LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –
Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – rel. Consigliere –
Dott. MERONE Antonio – Consigliere –
Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –
Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso n. 15408/05 del R.G., proposto da:
Sometal s.r.l., in persona del legale rappresentante Signor L.F., elettivamente domiciliato in Roma, via dei Gracchi, n. 195, presso l’Avvocato MORICONI FABRIZIO, che lo rappresenta e difende con l’Avvocato Luigi Martino per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende secondo la legge;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 11/44/04, depositata il 23.4.2004;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 10.12.2009 dal relatore Cons. Dott. Giuseppe Vito Antonio Magno;
Udito, per la ricorrente, l’Avvocato Luigi Martino;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO E DIRITTO
1.- Dati del processo.
1.1.- La ditta Sometal s.r.l., esercente commercio all’ingrosso di rottami metallici, ricorre con tre motivi, illustrati da memoria, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la commissione tributaria regionale della Lombardia – accogliendo parzialmente, nel contraddittorio delle parti, l’appello proposto dalla stessa contribuente avverso la sentenza n, 76/01/2002 della commissione tributaria provinciale di Milano, che ne aveva rigettato il ricorso – riduce, in ragione del 50%, l’importo delle maggiori somme (L. 27.596.902.000) chieste dal secondo ufficio delle imposte dirette di Milano, a titolo di IRPEG e ILOR 1997 e relative sanzioni, portate dall’avviso di accertamento notificato il *****, emesso a seguito d’indagini della guardia di finanza dalle quali risultava un reddito effettivo di L. 26.243.836.000, in luogo di quello dichiarato in L. 308.776.000.
1.2.- L’agenzia intimata resiste mediante controricorso.
2.- Motivi del ricorso.
2.1.- La ricorrente chiede la cassazione della sentenza impugnata, con le pronunzie consequenziali, per i seguenti tre motivi;
2.1.1.- “illegittimità del mutamento, da parte del giudice tributario, del titolo della rettifica da analitico a induttivo”, per violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “in quanto la Comm. Trib. Regionale, dopo aver ritenuto non condivisibile l’avviso di accertamento analitico (confermato dai Giudici di 1^ Grado), anzichè accogliere l’appello… con conseguente annullamento dell’avviso di accertamento, ha operato un accertamento induttivo in sostituzione di quello analitico compiuto dall’ufficio”;
2.1.2. – in subordine, “illegittimità del reddito accertato dall’ufficio e dalla commissione tributaria regionale”, per violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del combinato disposto dell’art. 53 Cost., e D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, “in quanto la Comm. Trib. Regionale, pur avendo ridotto del 50% il reddito accertato dall’Ufficio, ha comunque rideterminato il reddito d’impresa in misura tale da apparire ictu oculi assolutamente irrealistico in violazione anche della norma costituzionale” citata (commisurazione dell’imposta alla capacità contributiva);
2.1.3.- carenza di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la commissione regionale asseritamente motivato “il proprio illegittimo ricorso all’accertamento induttivo del reddito d’impresa” disattendendo le risultanze delle fatture d’acquisto, ritenute false, e calcolando arbitrariamente la percentuale di ricarico e la minor misura del prezzo delle merci acquistate “in nero”, rispetto a quello normalmente praticato in commercio.
3.- Decisione.
3.1.- I motivi di censura suesposti sono infondati o inammissibili, per le ragioni di seguito espresse; quindi il ricorso deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
4.- Motivi della decisione.
4.1.- Il primo motivo di ricorso (par. 2.1.1) è infondato.
4.1.1.- Come la stessa ricorrente dimostra, trascrivendo diligentemente nel ricorso parti significative della motivazione dell’avviso di accertamento, questo era stato emesso perchè l’ufficio, acquisito il processo verbale di constatazione redatto dalla guardia di finanza, aveva ritenuto indeducibili alcuni costi, portati da fatture fittizie, corrispondenti ad operazioni inesistenti (pari a L. 25.916.046.620), o – in minor misura – non idoneamente documentati, non inerenti all’esercizio dell’impresa o eccedenti la quota deducibile.
4.1.2.- Questa situazione corrisponde esattamente alla previsione legislativa ricavabile dal combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40, e art. 39, comma 1, lett. d), per cui l’ufficio procede a rettifica non solo quando l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza della dichiarazione risultano dai controlli eseguiti sulle scritture e registrazioni contabili, analiticamente esaminate, ma anche quando “L’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile… sulla base di presunzioni semplici purchè queste siano gravi, precise e concordanti”, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare (Cass. nn. 26130/2007, 24532/2007).
Si tratta di un accertamento di tipo induttivo – analitico (cfr. Cass. nn. 951/2009, 14879/2008, 12904/2008), basato su presunzioni semplici, senza escludere la possibilità di utilizzare le scritture contabili aziendali (Cass. n. 27068/2006): metodo che si differenzia da quello induttivo – sintetico, contemplato dallo stesso art. 39, comma 2, allorchè l’omessa dichiarazione del reddito d’impresa o la mancanza o totale inaffidabilità delle scritture consentono di determinare il reddito in base a dati e notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio che, in tal caso, può prescindere dalle risultanze contabili ed avvalersi anche di presunzioni “supersemplici”, prive dei caratteri di gravità, precisione e concordanza.
In ogni caso, in presenza di valide presunzioni, l’onere di provare il contrario spetta al contribuente che, nella fattispecie in esame, non lo ha assolto; risulta infatti dalla sentenza impugnata che gli “specifici e concordanti elementi di riscontro sono rimasti incontestati”.
4.1.3.- La commissione regionale, pertanto, non ha immutato “il titolo della rettifica da analitico a induttivo”, per la semplice ragione che il metodo di accertamento usato dall’ufficio è originariamente di tipo analitico – induttivo, essendo legittimamente basato su presunzioni che il giudicante a qua, con ampia ed esaustiva motivazione, ritiene attendibili perchè consistenti in “una pluralità di specifici e concordanti elementi di riscontro, rimasti incontestati: e che vanno dal rinvenimento di assegni in bianco intestati a società del gruppo… alle false autofatture, alle verbalizzate dichiarazioni confessorie…”; con le precisazioni che tali fatture “non sono da ravvisarsi false solo dal punto di vista soggettivo, ma anche dal punto di vista oggettivo”, perchè non contengono elementi idonei a giustificare il costo; e che il “congegnato espediente” delle false fatturazioni – escogitato all’unico scopo di dare apparenza reale ad operazioni commerciali inesistenti, scopo rivelato anche dall’inconsistenza aziendale delle società emittenti, il cui unico compito era di produrre pezze giustificative fittizie (“cartiere”, per l’appunto) – non è smentito, ma anzi confermato, dal constatato raggiungimento di tale scopo, ossia dal fatto che l’impresa, a cui vantaggio il “congegno” era predisposto, detenesse una contabilità formalmente ineccepibile.
4.1.4.- Il giudicante a qua non poteva tuttavia limitarsi a dichiarare legittimo, per tali ragioni, l’atto impositivo; ma, a fronte delle lagnanze della contribuente, che contestava in appello anche la ritenuta indeducibilità di alcuni costi, e dunque la misura dell’accertamento, doveva quantificare concretamente l’entità delle somme da recuperare a tassazione (Cass. nn. 3995/2009, 11212/2007, 3309/2004, 4280/2001), il cui esatto ammontare la contribuente, peraltro, non aveva dimostrato con mezzi diversi dalle false, e perciò inattendibili, fatturazioni.
La commissione regionale ha quindi correttamente assolto il potere-dovere di giudicare nel merito, motivando in modo formalmente ineccepibile, in base a plurime e ragionevoli considerazioni, la decisione di contenere i costi indeducibili “nella ben più ridotta misura di una percentuale non eccedente il 50%, e con ogni consequenziale, connessa rideterminazione: da effettuarsi a cura dell’ufficio finanziario competente”.
Questo doveroso giudizio è stato compiuto attingendo a nozioni (minor costo della merce acquistata “in nero”, rispetto a quello, almeno doppio, del legittimo mercato; ricarico medio del settore; ecc.) ritenute di comune esperienza, con valutazione congruamente motivata, che sfugge al sindacato di legittimità. Anche a questo proposito, tuttavia, non può dirsi che sia stato immutato il titolo della rettifica, dato che il potere-dovere del giudicante di quantificare la misura del dovuto non appartiene alla fase dell’accertamento, riservata all’ufficio, ma si sovrappone ad esso, quando sia necessario ricondurlo ad equità.
4.2.- Gli altri due motivi di ricorso (par. 2.1.2 e 2.1.3) sono in massima parte assorbiti dalle considerazioni che precedono, essendo certamente da escludere, per le ragioni dette, il vizio di motivazione (terzo motivo), e dovendosi soltanto rilevare l’inammissibilità del secondo motivo, nella parte in cui pretende di rivedere in cassazione valutazioni di fatto, che sono di stretta competenza del giudice di merito.
4.3.- Segue la decisione, nei termini indicati a par. 3.1.
5.- Dispositivo.
PQM
LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 40.200,00 (quarantamiladuecento), di cui Euro 40.000,00 (quarantamila) per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta – Tributaria, il 10 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010