LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –
Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –
Dott. MARIGLIANO Eugenia – rel. Consigliere –
Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 26051/2005 proposto da:
RINALDO ALL’ACQUEDOTTO SRL nella persona dell’Amministratore unico e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 55/2004 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 20/07/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/11/2009 dal Consigliere Dott. EUGENIA MARIGLIANO;
udito per il ricorrente l’Avvocato D’AYALA VALVA, che ha chiesto l’accoglimento;
udito per il resistente l’Avvocato GENTILI, che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per l’accoglimento parziale del ricorso limitatamente alle imposte sul reddito.
RILEVATO IN FATTO
L’Ufficio II.DD. di Roma *****, sulla base di una verifica eseguita dalla Guardia di finanza nei confronti della società Rinaldo all’Acquedotto s.r.l., esercente l’attività di ristorazione, dell’amministratore e dei soci, notificava, in data 25.5.2000, avviso di rettifica parziale, n. *****, ai fini I.V.A. per l’anno 1994 con il quale veniva liquidata una maggiore imposta per L. 552.064.000, oltre sanzioni ed interessi.
Successivamente il 15.12.2000, sulla base del medesimo p.v.c., veniva notificato altro avviso di accertamento, n. *****, ai fini I.R.Pe.G. ed I.LO.R. per l’anno 1994 con il quale venivano determinati maggiori ricavi non dichiarati per L. 13.586.238.000 e richiesta una maggiore imposta I.R.Pe.G. per L. 1.956.419.000, un tributo straordinario di solidarietà per L. 54.345.000 ed una maggiore imposta I.LO.R. per L. 880.388,000 oltre sanzioni ed interessi.
La società impugnava, con distinti ricorsi, i due avvisi innanzi alla C.T.P. di Roma lamentando che la Guardia di Finanza, una volta accertati indizi di reato, non aveva cambiato il rito di investigazione ex art. 220 c.p.p., ed aveva proceduto alla verifica dei conti correnti bancari non come Polizia giudiziaria ma come Polizia tributaria e che la stessa era stata eseguita non solo sui conti della società e dell’Amministratore, ma anche di soci terzi, totalmente estranei alla gestione dell’impresa; denunciava, inoltre, la carenza di motivazione, basata solo sul p.v.c. della Guardia di finanza, la violazione del principio del contraddittorio e la mancata valutazione delle prove.
Si costituiva l’Ufficio difendendo la legittimità degli accertamenti. La C.T.P. adita, riuniti i ricorsi, con sentenza del 9.1.2002, li accoglieva entrambi, per essere stata la documentazione bancaria acquisita illegittimamente. in violazione dell’art. 191 c.p.p., e dell’art. 220 disp. att. c.p.p., senza l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, per essere stati eseguiti i controlli anche nei confronti di terzi in difetto di prova documentale e senza contraddittorio.
Con atto notificato il 2.7.2003. l’Ufficio proponeva appello; si costituiva la società eccependo in via preliminare l’inammissibilità dell’impugnazione per tardività.
La C.T.R. del Lazio accoglieva integralmente l’appello, ritenendo legittima l’acquisizione della documentazione bancaria, dato che vi era stata l’autorizzazione del Comandante di zona della Guardia di finanza, non essendo necessaria quella dell’Autorità giudiziaria per i procedimenti tributari, nè detta acquisizione occorreva fosse eseguita in contraddittorio; sosteneva inoltre, la legittimità dell’accertamento poichè nè la società nè i soci avevano provato che dei movimenti bancari, ritenuti riferibili alla società, fosse stato tenuto conto nelle dichiarazioni dei redditi o che non ss riferissero ad operazioni imponibili.
Avverso detta decisione propone ricorso per cassazione la società Rinaldo all’Acquedotto s.r.l., sulla base di cinque motivi. Resistono con controricorso il Ministero delle finanze e l’Agenzia delle entrate, contrastando quanto ex adverso sostenuto. La società, con memoria presentata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., ha prodotto sentenza n. 72/27/07 della C.T.R. del Lazio, munita della certificazione del passaggio in giudicato relativa ad una causa intercorsa tra le stesse parti concernente avvisi di rettifica parziale I.V.A. per gli anni 1995 e 1996 e avviso di accertamento I.R.Pe.G. ed I.LO.R. per l’anno 1995, invocando l’estensione di detto giudicato esterno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo la società lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, 1 e 2 periodo, e art. 112 c.p.c., con violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sulle eccezioni di inammissibilità dell’appello avanzate dalla contribuente in ordine alla contraddittorietà dell’appello, alla mancanza di motivi specifici ed, in particolare, sulla carenza d’interesse in quanto l’ufficio non aveva impugnato una delle autonome e decisive rationes decidendi, relativa all’affermazione della C.T.P. di illegittimità degli accertamenti perchè eseguiti mediante controlli bancari su soggetti terzi senza che vi fosse prova certa e documentale della provenienza delle somme; chiede, pertanto, che la Corte accerti anche d’ufficio l’esistenza de; giudicato interno.
Con la seconda censura si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51, 52, 63 e 75, e del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32, 33 e 70, e degli artt. 2, 191, 331 e 654 c.p.p., art. 220 disp. att. c.p.p., della L. n. 516 del 1982, art. 12, e del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 20, anche in combinato disposto ed ancora degli artt. 2697 e 2729 c.c., nonchè omessa pronuncia, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione con violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato anche in relazione all’art. 112 c.p.c., per avere la C.T.R. con motivazione lacunosa ed erronea, ritenuta legittima l’istruttoria fiscale e le sue risultanze, malgrado i vizi endoprocedimentali, in quanto il controllo bancario era stato autorizzato dal Comandante di zona invece che dall’Autorità giudiziaria in presenza di notizia di reato da cui doveva derivare l’inutilizzabilità di ogni acquisizione.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 5, 55 e 63, e del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32, 33 e 38, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 41, D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, anche in combinato disposto ed ancora degli artt. 2697 e 2729 c.c., nonchè omessa pronuncia, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per avere la C.T.R., con motivazione lacunosa ed erronea, negato il diritto della società contribuente al contraddittorio sulle risultanze dei controlli bancari eseguiti nei confronti di terzi, quali sono i soci di una società di capitali.
Con la quarta doglianza si evidenzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51, 52 e 63, e del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 33, art. 39, comma 1, lett. d), e 41, D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 27 e 61, anche in combinato disposto ed ancora degli artt. 2697 e 2729 c.c., nonchè omessa pronuncia, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione con violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato anche in relazione all’art. 112 c.p.c., ed inoltre, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, e art. 56, in relazione al principio del dedotto e deducibile in appello con denunzia di extra petita e violazione dei principi relativi alla rilevabilità d’ufficio di eccezioni e questioni non proposte dall’appellante in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per avere la C.T.R. preteso di limitare il giudizio circa la legittimità dei controlli bancari sui terzi al solo avviso di accertamento sui redditi, affermando che la C.T.P. aveva pronunciato anche in relazione all’accertamento I.V.A., malgrado detta censura non fosse stata dedotta dalla società.
Con l’ultimo motivo la società denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51, 55, e 63, e del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 33, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 41, D.L. n. 33 del 1993, art. 62 sexies, anche in combinato disposto ed ancora degli artt. 2697 e 2729 c.c., nonchè omessa pronuncia, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione con violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato anche in relazione all’art. 112 c.p.c., con mutatio libelli, extrapetita per avere la C.T.R., con motivazione lacunosa ed erronea, ritenuto che per eseguire i controlli bancari sui terzi fosse sufficiente il rinvenimento di un floppy disk recante movimentazioni bancarie non rinvenibili nella contabilità societaria e di ingenti partite finanziarie, senza avere invece eseguito un’analitica valutazione della riconducibilità dei movimenti bancari alla società, potendo solo così imputare a materia imponibile I.V.A. e reddituale i versamenti e i prelevamenti. non potendo pretendere che fosse la contribuente a darne la prova contraria.
La società, altresì, denunzia la manifesta assurdità dei valori ripresi a tassazione calcolati sia sul costo medio di un pasto che del numero dei clienti giornalieri e sul numero annuale degli stessi, già denunciata nei pregressi gradi di giudizio, punto sul quale la C.T.R. ha ritenuto che vi fosse carenza d’interesse da parte della società dato che gli accertamenti erano basati sulle sole verifiche bancarie, mentre sostiene parte ricorrente trattandosi di un accertamento analitico – induttivo o meglio extracontabile doveva essere anche giudicata la verosimiglianza dei risultati in termini economici – commerciali relativi ad un ristorante di quella tipologia e, quindi, su detta circostanza la C.T.R. avrebbe dovuto pronunciarsi, data la proposta impugnazione.
Occorre preliminarmente esaminare la richiesta di applicazione del giudicato esterno invocato dalla società ricorrente.
Tale richiesta deve essere respinta.
Il vincolo del giudicato esterno è ordinariamente operante nel caso in cui due giudizi tra le stesse parti si riferiscano a medesimo rapporto giuridico ed uno di essi costituisca la premessa logica indispensabile per la statuizione relativa all’altro, donde consegue che la situazione già accertata ne precedente giudizio non può formare oggetto di valutazione diversa, ove permangano immutati gli elementi di fatto e di diritto preesistenti, mentre non può chiedersene l’ultrattività per un’annualità diversa quando postula l’accertamento di ulteriori presupposti di fatto.
Nella specie, si verte nell’ipotesi di valutazione delle prove in ordine a diverse annualità e, pertanto, non è possibile applicare il giudicato non potendo precludersi per ogni giudice il potere di valutare in modo autonomo e discrezionale le prove che gli sono offerte dalle parti che in periodi temporalmente distinti possono presupporre fatti differenti. La decisione di cui si chiede l’estensione del giudicato è, infatti, basata sull’affermazione della C.T.R. di assenza di prova, non avendo l’A.F. prodotto alcuna documentazione che potesse dimostrare la legittimità della pretesa fiscale. Nel caso in esame, invece, la C.T.R. fa espresso riferimento al reperimento di un floppy disk, contenente riferimenti extracontabili, conseguentemente, essendo gli elementi di fatto diversi non può applicarsi, nella specie, il giudicato.
Peraltro, la sentenza prodotta e basata sull’affermazione che, “se in materia tributaria non esiste un principio normativamente sancito d’inutilizzabilità dei dati irritualmente acquisiti, tale principio invece trova obbligatoria applicazione e costituisce preclusione, ai sensi delle norme penali prima richiamate (ndr, art. 91 c.p.p., e art. 220 disp. att. c.p.p.) quando nel corso delle verifiche siano accertati fatti di rilevanza penale”. Tale affermazione è errata ed in assoluto contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui: “La mancanza dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, prevista dal D.P.R. 10 ottobre 1972, n. 633, art. 63, per la trasmissione di atti, documenti e notizie acquisite nell’ambito di un indagine o un processo penali, a parte le conseguenze di ordine penale o disciplinare a carico del trasgressore, non determina la inutilizzabilità degli elementi probatori sui quali sia stato fondato l’accertamento tributario, rendendo invalidi gli atti del suo esercizio o la decisione del giudice tributario”. (cfr, ex multis, Cass. civ. sentt. nn. 3852 e 6939 del 2001).
Il primo motivo è infondato.
Con la presente censura si denuncia un vizio in procedendo, per cui è permesso a questa Corte di verificare l’esattezza o meno di quanto lamentato procedendo alla lettura degli atti dei gradi pregressi;
dalla lettura della sentenza della C.T.P. e dell’atto di appello si evince che la censura è infondata avendo l’Ufficio proposto gravame avverso tutti i punti che hanno costituito il fondamento della decisione impugnata, riportando inoltre anche massime della giurisprudenza di questa Corte in ausilio di quante, lamentato.
La seconda censura relativa all’inutilizzabilità dei dati acquisiti durante istruttoria fiscale senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, essendo emersi anche elementi di rilevanza penale, è anch’essa infondata.
Come sopra già accennato sussiste una completa autonomia tra il procedimento penale ed il processo tributario per i quali vanno seguite le norme dei corrispondenti codici di rito e, mentre il principio di inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita è norma peculiare del procedimento penale, non costituisce, invece, principio generale dell’ordinamento giuridico; in particolare, per il procedimento tributario non sussiste la previsione di inutilizzabilità degli elementi acquisiti in sede di verifica. in assenza di autorizzazione dell’autorità giudiziaria, in quanto come più volte affermato da questa Corte in tema di IVA. l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, prescritta dal D.P.R. 26 settembre 1972, n. 633, art. 63, per l’utilizzazione a fini tributari e per la trasmissione uffici finanziari di dati, documenti e notizie bancari, acquisiti nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria, è riferita ad indagini penali in corso, non necessariamente a carico del contribuente sottoposto ad accertamento, ma anche di terzi indagati. Tale autorizzazione non è diretta a permettere l’accesso della Guardia di finanza ai dati bancari a fini fiscali, ma soltanto a consentire la trasmissione anche agli uffici finanziari di materiale acquisito per fini esclusivamente penali, essendo stata introdotta la detta autorizzazione – come sottolineato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 51 del 1992 – per realizzare una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto istruttorio, piuttosto che per filtrare ulteriormente l’acquisizione di clementi significativi a fini fiscali”. (cfr., ex multis, Cass. civ. Sentt.
nn. 7208 del 2003); mentre è necessaria l’autorizzazione del Comandante di zona ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, u.c., e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, autorizzazione, nella specie, regolami ente acquisita.
Il terzo motivo con il quale si lamenta il mancato riconoscimento del diritto della società contribuente al contraddittorio durante il procedimento amministrativo di acquisizione dei dati bancari è anch’esso infondato.
Infatti la C.T.R., con motivazione ampia ed esaustiva, ha legittimamente statuito che non sussiste alcun obbligo da parte degli organi preposti alle ispezioni ed alle verifiche di acquisire i dati necessari in contraddittorio con la contribuente, essendo questa una mera facoltà degli stessi per come è dato evincere dall’uso del verbo “potere” (v. D.P.R. n. 633, art. 5, cit. e l’omologo D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32), essendo sempre possibile contestare la veridicità dei dati acquisiti o la loro riferibilità alla società in sede di sottoscrizione del p.v.c., o a seguito della notifica o, infine, in sede giurisdizionale.
Con la quarta censura si denuncia la pronuncia extrapetita della C.T.R., per avere la stessa limitato la pronuncia sulla illegittimità dei controlli bancari sui terzi al solo avviso di accertamento sui redditi, affermando che la C.T.P. aveva pronunciato anche in relazione all’accertamento I.V.A., malgrado detta censura fosse stata dedotta dalla società solo nel ricorso introduttivo concernente le imposte dirette e non per l’I.V.A.. Sostiene parte ricorrente che, “poichè si trattava di una vicenda unitaria e di un unitario elemento istruttorio posto a base di tutte le rettifiche la cui illegittimità non poteva, nelle implicazioni, essere arginata solo ad alcuna delle predette rettifiche, la C.T.R. non poteva rilevare d’ufficio alcunchè, nè delimitare un oggetto del giudizio o una domanda di parte già cristallizzata dalla sentenza di primo grado e dal giudicato interno formatosi su di essa o dai limiti del dedotto in grado di appello.
Il presente motivo è inammissibile per carenza d’interesse.
Dall’esame degli atti permesso a questa Corte, trattandosi di denuncia di vizio in procedendo, risulta che effettivamente nel ricorso introduttivo avanzato ai fini di contestare l’accertamento I.V.A. la società, pur lamentando l’avvenuta verifica sui contìcorrenti bancari intestati alla società, all’amministratore pro tempore ed ai soci, non aveva però denunciato l’illegittimità dell’avvenuta ispezione anche nei confronti di questi ultimi, da considerarsi terzi, trattandosi di società a responsabilità limitata; successivamente la C.T.P. non aveva effettivamente rilevato che detta censura era stara sollevata solo in merito all’accertamento delle imposte dirette per cui, riuniti i giudizi, aveva trattato unitariamente la controversia, accogliendo i rispettivi ricorsi senza fare alcuna differenziazione, cosi come l’Ufficio aveva proposto appello trattando unitariamente la questione, mentre la C.T.R. aveva rilevato la questione, riponendo l’oggetto del giudizio nei suoi confini originari.
Peraltro, l’attuale censura è priva d’interesse, in quanto la parte neh” eccepire l’extrapetizione da parte della C.T.R. non considera che detto rilievo non era stato fin dall’origine dedotto, nè potrebbe avvantaggiarsi del giudicato favorevole della pronuncia della C.T.P., avendo l’ufficio proposto appello avverso la decisione di primo grado nel suo complesso.
Conseguentemente riaprire, in questa sede di legittimità, il dibattito sulla presente questione, non ha, a giudizio di questo Collegio, alcun rilievo pratico per la società ricorrente, donde consegue l’inammissibilità del presente motivi) per carenza d’interesse.
Anche l’ultima censura. relativa alla ritenuta illegittimità dell’estensione della verifica anche ai conti correnti bancari di terzi a seguito del rinvenimento del floppy disk, è infondata.
Infatti, come rilevato da parte resistente, non si trattava di soggetti del tutto avulsi dal contesto della fattispecie, trattandosi di soci e dei loro familiari, per cui è legittima l’estensione dell’indagine fiscale anche in caso di società di capitali allorchè risulti provato dall’A.F., anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o comunque la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di singoli operazioni in essi contenute e, nella specie, gli elementi di carattere presuntivo rilevato nella verifica e nell’istruttoria, sono state anche avvallate e rafforzate dal rinvenimento di documentazione extracontabile quale può essere considerato anche un supporto informatico, nulla rilevando l’eventuale regolarità formale della contabilità ufficiale, in armonia con i principi di giurisprudenza consolidata di questa Corte per i quali il Collegio non ravvisa, nella specie, motivi per discostarsene (cfr., Cass. civ. sentt. nn. 8683 del 2002, 4423, 6073, 6232 e 13391 del 2003, 2217 e 19329 del 2006 e 379 del 2009).
Anche le altre censure relative ai calcolo dei coperti, al costo medio di un pasto ed al numero dei clienti giornalieri e quello annuale degli stessi che illegittimamente non sarebbero state prese in considerazione dalla C.T.R. sono infondate, poichè i giudici del merito non hanno valutato tali rilievi dato il carattere dell’accertamento fondato sulle rilevazioni bancarie e sulla contabilità parallela rinvenuta, nè dette censure possono essere valutate in questa sede di legittimità presupponendo accertamenti di fatto, peraltro, in presenza di una motivazione logica, sufficiente e priva di errori di diritto.
Tutto ciò premesso, il ricorso deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna parte soccombente al pagamento delle spese che si liquidano in Euro 12.200,00, di cui Euro 12.000,00 per onorari oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, il 13 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010