LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 23568/2008 proposto da:
POMPETRAVAINI SPA in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 47, presso lo studio CORTI, rappresentata e difesa dall’avvocato CORTI Pio, giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (ufficio di Magenta), in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 71/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, del 5/7/07 depositata il 21/09/2007;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/11/2009 dal Consigliere e Relatore Dott. CAMILLA DI IASI.
E’ presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.
IN FATTO E IN DIRITTO La Pompetravaini s.p.a. propone, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che non si è costituita), ricorso per cassazione (successivamente illustrato da memoria), avverso la sentenza n. 70/22/07, depositata il 21-09-07, con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento Iva relativo all’anno 2002, la C.T.R. Lombardia confermava la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso della società.
2. Il primo motivo di ricorso (col quale si deduce l’esistenza di un giudicato esterno) risulta improcedibile per violazione dell’art. 369 c.p.c., n. 4, non rilevando che l’invocato giudicato (sul quale il motivo si fonda) sia stato prodotto nel giudizio di merito (v. in proposito Cass. n. 2855 del 2009), essendo peraltro da rilevare che, con sentenza 3 settembre 2009 nel procedimento C-2/08, la Corte di Giustizia CE ha affermato che il diritto comunitario osta all’affermazione di una disposizione del diritto nazionale come l’art. 2909 c.c., in una causa vertente sull’imposta sul valore aggiunto concernente un’annualità fiscale sulla quale non si è avuta ancora una decisione giurisdizionale definitiva, in quanto essa impedirebbe al giudice nazionale investito di tale causa di prendere in considerazione le norme comunitarie in materia di pratiche abusive legate a detta imposta.
Il secondo, il terzo e il quarto motivo risultano inammissibili per mancanza di idonea formulazione del quesito di diritto, in violazione dell’art. 366 bis c.p.c., a norma del quale, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si. deve concludere a pena di inammissibilità con la formulazione di un quesito di diritto.
E’ infatti da rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (v. tra le altre SU n. 7257 del 2007), la funzione propria del quesito di diritto è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare, con la conseguenza che devono ritenersi inammissibili i motivi che (come nella specie) si concludano con quesiti astratti, perchè privi di ogni riferimento e specificità in relazione al decisum nonchè alla corrispondente “ratio decidendi” della sentenza impugnata e la cui formulazione sia del tutto inidonea ad esprimere rilevanza ai fini della decisione del motivo, a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia e la regula iuris che, secondo il ricorrente, dovrebbe trovare applicazione nella fattispecie (v. tra molte altre, da ultimo, Cass. n. 7197 e n. 8463 del 2009 nonchè SU n. 7433 del 2009).
Giova inoltre sottolineare che nel quesito di diritto relativo al quarto motivo si chiede inammissibilmente a questa Corte di accertare se i giudici d’appello abbiano commesso la denunciata omissione (v, tra le altre Cass. n. 4044 del 2009 e n. 19769 del 2008, secondo le quali il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c., a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma).
Anche il quinto motivo di ricorso risulta inammissibile sotto diversi profili.
In proposito, è innanzitutto da rilevare che il motivo (col quale si deduce vizio di motivazione) si conclude con una incongrua formulazione di quesito (non richiesta per il vizio denunciato), mentre risulta carente in relazione all’art. 366 bis c.p.c., comma 2, a norma del quale è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dal citato art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. Cass. n. 8897 del 2008).
E’ inoltre da aggiungere che il denunciato vizio di motivazione attiene, più che all’accertamento dei fatti, alle conseguenze giuridiche da trarre dai suddetti fatti e perciò in realtà, inammissibilmente, censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la motivazione in diritto della sentenza impugnata.
Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. In assenza di attività difensiva, nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 4 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2010