Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.865 del 20/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Sometal s.r.l., in persona del legale rappresentante Signor L.F., elettivamente domiciliato in Roma, via dei Gracchi, n. 195, presso l’Avvocato MONCONI Fabrizio, che lo rappresenta e difende con l’Avvocato MARTINO Luigi per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t., domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12. presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende secondo la legge;

– controricorrente –

– Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 64/44/05, depositata il 19.4.2005;

Udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del giorno 10.12.2009 dal relatore Cons. Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio;

Udito, per la ricorrente, l’Avvocato Luigi Martino;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTO E DIRITTO

1.- Dati del processo.

1.1.- La ditta Sometal s.r.l., esercente commercio all’ingrosso di rottami metallici, ricorre con due motivi, illustrati da memoria, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la commissione tributaria regionale della Lombardia accoglie l’appello proposto dall’agenzia delle entrate e rigetta quello incidentale (in punto spese di lite) della contribuente avverso la sentenza n. 231/16/2001 della commissione tributaria provinciale di Milano, che aveva accolto il ricorso di questa contro l’avviso di accertamento parziale notificato in data 8.11.2000, con cui l’ufficio competente, a seguito d’indagini della guardia di finanza che aveva rilevato indebite detrazioni di costi, riduceva da L. 107.220.000 a L. 14.226.000, applicando le relative sanzioni, il credito d’imposta IVA esposto dalla societa’ nella dichiarazione relativa all’anno 1996.

1.2.- L’agenzia intimata resiste mediante controricorso; il ministero dell’economia e delle finanze, pure intimato, non svolge difese.

2.- Questione pregiudiziale.

2.1.- Il ricorso proposto contro il ministero dell’economia e delle finanze deve essere dichiarato inammissibile, perche’ l’intimato non e’ legittimato passivamente in questa causa, non avendo partecipato al giudizio d’appello – dal quale deve intendersi tacitamente estromesso (Cass. nn. 9004/2007, 22889/2006) -, giudizio iniziato il 4.12.2002, dopo l’entrata in funzione (1.1.2001) delle agenzie fiscali, e svoltosi nei soli confronti dell’agenzia delle entrate appellante (direzione regionale della Lombardia, ufficio di Milano *****).

2.2.- Nulla devesi disporre in ordine alle relative spese processuali, giacche’ detto ministero non ha svolto difese.

3.- Motivi del ricorso.

3.1.- La ricorrente chiede annullarsi la sentenza impugnata:

3.1.1.- principalmente, perche’ avrebbe accolto un motivo d’appello, formulato dall’agenzia in difformita’ dalla pretesa contenuta nella motivazione dell’atto impositivo e discussa nel giudizio di primo grado (primo motivo: nullita’ della sentenza, sul punto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4., per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione al combinato disposto del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 e art. 56, comma 2, e dell’art. 24 Cost.);

3.1.2.- in subordine (secondo motivo), per violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 18 e 19 e dell’art. 53 Cost., laddove ritiene indetraibile l’IVA effettivamente pagata in rivalsa su fatture inerenti ad acquisti di merci (rottami) esenti dall’imposta.

4.- Decisione.

4.1.- I motivi di censura suesposti sono infondati: quindi il ricorso proposto nei confronti dell’agenzia delle entrate deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimita’, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

5.- Motivi della decisione.

5.1.- Il primo motivo di ricorso (par. 3.1.1) e’ infondato.

5.1.1.- Come la stessa ricorrente dimostra, trascrivendo diligentemente nel ricorso parti significative della motivazione dell’avviso di accertamento, questo aveva richiamato integralmente il processo verbale di constatazione redatto dalla guardia di finanza, assumendone le conclusioni, innanzitutto, quanto all’entita’ della cifra (L. 92.994.000) indebitamente portata a credito dalla contribuente nella dichiarazione IVA per l’anno 1996; tale credito non poteva essere riconosciuto, secondo la polizia tributaria, in massima parte (oltre L. 91 milioni) perche’ il titolo d’imponibilita’ era errato (IVA pagata su acquisti esenti da imposta) e, nella parte restante, trattandosi d’imposta pagata in relazione ad acquisti ritenuti non inerenti all’esercizio dell’impresa; l’ufficio avrebbe pero’ motivato l’atto impositivo facendo unico riferimento all’indebita detrazione di costi non inerenti.

5.1.2.- La ricorrente sostiene, quindi, che l’ufficio avrebbe illegittimamente immutato, in sede d’appello, il titolo della pretesa – giustificata, nella motivazione dell’avviso, per costi non inerenti —, adducendo che si sarebbe invece trattato, in massima parte, d’imposta non richiedibile in detrazione, perche’ originariamente non dovuta, anche se effettivamente pagata in rivalsa.

Cio’ avrebbe comportato un vizio della sentenza d’appello per mancata corrispondenza fra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.) e per violazione dei diritti della difesa, che era stata vittoriosamente esercitata in primo grado sul punto dell’inerenza.

5.1.3.- Il vizio denunziato, di mancata corrispondenza fra chiesto e pronunziato non sussiste, dal momento che la commissione regionale ha giudicato entro i limiti della domanda proposta in appello dall’agenzia delle entrate e che, sulla stessa domanda e nello stesso giudizio, la contribuente ha potuto difendersi senza alcuna limitazione.

5.1.4.- Occorre invece esaminare – d’ufficio, non essendo stata precisamente dedotta dalla ricorrente – l’eventuale ricorrenza del vizio d’inammissibilita’ dell’appello, ex parte qua, per asserita novita’ della questione, in violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57.

5.1.5.- Si premette che entrambe le ipotesi d’indetraibilita’ dell’imposta di cui si discute sono contemplate dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1 in cui si specifica, per quanto interessa, che e’ detraibile l’imposta “assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa” – condizione interpretata nel senso che non puo’ detrarsi l’imposta non dovuta, pagata soltanto perche’ iscritta (indebitamente) in fattura (Cass. nn. 2808/2008, 8959/2003, 12756/2002, 13222/2001, 8786/2001) -, ma soltanto se si riferisce “ai beni ed ai servizi… acquistati nell’esercizio dell’impresa” (principio d’inerenza).

5.1.6.- Ora, nel caso di specie, non e’ sostenibile che l’amministrazione abbia mutato i termini della contestazione, deducendo un titolo giuridico totalmente diverso (Cass. n. 10779/2007) o motivi e circostanze diversi da quelli contenuti nell’atto di accertamento (Cass. n. 25909/2008), dal momento che la motivazione dell’avviso di accertamento non puo’ intendersi limitata al difetto d’inerenza; questa, infatti, richiama interamente il processo verbale di constatazione, sia per quanto riguarda l’importo totale delle somme recuperate sia, anche ed inevitabilmente, per la giustificazione dei singoli recuperi, uno dei quali (il piu’ consistente) era effettuato per “titolo di imponibilita’ errato”, cioe’ per il fatto che si riferiva ad IVA pagata, benche’ non dovuta, sulle fatture emesse da un ben individuato fornitore.

Di tanto, la contribuente ebbe notizia, conoscendo il verbale, fin dal momento della notifica dell’atto impositivo; sicche’ non puo’ dirsi che la sua difesa abbia sofferto limitazioni, essendo anzi risultata vittoriosa sul punto in primo grado.

Per conseguenza, l’avere l’agenzia sottolineato, in appello, che la ripresa piu’ consistente non era motivata da difetto d’inerenza della spesa, bensi’ dal fatto che l’acquisto era esente da IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 8 non costituisce domanda nuova – cosi’ corretta la motivazione della sentenza d’appello, il cui dispositivo e’ conforme al diritto (art. 384 c.p.c., comma 2) -, ma diversa qualificazione giuridica della stessa pretesa fiscale (Cass. n. 525/2007); qualificazione peraltro gia’ compresa nella motivazione dell’avviso di accertamento, attraverso il rinvio alle risultanze del processo verbale di constatazione, accolto e fatto proprio senza riserve da parte dell’ufficio che, non essendosi costituito in primo grado, era legittimato a contestare i fatti dedotti dal ricorrente in tale giudizio (Cass. nn. 22010/2006, 7789/2006).

5.2.- Il secondo motivo di ricorso (par. 3.1.2) – con cui la contribuente, senza ulteriormente contestare la natura della merce acquistata, avente diritto all’esenzione dall’IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 8 insiste soltanto sulla detraibilita’ – e’ pure infondato.

5.2.1.- Come gia’ osservato (par. 5.1.5 e giurisprudenza ivi cit.), il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1 e’ interpretato – in coerenza con quanto prescritto dagli artt. 17 e 20 della sesta Direttiva del Consiglio C.E.E. del 15 maggio 1977, n. 77/388, e col principio affermato dalla corte di giustizia delle Comunita’ Europee con la sentenza 13 dicembre 1989 (n. 342/87) – nel senso che l’esercizio del diritto di detrazione e’ limitato all’imposta dovuta, vale a dire all’imposta corrispondente ad un’operazione soggetta all’IVA, versata in quanto dovuta, e non si estende all’imposta che sia stata pagata per il semplice fatto di essere stata indicata in fattura.

5.2.2.- Si ritiene sufficiente il rinvio alla giurisprudenza nazionale e comunitaria citata, trattandosi di tributo armonizzato, non essendo addotte dalla ricorrente ragioni che non siano gia’ state esaminate e risolte con tale giurisprudenza, cui il collegio aderisce.

A tali precedenti, in particolare, e’ lecito fare riferimento anche per quanto riguarda la paventala duplicazione d’imposta, a proposito della quale “basta considerare che, cosi’ come il cessionario ha il diritto di ripetere dal cedente l’importo indebitamente pagato (SS.UU. n. 13446 del 13/12/91), cosi’ pure, quest’ultimo, nel rispetto delle forme di legge, ha titolo ad agire nei confronti dell’Amministrazione per il rimborso di quanto versato e non dovuto” (dalla motivazione di Cass. n. 8786/2001, cit.).

5.3- Segue la decisione, nei termini indicati al par. 4.1.

6.- Dispositivo.

PQM

LA CORTE DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso proposto contro il ministero dell’economia e delle finanze. Rigetta il ricorso proposto contro l’agenzia delle entrate e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200,00 (cinquemiladuecento/00), di cui Euro 5.000,00 (cinquemila/00) per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010

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