Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.859 del 20/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – rel. Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.E. in proprio, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIAN GIACOMO PORRO 8, presso o studio dell’avvocato BARENGHI ANDREA, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI MILANO ***** in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 106/2006 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il 19/09/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 13/11/2009 dal Consigliere Dott. MARIGLIANO Eugenia;

udito per il ricorrente l’Avvocato BARENGHI, che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha chiesto l’accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbito il secondo motivo.

L’Agenzia delle entrate, Ufficio di Milano *****, notificava a V.E. avviso di accertamento con il quale veniva rettificato il reddito dichiarato per l’anno 2000, in relazione ai quadri RB e RE e cioè reddito dei fabbricati e reddito di lavoro autonomo. Il contribuente impugnava detto atto innanzi alla C.T.P. di Milano con ricorso con il quale veniva delegato alla difesa il Rag. D.C., che però non sottoscriveva per autentica la delega conferitagli.

Si costituiva l’Ufficio contrastando quanto dedotto in ricorso ed eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità dell’impugnativa per vizio di sottoscrizione dell’atto.

All’udienza di discussione su invito del Presidente del collegio, in assenza del contribuente e del rappresentante dell’Ufficio, il difensore regolarizzava l’atto sottoscrivendo la delega ed autenticando la firma del delegante. La C.T.P. rigettava il ricorso nel merito, dando atto dell’avvenuta regolarizzazione del ricorso introduttivo.

Impugnava il contribuente reiterando i motivi d’impugnativa dell’avviso di rettifica. Resisteva l’Ufficio, contrastando quanto dedotto nel merito.

La C.T.R. dichiarava inammissibile il ricorso in quanto la sottoscrizione del mandato non era stata autenticata in presenza del contribuente, ne la delega era stata conferita oralmente all’udienza, non essendo il ricorrente presente nella stessa, come attestato nel verbale d’udienza. Il Collegio aggiungeva, inoltre, che anche a voler “ritenere sanata la nullità verificatasi a seguito del mancato rituale conferimento dell’incarico professionale, con l’apposizione dell’autentica da parte del professionista all’udienza del 9.5.2005, tale sanatoria, producendo certamente effetti ex nunc non avrebbe potuto ricondurre nei termini l’impugnativa” dell’accertamento che, quindi, doveva considerarsi definitivo.

Avverso detta pronuncia V.E. propone ricorso per Cassazione sulla base di due motivi, integrati da memoria. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate, eccependo l’inammissibilità del ricorso per l’assenza ab origine della sottoscrizione della parte, per la sopravvenuta decadenza dell’impugnazione dell’avviso di accertamento per effetto della tardi vita della stessa autentica e per avere introdotto nel giudizio di legittimità questioni di merito.

Con il primo motivo il contribuente denuncia l’errata interpretazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 3 in riferimento all’art. 374 c.p.c., comma 2, ed errata applicazione dell’art. 83 c.p.c., comma 3, cpv. 1, per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto inammissibile un ricorso per il quale risultava conferita la procura anche se non autenticata dalla sottoscrizione del difensore, mentre tale vizio era da considerarsi meramente formale e quindi non determinante l’inammissibilità dell’atto.

Evidenzia, inoltre, il ricorrente che la C.T.R. avrebbe potuto non pronunciarsi su un vizio meramente formale del ricorsi) e statuire, invece, sul merito della questione, dato che i membri del Collegio della C.T.P. avevano ritenuto di poter regolarizzare la procura all’udienza mediante sottoscrizione del difensore, in quanto gli stessi erano a conoscenza del fatto che fosse un avvocato iscritto all’Ordine.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 43 e 54 anche con riferimento alla relazione ministeriale sul D.P.R. n. 917 del 1986, instando, in caso di accoglimento del primo motivo, per il riesame dell’intera questione già sottoposta ai giudici del merito concernente l’inidoneità dell’immobile indicato nella dichiarazione I.R.Pe.F. nel quadro RB a produrre reddito fondiario perchè destinato ad uso professionale del proprietario, avvocato, ed insistendo sul fatto che la determinazione del reddito di lavoro autonomo era esatta, essendo state indicate tra le spese di studio deducibili quelle condominiali.

Il primo motivo è fondato.

Con la prima censura si prospetta un error in procedendo, che impone la verifica del ricorso introduttivo. Esso risulta sottoscritto dal difensore (rag D.C.R.); segue, in calce, la procura, sottoscritta da contribuente V.E. non seguita dalla relativa autentica, carenza cui il giudice del gravame ha collegato la sanzione dell’inammissibilità, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio a mente del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 2.

La conclusione non può essere condivisa.

Il Collegio intende, infatti, dare continuità al consolidato indirizzo espresso da questa Corte secondo cui “la mancata certificazione, da parte del difensore, dell’autografia della firma da parte del ricorrente, apposta sulla procura speciale in calce o a margine del ricorso per Cassazione (e quindi a maggior ragione della copia notificata), costituisce una mera irregolarità, che non comporta la nullità della procura ad litem perchè tale nullità non è comminata dalla legge, che detta formalità incide sui requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo dell’atto, individuabile nella formazione del rapporto processuale attraverso la costituzione in giudizio del procuratore nominato”(cfr., ex multis, Cass. civ. sentt. nn. 12625 del 2000, 17845 del 2004 e 6591 del 2008).

La conclusione – opposta a quella seguita in sede di merito – appare tanto più necessitata, nel caso in esame, in cui il difensore ha sottoscritto il ricorso introduttivo, successivamente costituendosi in giudizio, mentre la sottoscrizione ad opera del ricorrente della procura in calce non consente di dubitare circa l’imputabilità, al soggetto munito della legitimatio ad processum, dell’atto stesso – per giunta non ripetibile, in dipendenza del carattere impugnazione” del processo tributario.

Il ricordato indirizzo appare applicabile al processo tributario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 1, comma 2 regolato da norme analoghe a quelle del codice di procedura civile, per quanto attiene alla procura al difensore, da individuarsi, peraltro, non nell’art. 22, comma 2, del ripetuto decreto sibbene negli artt. 12, comma 3, e art. 18.

La C.T.R. aveva inoltre osservato che il contribuente nel firmare il ricorso introduttivo non aveva indicato la propria qualifica professionale, nè la stessa era rilevabile da contesto dell’atto, e da tale fatto aveva tratto la conclusione che lo stesso non fosse qualificato all’autodifesa innanzi alla C.T.P. così come previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12.

Tale statuizione è errata.

Infatti, è principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte, anche alla luce della decisione delle Sezioni unite n. 22601 dell’otto luglio 2004, che l’inammissibilità del ricorso introduttivo dei contribuenti per le controversie di valore superiore a L. 5.000.000 (pari ad Euro 2.582.28) può conseguire soltanto alla mancata nomina di un difensore tecnico nel termine all’uopo assegnato dal giudice tributario. Nella specie, invece, si rileva pacificamente dalla lettura dell’impugnata sentenza che ne la C.T.P. nè la C.T.R. hanno invitato la parte privata, assegnandole un termine adeguato, a munirsi di un proprio difensore, abilitato all’assistenza nel giudizio tributario in corso, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12.

Pertanto, in applicazione di questo principio, il primo motivo del ricorso per Cassazione deve essere accolto e, conseguentemente, la sentenza impugnata la quale ha fatto riferimento, in modo non corretto, ad una regola iuris diversa, deve essere cassata.

Per completezza d’esposizione. questa Corte rileva che la seconda ratio decidendi dell’impugnata sentenza, pronunciata ad abundatiam dalla C.T.R. non deve essere presa in considerazione a causa della pronuncia d’inammissibilità del ricorso che preclude l’esame di ogni ulteriore questione.

Il secondo motivo deve dichiararsi assorbito.

Tutto ciò premesso, dichiarata assorbita ogni altra censura, il ricorso va accolto e, cassata la sentenza impugnata, la causa va rinviata per un nuovo esame ad altra sezione della C.T.R. della Lombardia. La stessa C.T.R. si occuperà anche del governo delle spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della C.T.R. della Lombardia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 13 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010

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