Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.912 del 20/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31362-2005 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato DI PIERRO NICOLA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato RIGO GIANFRANCESCO con delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.A., S.F., SO.FE., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A. DEPRETIS 86, presso lo studio dell’avvocato CAVASOLA PIETRO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato DINDO STEFANO con delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3326/2004 del TRIBUNALE di VERONA, Terza Sezione Civile, emessa il 06/12/2002; depositata il 29/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/11/2009 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato NICOLA DI PIERRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI MASSIMO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Il Tribunale di Verona con sentenza del 29 novembre 2004, giudicando in sede di rinvio disposto da questa Corte con sent. N. 5948/99, a seguito di riassunzione da parte di V.G., condannava S.F., S.A. e S. F. a pagare a favore del V. a titolo di risarcimento danni la somma di Euro 50.246,61 con gli interessi legali dal 7 ottobre 1981, compensando in parte le spese dei vari gradi del giudizio.

Avverso questa sentenza propone ricorso il V. affidandosi a 7 motivi.

Resistono con controricorso i S..

Entrambi le parti costituite hanno depositate memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Osserva il Collegio che, ai fini di una corretta comprensione dell’annosa vicenda, sia pur in termini sintetici e, per quello che in questa sede interessa, va esposto quanto segue.

1. Con sentenza del 6 giugno 1987, questa Corte, accogliendo per quanto di ragione il ricorso proposto da V.G. e rinviando la causa avanti al Tribunale di Verona, in estrema sintesi, disconosceva la esistenza dei requisiti dell’urgenza e dell’improrogabilità quali elementi idonei a far cessare la proroga legale del contratto di locazione di un immobile adibito ad uso diverso da abitazione, stipulato con M.E., genitrice degli attuali ricorrenti, che era deceduta e proprietaria dell’immobile.

2.- Avverso la decisione, resa in sede di rinvio dal Tribunale di Verona, questa Corte adita su ricorso di S.F., S.A. e So.Fe. e su ricorso incidentale del V., emetteva la sentenza n. 5948/99.

Il Tribunale di Verona, a seguito dell’avvenuta riassunzione, emanava la sentenza oggetto del presente ricorso e sopra indicata.

3.- Nel passare all’esame del presente ricorso il Collegio osserva quanto segue.

3.1.- Trattandosi di una sentenza rescissoria occorre partire dalla sentenza rescindente ed attingere da essa le motivazioni, sia pure in estrema sintesi,che hanno indotto questa Corte ad enunciare i principi da essa espressi.

La S.C. premetteva che al conduttore deve essere riconosciuto il diritto ad essere risarcito del danno, da commisurare alla perdita dei profitti dell’attività dalla data dell’indebito rilascio fino a quella in cui si sarebbe prevedibilmente protratto il rapporto, anche alla stregua del regime vincolistico” (par. 13, ultima parte in motivazione).

Di conseguenza, riteneva che il Tribunale non si era attenuto a tale principio, senza peraltro giustificare in alcun modo la sua decisione di considerare il periodo compreso tra il *****.

Prosegue la Corte che, “mentre appare corretto il termine iniziale, riferito alla data del rilascio in esecuzione della sentenza di cessazione della proroga legale per necessità del locatore successivamente cassata, risulta erroneo il termine finale, coincidente con il ripristino della locazione a seguito del positivo esercizio dell’azione di cui alla L. n. 253 del 1950, art. 8 (peraltro, ancora sub judice avendo la S.C. cassato con sentenza n. 11536/96 la sentenza di merito sul rilievo che non è dato ripristinare un rapporto del quale sia già maturata la scadenza)”.

Ne consegue che “la corretta applicazione del su indicato criterio di determinazione del danno permette di ricostruire la durata prevedibile del rapporto di locazione ad uso non abitativo alla stregua della legislazione di vincolo vigente al momento dell’indebito rilascio dell’immobile; legislazione che correttamente i ricorrenti individuano con il terzo e sesto motivo nella L. n. 392 del 1978, art. 67, lett. a) e nella L. n. 94 del 1982, art. 15 bis in virtù dei quali deducono che la scadenza è fissata al 31 dicembre 1984” (par. 14, in motivazione).

Venivano, quindi, accolti, nei sensi su indicati, il secondo, terzo e sesto motivo; infondato era ritenuto il quarto.

Si precisava,inoltre, al fine di delimitare il compito del giudice del rinvio, che ai fini del risarcimento da indebito anticipato rilascio può tenersi conto soltanto della durata legale del contratto come rapporto de jure alla quale avrebbe avuto diritto il conduttore e non anche della possibile ulteriore detenzione della quale il conduttore avrebbe potuto fruire in base a provvedimenti giudiziali o disposizioni legislative recanti fissazioni, sospensioni o proroghe dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio (par. 14, in motivazione).

La stessa sentenza dichiarava inammissibile il ricorso incidentale del V..

Ciò posto e passando all’esame del ricorso devesi osservare quanto segue.

3.2.- Con il primo motivo il ricorrente lamenta che il giudice del rinvio abbia fatto falsa applicazione dell’art. 1225 c.c. in ordine al risarcimento dei danni.

A suo avviso, il giudice del rinvio avrebbe errato nel calcolare il danno da lui subito, facendo riferimento, come prevedibile durata del contratto di locazione di cui è causa, alla data del 31 dicembre 1984, anzichè a quella del 30 aprile 1986, come si sarebbe dovuto fare, tenendo conto dell’ultima proroga legale del contratto disposta dalla L. 5 aprile 1985, n. 118 fino alla sentenza della Corte costituzionale n. 106/86.

Il motivo è destituito di fondamento.

Premesso che, come è noto, il giudizio di rinvio è un giudizio “chiuso” e che il giudice del rinvio deve attenersi al principio di diritto enunciato nella sentenza della Corte, nel caso in esame, nella sent. n. 5948/99 la Corte, richiamando la sua precedente decisione – n. 11536/96 – che aveva cassato con rinvio la sentenza del rinvio sul rilievo che “non è dato ripristinare un rapporto del quale sia già maturata la scadenza” (p. 14, in motivazione), ha posto in rilievo che la corretta applicazione del su indicato criterio di determinazione del danno “impone di ricostruire la durata prevedibile del rapporto di locazione ad uso non abitativo alla stregua della legislazione di vincolo vigente al momento dell’indebito rilascio dell’immobile; legislazione che correttamente i ricorrenti (n.d.r. i S.) individuano, nel terzo e sesto motivo, nella L. n. 392 del 1978, art. 67, lett. a e bella L. n. 94 del 1982, art. 15 bis (in virtù dei quali deducevano che la scadenza è fissata al 31 ottobre 1984).

Accogliendo nei sensi su indicati il secondo, terzo e sesto motivo, la sentenza veniva cassata nella parte in cui, ai fini della quantificazione del danno da perdita di profitti, aveva considerato il periodo *****.

Sulla base di questo principio, peraltro enunciato dopo la sentenza n. 108 del 1986 della Corte costituzionale che dichiarava illegittimo la L. n. 118 del 1985, art. 1, il danno, dal giudice del rinvio, è stato commisurato ai profitti che il V. avrebbe potuto trarre dalla sua attività nel periodo di ulteriore durata del contratto ed ovvero nel periodo tra il *****.

La decisione impugnata, contrariamente al motivo dedotto, si è attenuta perfettamente al principio enunciato che ha per così dire “cristallizzato” la pretesa risarcitoria nella sua quantificazione alla data del ***** e di cui si è dato atto sub 3.1.

Peraltro, la “prevedibilità”, di cui parla la sentenza n. 5948/99, è inserita in un periodo argomentativo della stessa, ove si evidenzia come corretta l’applicazione dei criteri di determinazione del danno alla luce della legislazione vigente al momento dell’indebito rilascio, così come correttamente individuata dai S. e, cioè, riferibile solo alla scadenza del *****.

Di qui, l’assoluta irrilevanza del significato “prevedibile” che il ricorrente attribuisce al termine (p.8 e p.10 ricorso).

3.3.- Come deducono i resistenti i motivi da 2 a 6, eccetto il quarto, vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi ed enunciati in estrema sintesi.

Con il secondo motivo, il ricorrente assume che “il giusto e diverso criterio indicato dalla sentenza n. 5948/99 importava, anche ai sensi dell’art. 394 c.p.c., u.c. (necessità di conclusioni nuove sorte dalla sentenza di cassazione), la rideterminazione degli interessi compensativi anno per anno, nel senso, cioè, che gli interessi dovevano essere fatti decorrere a partire da ogni anno di ulteriore prevedibile durata della locazione a partire dall’estromissione illegittima, e, cioè, dallo sfratto del ***** in poi fino alla prevedibile scadenza” (p. 16-17 ricorso).

Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata, laddove ha statuito che le domande circa la rivalutazione e gli interessi, questi ultimi riconosciuti dalla sentenza poi cassata solo dal 7 ottobre 1991 fossero coperte dal giudicato, attesa la dichiarazione di inammissibilità del suo ricorso incidentale.

La decisione sarebbe erronea perchè “non tiene conto della natura delle domande in questione e, cioè, del fatto che si tratta delle domande restitutorie di cui all’art. 389 c.p.c. e art. 96 c.p.c., comma 2 che sono conseguenti alla cassazione della sentenza impugnata e, quindi, derivano automaticamente quale conseguenza dell’annullamento operato dal giudice di legittimità” (p. 18 ricorso).

Infatti, l’erronea data di decorrenza degli interessi coprirebbe il danno da svalutazione.

Il principio da applicare, sia per interessi e rivalutazione (che era sta chiesta sin dal primo giudizio di rinvio), era quello sancito nella nota sentenza della suprema Corte n. 1712 del 1995, che considera quale base di calcolo per gli interessi il valore del bene o cespite al momento dell’illecito, rivalutato anno per anno, giacchè solo in tal modo può addivenirsi al pieno ristoro del pregiudizio subito, evitando l’ingiustificato arricchimento (p. 20-21 ricorso).

Con il quarto motivo il ricorrente sostiene che il giudice del rinvio non avrebbe fatto applicazione, del criterio di liquidazione del danno ex art. 1226 c.c. perchè avrebbe dovuto procedere anche ad una valutazione equitativa dello stesso.

A tale applicazione il giudice del rinvio sarebbe dovuto giungere sia perchè nella sentenza rescindente era stato richiamato il principio valido per la liquidazione dei danni, sia perchè, per valutare un’azienda in attività, è necessario conoscere prima di tutto patrimonio e redditi attuali, in quanto una azienda è una realtà economica in continuo divenire, per cui non è mai possibile conoscere le sue parti ed è, pertanto, giocoforza far ricorso a criteri presuntivi ed, in ultima analisi, all’equità (p. 24-25 ricorso).

Con il quinto motivo il ricorrente assume che erroneamente il giudice del rinvio avrebbe ritenuto esistente la preclusione del giudicato sul punto decorrenza degli interessi e rivalutazione, dichiarando per conseguenza assorbita (sottolineatura nel ricorso-n.d.r.) la questione della cumulabilità o non di interessi e rivalutazione, senza, così, tener conto alcuno di quelli che erano stati gli effetti della precedente sentenza di cassazione, la n. 5948/99, sul punto.

Anche su questo punto il cumulo di interessi e rivalutazione doveva essere regolato sulla scorta dei principi contenuti nella sentenza pronunciata a Sezioni Unite n. 1712/95, nel senso che andavano riconosciuti comunque, oltre alla rivalutazione dei cespiti, anche gli interessi su tali importi, anno per anno rivalutati.

Infatti, venuto meno per annullamento il criterio di risarcire i danni dal *****, ed anche quello di limitare il risarcimento alla domanda di quattrocento milioni di lire,è chiaro che tutto il danno, capitale e accessori, andava ricalcolato, anche ricorrendo ad una valutazione equitativa onnicomprensiva, secondo i criteri normali, che sono quelli (non abnormi come in sentenza di rinvio) enunciati a p. 28-29 ricorso.

Con il sesto motivo il ricorrente ritiene necessaria una nuova liquidazione delle spese, avendo la cassazione della sentenza del primo giudice di rinvio travolto la pronuncia accessoria sulle spese contenuta nella sentenza stessa.

La sentenza impugnata, a suo dire, non dice nulla delle pregresse fasi di merito, in cui egli era stato ingiustamente dichiarato soccombente e condannato al rilascio anticipato dell’immobile.

Peraltro, non vi sarebbe dubbio che rientri nella pretesa restitutoria di cui all’art. 389 c.p.c. la richiesta di ripetizione delle spese giudiziali in precedenza rimborsata (che era stata espressamente formulata) e sulla quale il giudice di rinvio nulla avrebbe disposto (p. 30-31 ricorso).

Osserva il Collegio che tutti questi motivi sono coperti dal giudicato, di cui alla pronuncia di inammissibilità del ricorso incidentale del V. effettuata da questa Corte con la sentenza n. 5948/99.

E’ ovvio,infatti, che un ricorso dichiarato inammissibile è come se non fosse mai stato proposto e le relative censure – siccome mai proposte – comportano il passaggio in giudicato dei punti decisori impugnati appunto con quelle censure, inammissibili.

Nel caso in esame, va detto che con il ricorso incidentale, a suo tempo proposto e a cui la Corte può accedere, stanti le doglianze che sono con il presente ricorso portate al suo vaglio, il V. si lamentava:

a) del mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria dei danni;

b) del riconoscimento degli interessi solo a partire dalla data, da lui ritenuta arbitraria, del 7 ottobre 1991;

c) del mancato riconoscimento della cumulabilità di interessi e rivalutazione monetaria;

d) della mancata statuizione circa le spese del giudizio di cassazione, che “andavano liquidate in favore del V., risultato vincitore di quel grado del processo”;

e) della mancata decisione in ordine alla restituzione (con rivalutazione e interessi) delle spese di lite relative al giudizio di primo e secondo grado, rimborso che invece era stato chiesto, da lui, condannato a pagare in entrambe le fasi del processo (p. 17-19 ricorso incidentale).

Come appare evidente, si tratta delle stesse censure mosse con il presente gravame e che non furono esaminate da questa Corte all’epoca, perchè il ricorso fu dichiarato inammissibile per il richiamo compiuto dall’art. 371 c.p.c., comma 3 al precedente art. 366 c.p.c., ovvero per la mancata esposizione sommaria dei fatti della causa (par. 20 sent. n. 5948/99).

Ne consegue che correttamente il giudice del rinvio ha ritenuto dette censure coperte da giudicato.

3.4- Il settimo motivo sulla compensazione delle spese delle varie fasi dell’annoso giudizio, determinata nella misura di un terzo a suo carico, è infondato.

Infatti la compensazione, in questo caso parziale, delle spese non presuppone necessariamente la reciproca soccombenza e può sussistere anche nei confronti della parte totalmente vittoriosa (n. 4997/98).

Nella specie, il giudice del rinvio, dopo aver riconosciuto che il V. è uscito dal lungo giudizio sostanzialmente vittorioso, ha anche, però, posto in rilievo che tale non lo è stato sul quantum.

Si tratta di una valutazione discrezionale che non richiede una ulteriore e più specifica motivazione, incensurabile da parte di questa Corte, perchè la motivazione addotta da quel giudice non risulta nè illogica nè contraddittoria.

Conclusivamente, il ricorso va respinto, ma anche nel presente giudizio di cassazione sussistono giusti motivi, dato l’alterno esito dei ricorsi per cassazione, per compensare integralmente tra le parti le spese del grado.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010

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