LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAVAGNANI Erminio – Presidente –
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
I.G., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avv. SCARTABELLI CARLO, giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE in persona 2 del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dall’avvocato RICCIO ALESSANDRO, GIANNICO GIUSEPPINA, VALENTE NICOLA, giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 513/2008 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE dell’8.4.08, depositata il 22/04/2008;
E’ presente il P.G. in persona del Dott. FUZIO Riccardo.
FATTO E DIRITTO
La Corte di Appello di Firenze, con sentenza depositata il 22.4.208, ha riformato la decisione di primo grado ed ha respinto la domanda di I.G. diretta ad ottenere la condanna dell’Inps alla corresponsione dell’assegno ordinario di invalidita’ l. N. 222 del 1984, ex art. 1. La Corte, condividendo le conclusioni del CTU nominato in quel grado di giudizio, ha ritenuto che le malattie da cui la I. era affetta non comportavano una riduzione della capacita’ lavorativa superiore a due terzi e che il lavoro svolto (cassiera in un supermercato) non aveva carattere usurante.
Avverso detta sentenza la I. ha proposto ricorso per Cassazione con un motivo con il quale ha denunciato insufficiente e contraddittoria motivazione per avere il giudice di appello condiviso senza adeguata motivazione le conclusioni del CTU di secondo grado circa la non incidenza del lavoro svolto sulla capacita’ di lavoro dall’appellante.
L’Inps ha resistito con controricorso.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che nelle controversie in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie dell’assicurato, le conclusioni della CTU disposta dal giudice di secondo grado con riguardo alla valutazione di situazioni di incapacita’ al lavoro non possono utilmente essere contestate in sede di ricorso per Cassazione mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse delle diverse valutazioni espresse dal CTU di primo grado, poiche’ tali contestazioni si rivelano dirette non gia’ ad un riscontro della correttezza del giudizio formulato dal giudice di appello, bensi’ ad una diversa valutazione delle risultanze processuali; in ogni caso la contestazione di una decisione basata sul riferimento ad una delle consulenze tecniche acquisite non puo’ essere adeguatamente censurata, in sede di legittimita’, se le relative censure non contengono la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico – legale unanimemente condivisi dalla comunita’ scientifica, atteso che, in mancanza di detti elementi, le censure configurano un mero dissenso diagnostico e quindi sono inammissibili in sede di legittimita’ (Cass. n. 25481/2007, n. 5865/2008).
Infatti la valutazione espressa da giudice di merito in ordine alla obbiettiva esistenza delle infermita’, alla loro natura ed entita’, nonche’ alla incidenza delle stesse sulla capacita’ di utilizzazione delle energie lavorative, costituisce tipico accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimita’ quando e’ sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici che consenta di identificare l’iter argomentativo posto a fondamento della decisione (cfr. tra le tante Cass. n. 7341/2004).
Nella specie alla valutazione del consulente tecnico d’ufficio recepita dal giudice di appello, il ricorrente ha contrapposto un diverso apprezzamento della entita’ delle patologie riscontrate al periziato, senza evidenziare alcuna specifica carenza o deficienza diagnostica o errore scientifico, bensi’ limitandosi ad esprimere una diversa valutazione del medesimo quadro patologico.
Il ricorso pertanto deve essere respinto. La ricorrente deve essere condannata al pagamento in favore dell’Inps delle spese i questo giudizio a norma dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo introdotto dalla L. n. 326 del 2003, trattandosi di causa iniziata dopo il 1 ottobre 2003 e mancando la dichiarazione della ricorrente richiesta dalla norma predetta.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, che liquida in Euro 30,00 per esborsi ed in Euro millecinquecento/00 per onorari, oltre accessori di legge.
Cosi’ deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010