LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –
Dott. MERONE Antonio – Consigliere –
Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 19037-2005 proposto da:
EAST WEST S.R.L. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 2 presso lo studio dell’Avvocato STEFANORI ANGELO, che la rappresenta e difende unitamente all’Avvocato CASTALDO GUGLIELMO giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 47/2004 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di PERUGIA, depositata il 22/06/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/12/2009 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;
udito per il ricorrente l’Avvocato ANGELO STEFANORI, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO RICCARDO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso e in subordine per il rigetto dello stesso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La East West s.r.l. propone ricorso per cassazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero dell’Economia e delle Finanze (che resistono con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di rettifica Iva per l’anno 1995 (per aver qualificato come vendite quelle che erano cessioni di beni in lavorazione presso terzi), la C.T.R. Umbria accoglieva l’appello dell’Agenzia riformando la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della contribuente.
In particolare, i giudici d’appello rilevavano che a sostegno della pretesa fiscale esisteva prova documentale consistente in un contratto intervenuto tra la società contribuente e un’azienda rumena per la lavorazione di calzature da donna e tomaie, mentre la contribuente non aveva fornito in contrario alcuna prova, limitandosi ad affermare di aver annullato verbalmente il suddetto contratto sostituendolo con un contratto di vendita delle materie prime e riacquisto della prodotto lavorato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo, deducendo vizi di motivazione, la ricorrente afferma che i giudici d’appello si sono limitati a rappresentare una interpretazione della natura del contratto con uno dei clienti della società, asserendone la valenza probatoria circa il rapporto intervenuto con la società e senza nulla dire in ordine alle conseguenze giuridiche del fatto, con conseguente impossibilità di ricostruire le ragioni che hanno indotto i suddetti giudici ad escludere l’applicabilità nella specie del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8. La censura è inammissibile.
Nella specie parte ricorrente non individua (tantomeno in maniera autosufficiente) fatti decisivi in ipotesi trascurati dai giudici d’appello, ma lamenta la mancata esplicitazione delle conseguenze giuridiche del fatto preso in esame dai predetti giudici, e a tale proposito è sufficiente osservare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, è inammissibile la censura quando abbia ad oggetto un difetto di motivazione non riguardante un accertamento in fatto, bensì un’astratta questione di diritto, posto che il giudice di legittimità – investito, a norma dell’art. 384 c.p.c., del potere di integrare e correggere la motivazione (manchevole o inesatta) della sentenza impugnata – è chiamato a valutare se la soluzione adottata dal giudice del merito sia oggettivamente conforme alla legge, piuttosto che a sindacarne la motivazione, con la conseguenza che l’eventuale mancanza o erroneità di questa deve ritenersi del tutto irrilevante, quando il giudice del merito sia, comunque, pervenuto ad una esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame (v. tra le altre Cass. n. 15764 del 2004 e n. 12753 del 1999), laddove, in caso di decisione non conforme a diritto, la sentenza andrebbe censurata per violazione di legge e non per vizio di motivazione.
Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1470 c.c., D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 53 e 54 in relazione agli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè dell’art. 1418 c.c. oltre che omessa e insufficiente motivazione, la ricorrente rileva:
che i giudici d’appello hanno interpretato il contratto in atti solo sulla base del tenore letterale senza considerare il comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipula del contratto (come emergente dalla documentazione fiscale, contabile e amministrativa); che tale interpretazione del contratto risulta contraddetta dallo stesso modus operandi dei verificatori e dell’Ufficio; che gli elementi giuridici idonei a qualificare formalmente e sostanzialmente la cessione di materie prime da un lato e la cessione di prodotti dall’altro come vendite sono il consenso e la consegna del possesso della cosa nonchè la volontà di trasferire il bene e il pagamento del corrispettivo, circostanze tutte emergenti dalla documentazione fiscale e doganale; che i giudici d’appello, ignorando tutta la documentazione prodotta, hanno ritenuto la simulazione del rapporto di vendita esclusivamente sulla base della errata interpretazione del contratto, erroneamente ritenendo tale contratto valido, applicabile e concernente i soggetti e il periodo in esame.
Secondo parte ricorrente, inoltre, i giudici d’appello avrebbero ignorato la regolare tenuta della contabilità, si sarebbero basati su di una preaesumptio de praesumpto, posto che dal contratto in atti, relativo ad un solo cliente, avevano dedotto la simulazione di tutti i rapporti commerciali intercorsi anche con altri clienti senza considerare che il contratto de quo doveva ritenersi nullo per illiceità dell’oggetto, posto che la East West era iscritta al settore commercio e non poteva pertanto svolgere attività di produzione di beni neppure avvalendosi di terzi.
La censura di omessa e insufficiente motivazione proposta col motivo in esame è fondata, nei limiti e nei termini che seguono.
La sentenza impugnata, nel riportare il gravame dell’Ufficio, fa riferimento ad una cessione “ad aziende rumene” di beni in lavorazione, ma poi basa la decisione su di un contratto intercorrente con una sola azienda, la “ditta Rosada”.
In tali termini la motivazione della sentenza risulta carente, posto che non chiarisce in alcun modo perchè il contratto relativo ad una sola azienda possa essere preso in considerazione anche in relazione ai rapporti intercorsi con altre aziende.
Nella sentenza impugnata si afferma altresì che la società, costituendosi in appello, dichiarò di non aver dato esecuzione al contratto di cessione in lavorazione – sostituendolo con contratti di cessione delle materie prime e riacquisto del prodotto finito – perchè era una impresa commerciale e non industriale, ma tale ultima circostanza non risulta in alcun modo verificata o presa in considerazione dai giudici d’appello. Nella sentenza impugnata si afferma inoltre che il contratto datato 31 ottobre 1994 è specifico, dettagliato e razionale e pertanto il reale rapporto civile (e quindi fiscale) tra le due ditte è avvenuto in base al suddetto contratto “mentre la diversa considerazione della documentazione fiscale (fatture e documenti doganali) non incide sul rapporto effettivo intervenuto tra l’appellata e la ditta Rosada”, ma non si spiega perchè tale documentazione “fiscale” non incida sul rapporto effettivo intercorso tra le parti, trattandosi comunque di prova documentale proveniente anche dalle parti contraenti ed espressione della loro volontà nè perchè, in presenza di una simile documentazione successiva al contratto, si sia affermato che non risultavano elementi probatori contrari alla prova documentale costituita dal contratto.
In tali termini il motivo in esame deve essere accolto, con assorbimento delle altre censure esposte nel medesimo motivo e nei successivi.
La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio ad altro giudice che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo e assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Umbria.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010