motivazione, il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le prove prodotte o comunque acquisite e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi probatori sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non esaminati specificamente, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. La valutazione delle risultanze istruttorie e la scelta tra esse di quelle che siano ritenute, anche implicitamente, idonee a sorreggere la motivazione in quanto più attendibili e più pertinenti ai fini della decisione della causa sono attività riservate al giudice del merito, il quale è soggetto soltanto al limite di dover dare congrua e adeguata giustificazione delle determinazioni adottate in modo da consentire il controllo del criterio logico seguito (sentt. nn. 520/2005, 7058/2003, 1892/2002, 10484/2001, 8994/2001, 5997/2001, 3955/2001, 2849/2001, 14557/2000, 8891/2000, 8841/2000, 1390/1998, 5748/1995). Specularmente, i vizi di motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria, denunciabili con il ricorso per cassazione a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussistono quando nel ragionamento del giudice del merito sia riscontrabile il mancato o l’insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero l’insanabile contrasto tra le argomentazioni addotte, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. Detti vizi, pertanto, non possono consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè spetta soltanto al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare nel loro complesso le risultanze probatorie, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere tra di esse quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nei limiti tracciati dalle norme sulle prove legali. Risulta, pertanto, estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere a un nuovo giudizio di merito attraverso la propria autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa al fine di mettere in discussione l’incensurabile convincimento in fatto (sentt. nn. 12129/2003, 9670/2003, 3161/2002, 350/2002, 14858/2000, 10703/1994, 2590/1986).

Di qui la palese inammissibilità del motivo, avendo il giudice del merito motivatamente disatteso le argomentazioni poste a sostegno dell’opposizione, e pedissequamente ripetute in seno al presente ricorso (essere il ricorrente un perseguitato politico), rilevando che la Commissione territoriale di Trapani, con provvedimento del 29 agosto 2006, confermato in sede di riesame, ha rigettato, per totale insussistenza dei presupposti, la richiesta dell’ E. di avere riconosciuto lo status di rifugiato politico.

Il ricorrente contrasta inammissibilmente tale conclusione, allegando al ricorso una sentenza pronunciata dal giudice penale in data successiva al decreto qui impugnato, con la quale è stato assolto dal reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma ter, (T.U. sull’immigrazione), sulla base di documenti asseritamente esibiti al Tribunale di Rieti e comunque giudicati irrilevanti da detto giudice, attesa la duplice decisione della competente Commissione.

Inammissibili sono, altresì, le censure relative alla motivazione del decreto riguardante la misura esecutiva dell’espulsione. Di vero, l’ordine del Questore di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni, a seguito dell’espulsione disposta dal Prefetto, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, non è impugnabile direttamente in Cassazione, ai sensi del D.Lgs. n. 286, art. 14 e art. 111 Cost., atteso che tale ultima disposizione non consente l’impugnativa diretta degli atti amministrativi ma solo quella in ordine ai provvedimenti resi dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, quantunque pronunciati in ordine ai provvedimenti sulla libertà personale (Cass. n. 10983/2004).

Con il secondo motivo, denunziando violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, si sostiene che, dopo il provvedimento impugnato, è pervenuta documentazione dall'***** comprovante lo status di perseguitato politico del ricorrente e si chiede a questa Suprema Corte di esaminarla, ai sensi dell’art. 372 c.p.c..

Il motivo è platealmente inammissibile pretendendosi che la Corte, quale giudice di merito di secondo grado, esamini documenti, per giunta nuovi rispetto alla decisione impugnata, che non si riferiscono all’ammissibilità del ricorso (art. 372 c.p.c.), ma alla presunta fondatezza della pretesa spiegata in sede merituale.

Fuori quadro sono i riferimenti come norma impugnata al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1. Anzitutto, per la tranciante ragione che lo status di perseguitato politico dell’odierno ricorrente è stato escluso nella sede competente. In secondo luogo, perchè in tema di espulsione dello straniero privo del permesso di soggiorno, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, nella parte in cui stabilisce che in nessun caso può essere disposta l’espulsione verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione, tra l’altro, di opinioni politiche, deve essere interpretato in correlazione con l’art. 20 dello stesso D.Lgs., il quale riserva ad una valutazione di carattere politico le misure di protezione temporanea da adottarsi, anche in deroga a disposizioni del succitato D.Lgs., per rilevanti esigenze umanitarie, prevedendo che esse siano disposte con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato d’intesa con i Ministri interessati, che fissa la modulazione nel tempo di dette misure ed i casi nei quali è preclusa l’espulsione; pertanto, nel giudizio di opposizione avverso il decreto di espulsione, il giudice non può verificare la presenza dei requisiti che comportano il divieto di espulsione se non in presenza del provvedimento che dispone le misure di protezione temporanea decise dall’autorità politica, alla quale è riservata la valutazione delle situazioni che permettono di ritenere operante il divieto di espulsione dello straniero privo del permesso di soggiorno (così Cass. nn. 3732/2004, 28775/2005).

Ove si condividano i superiori rilievi, il ricorso può essere trattato con il rito semplificato”.

2.- Il Collegio ritiene di non poter condividere le conclusioni della relazione alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità secondo la quale “il mancato esperimento dei mezzi d’impugnazione avverso il diniego di riconoscimento dello status di rifugiato da parte della Commissione Centrale (competente ratione temporis) comporta che, in sede di opposizione al conseguente provvedimento di espulsione, possono essere dedotti esclusivamente fatti persecutori nuovi e diversi, non esaminati nella fase di riconoscimento del diritto allo status od alla protezione umanitaria, che siano specificamente fatti valere come sopravvenute ragioni di divieto di espulsione ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19” (Sez. 1^, Ordinanza n. 7572 del 27/03/2009).

In motivazione, la pronuncia ora richiamata ha puntualizzato che “una volta esaurita negativamente la fase della cognizione dei diritti allo status od alla protezione umanitaria, l’espulsione dello straniero deve intervenire in via automatica sempre che l’interessato non possa opporre, con assoluta specificità ed autosufficienza, sopravvenute ragioni personali integranti il divieto di espulsione in attuazione del principio di non refoulement”.

Va, per contro, rilevato che, nella concreta fattispecie, il giudice del merito ha ritenuto preclusa la deduzione – da parte del ricorrente – di ragioni integranti il divieto di cui al cit. D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 per il semplice rilievo dell’essere stata respinta nel 2006 dalla Commissione Territoriale di Trapani la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato. Quelle medesime ragioni, cioè, che il ricorrente deduce come poste a fondamento della sentenza penale di assoluzione intervenuta in epoca successiva alla pronuncia del provvedimento impugnato. Sì che si impone la cassazione con rinvio di quest’ultimo affinchè il giudice del merito proceda a nuovo esame tenendo conto del principio innanzi esposto e delle ragioni personali integranti il divieto di espulsione sopravvenute al diniego della Commissione Territoriale.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Rieti in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010

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