Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.85 del 08/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14555/2005 proposto da:

AGEA AGENZIA EROGAZIONI AGRICOLTURA ex AIMA in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui

è difesa per legge;

– ricorrente –

contro

ALESSIO SPA *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA VITE 7, presso lo studio dell’avvocato D’AMELIO Piero, che la rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1173/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, Sezione Terza Civile, emessa il 17/11/2004, depositata il 15/03/2005, R.G.N. 3432/2001;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 26/11/2009 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato GIOVANNI C. SCIACCA per delega dell’Avvocato PIERO D’AMELIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. Nell’ottobre del 1998 il Presidente del Tribunale di Roma, su ricorso della s.p.a. Alessio, ingiungeva all’AIMA il pagamento della somma di L. 323.035.020, oltre interessi dal 31 dicembre 1997, a titolo di corrispettivo per l’appalto, seguito ad una gara bandita dall’ingiunta, per il trasporto di una fornitura di prodotti a base di carne bovina.

L’AIMA, poi divenuta AGEA, proponeva opposizione ed in via riconvenzionale faceva valere in compensazione un suo maggior credito di 12.679.646.502 originante a suo dire da una vicenda penale, conclusasi nel relativo procedimento penale con l’estinzione del reato per amnistia, che aveva visto coinvolto nel ***** una società, riguardo alla quale la creditrice opposta si presentava in relazione di continuità, così dovendo rispondere del credito. La vicenda ineriva l’assegnazione di ingenti quantitativi di carni congelate senza che fosse seguito l’adempimento dei relativi obblighi di diritto comunitario.

Il Tribunale, con sentenza del 2001, rigettava l’opposizione e anche la riconvenzionale propositiva della domanda di compensazione, con gravame di spese sull’opponente.

La sentenza veniva appellata dall’AGEA in via principiale e dalla s.p.a. Alessio in via incidentale.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 15 marzo 2005 rigettava l’appello principale, dichiarava inammissibile l’incidentale e condannava alle spese del grado l’AGEA. p.2. Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi l’AGEA. Ha resistito con controricorso la s.p.a. Alessio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. Con l’unico motivo recante intestazione si denuncia “violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2947 c.c., comma 3 e art. 157 c.p.”.

Tuttavia, nell’ambito della sua illustrazione si deducono anche espressamente un preteso vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ed un altro vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 3, in relazione all’art. 1243 c.c., onde si è in presenza di tre distinti motivi, al di là della formale intestazione di uno solo nei termini indicati.

p.2. Il primo motivo – quello corrispondente all’intestazione – postula che erroneamente la Corte d’Appello non avrebbe applicato alla pretesa creditoria fatta valere con la riconvenzionale la prescrizione correlata alla circostanza che essa originava da una vicenda di reato riguardo alla quale aveva avuto luogo un procedimento penale conclusosi con la dichiarazione di amnistia. In particolare, si sostiene che, una volta applicata detta prescrizione ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 3, non si sarebbe potuto parlare di prescrizione fino a tutto il 14 maggio 1990, data di pronuncia della sentenza penale dichiarativa dell’amnistia. Dopo di che il corso della prescrizione sarebbe stato interrotto da due note del 31 gennaio 1992 e del 19 ottobre 1995.

p.2.1. Si tratta di censura inammissibile anzitutto per difetto di autosufficienza: si fa, infatti riferimento, alla sentenza penale ed alle dette note, delle quali non si riproduce il contenuto e nemmeno si indica – come sarebbe stato comunque necessario – la sede in cui in questo giudizio di legittimità sarebbero stati esaminabili, se prodotte (si veda, in proposito, fra le tante, in generale sul significato del principio di autosufficienza anche per l’aspetto relativo alla indicazione dei documenti, anteriormente all’introduzione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, Cass. n. 12239 del 2007, secondo la quale: “Con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, ad integrare il requisito della cosiddetta autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione concernente, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (ma la stessa cosa dicasi quando la valutazione dev’essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, o di un vizio integrante error in procedendo ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 di detta norma), la valutazione da parte del giudice di merito di prove documentali, è necessario non solo che tale contenuto sia riprodotto nel ricorso, ma anche che risulti indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione era avvenuta e la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità essa è rinvenibile. L’esigenza di tale doppia indicazione, in funzione dell’autosufficienza, si giustificava al lume della previsione del vecchio n. 4 dell’art. 369 c.p.c., comma 2, che sanzionava (come, del resto, ora il nuovo) con l’improcedibilità la mancata produzione dei documenti fondanti il ricorso, producibili (in quanto prodotti nelle fasi di merito) ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ., comma 1”).

p.2.2. In secondo luogo, ulteriore ragione di inammissibilità è rappresentata dall’omessa individuazione della motivazione con cui la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio lamentato.

p.2.3. In terzo luogo, se – superata la gradata decisività di tali rilievi – si potesse, poi, procedere allo scrutinio del motivo confrontandolo con la sentenza impugnata si paleserebbe un’ulteriore ragione di inammissibilità, costituita dalla mancanza di pertinenza del motivo con la motivazione della sentenza impugnata.

Quest’ultima, infatti, ha escluso la rilevanza dell’art. 2947 c.c., comma 3, con la seguente motivazione: “in sostanza sembra che l’Aima faccia valere un’obbligazione restitutoria e non risarcitoria.

Tuttavia, solo in presenza di un’obbligazione risarcitoria ha senso parlare della prescrizione ai sensi dell’art. 2947 c.c., così come invocata dall’appellante. Se però l’Aima avesse voluto azionare un obbligo risarcitorio avrebbe dovuto provare l’esistenza di un danno, il fatto illecito e il nesso causale tra i due”.

Ebbene di questa motivazione la ricorrente non si fa alcun carico, sicchè il motivo sarebbe inammissibile anche perchè non si risolve in una critica all’effettiva motivazione della sentenza impugnata (si veda, in termini, Cass. n. 359 del 2005, seguita da numerose conformi, secondo cui: “Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 4").

p.3. Il secondo motivo prospetta una censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 sotto il profilo che la sentenza impugnata si sarebbe contraddetta, perchè dopo aver considerato la documentazione prodotta insufficiente a provare l’esistenza del credito, lo avrebbe dichiarato prescritto, onde sarebbe evidente che se il credito è stato dichiarato prescritto era stato dimostrato.

Si tratta di censura ancora una volta inammissibile, perchè non individua la parte della motivazione con cui sarebbe stato compiuto il preteso errore motivazionale.

Inoltre, si tratterebbe anche di censura incomprensibile, volta che si consideri che una sentenza può valutare questioni di merito in via gradata e ritenere infondata comunque la pretesa azionata anche sulla base di una questione che si configurerebbe solo dopo la soluzione positiva di altra invece precedentemente esaminata con esito negativo (c.d. motivazione ad abundantiam).

p.4. Il terzo motivo lamenta violazione dell’art. 1243 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sotto il profilo che la Corte territoriale non avrebbe almeno proceduto alla compensazione fino a concorrenza fra il credito azionato con la riconvenzionale e quello fatto valere dalla s.p.a. Alessio.

Il motivo è inammissibile per la sua assoluta genericità ed apoditticità. Ragiona del credito azionato in via riconvenzionale come provato senza dire come lo sarebbe stato ed ignora che la sentenza impugnata l’ha ritenuto comunque prescritto e non dimostrato.

p.5. Il ricorso è, conclusivamente, rigettato.

Il Collegio ritiene si configurino giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di cassazione, nonostante le rilevate inammissibilità del ricorso, in ragione della sussistenza sullo sfondo della vicenda oggetto del giudizio di una vicenda penale, che rende in qualche modo scusabile – tenuto conto della sua particolare natura – l’insistenza nella protrazione del giudizio fino a questa sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 26 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2010

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