LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –
Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
Ministero dell’interno, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore – domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentato e difeso;
– ricorrente –
contro
C.E.R.;
– intimata –
avverso il decreto del Giudice di pace di Milano depositato il 28 giugno 2007;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10 novembre 2009 dal Consigliere Dott. Luigi Salvato;
P.M., S.P.G. Dr.ssa CARESTIA Antonietta.
RITENUTO IN FATTO
C.E.R. proponeva opposizione innanzi al Giudice di pace di Milano avverso il decreto di espulsione emanato dal Prefetto di detta città in suo danno in data 23 marzo 2007, ai sensi del D.Lgs. n. 296 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b), in quanto si era trattenuto nel territorio dello stato, senza chiedere il permesso di soggiorno nel prescritto termine di otto giorni lavorativi, pur non sussistendo alcun motivo di forza maggiore ostativo alla formulazione di detta richiesta.
Per quanto qui interessa, il Giudice adito, con provvedimento del 28 giugno 2007, riteneva che, poichè l’opponente si era allontanato per 11 mesi dallo Stato di provenienza (*****), non avrebbe potuto farvi ritorno ed affermava che “lo stesso di troverebbe oggettivamente discriminato in ragione delle sue condizioni personali e quindi che la condizione del medesimo esaminata in concreto (…) sarebbe tale che al ricorrente ben può applicarsi la disposizione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1”.
Il Giudice di pace accoglieva quindi l’opposizione, dichiarando compensate le spese del giudizio:.
Per la cassazione di questo provvedimento ha proposto ricorso il Ministero dell’interno, affidato ad un motivo; non ha svolto attività difensiva l’intimato.
Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in Camera di consiglio è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata al ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- La relazione sopra richiamata ha il seguente tenore:
“1.- Il Ministero dell’interno, con un unico motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 (art. 360 c.p.c., n. 3), deducendo che le circostanze evocate nel provvedimento impugnato non integrano alcuna delle ipotesi previste da detta norma, che impediscono l’adozione del provvedimento di espulsione e non evidenziano che egli sarebbe esposto al rischio di persecuzione.
Infine, è formulato quesito di diritto in ordine alla riconducibilità alla norma sopra indicata del caso in cui lo straniero non possa rientrare definitivamente nello Stato di provenienza, in quanto la legislazione di quest’ultimo lo vieta, qualora il cittadino abbia abbandonato lo Stato da oltre 11 mesi.
2.- Il ricorso, come è stato precisato nella narrativa, è stato proposto esclusivamente dal Ministero dell’interno ed è, quindi, manifestamente inammissibile.
Al riguardo, va infatti data continuità al consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale nel giudizio di opposizione al provvedimento prefettizio di espulsione dello straniero, spetta al Prefetto, quale autorità che ha emesso il provvedimento impugnato, la legittimazione esclusiva, personale e permanente a contraddire in giudizio, anche nella fase di legittimità (Cass. n. 17253 del 2005;
n. 12953 del 2004; n. 10991 del 2004; v. anche Cass. n. 14293 del 2006), con conseguente inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’interno, in quanto non legittimato ai ricorso (Cass. n. 5337 del 2008).
Pertanto, il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.
2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano, con conseguente manifesta inammissibilità del ricorso; non deve essere resa pronuncia sulle spese di questa fase, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010