Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.915 del 20/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. CALABRESE Donato – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.M. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 205, presso lo studio dell’avvocato TULANTI FRANCESCA, rappresentato e difeso dagli avvocati FELIZIANI ALESSANDRO, POLACCHI MARCELLO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO DI VIA ***** *****, in persona dell’Amministratore pro tempore sig.ra P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO, 172, presso lo studio dell’avvocato SILVAGNI BARBARA, (studio Ozzola), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DI MARCO DANIELE giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5218/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA, Sezione Quarta Civile, emessa il 26/10/2007, depositata il 12/12/2007; R.G.N. 1304/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 18/11/2009 dal Consigliere Dott. LANZILLO Raffaella;

udito l’Avvocato Marcello POLACCHI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per rigetto del ricorso, con condanna non aggravata delle spese.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Condominio di via *****, ha convenuto davanti al Tribunale di Viterbo il condomino S.M., per sentirlo condannare al risarcimento dei danni arrecati allo stabile condominiale, effettuando all’interno di un locale di sua proprieta’ al piano seminterrato lavori di ristrutturazione, che avevano comportato scavi e asporto di materiale sabbioso che vi era stato accumulato. A seguito dei lavori si era aperta una buca nel terreno adiacente e la struttura del fabbricato condominiale era stata compromessa nella sua stabilita’.

I danni sono stati quantificati in L. 23.155.360, pari alle spese sostenute dal Condominio per le opere di consolidamento dell’edificio.

Il convenuto ha resistito alle domande.

Esperita l’istruttoria mediante indagini peritali di ufficio e di parte, con sentenza n. 923/2004 il Tribunale ha respinto le domande attrici, ritenendo non dimostrato il nesso causale fra i lavori svolti dal convenuto e le lesioni al fabbricato, in considerazione della pregressa situazione dello stabile. Ha compensato le spese processuali.

Proposto appello principale dal Condominio e incidentale dal S., con sentenza 26 ottobre – 12 dicembre 2007 n. 5218 la Corte di appello di Roma, in riforma, ha condannato il S. a pagare al Condominio Euro 11.958,75, con gli interessi legali dalla data dell’esborso, e ad eseguire lavori di sottomuratura della volta della cantina, ponendo a suo carico la meta’ delle spese del giudizio di primo grado e tutte le spese del giudizio di appello.

S.M. propone cinque motivi di ricorso per Cassazione, illustrati da memoria.

Resiste il Condominio con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- La Corte di appello ha escluso l’imputabilita’ ai lavori eseguiti dal S. delle lesioni attinenti alla stabilita’ del fabbricato, ma ha ritenuto che essi abbiano provocato il cedimento del terreno adiacente, ove si era aperta una vera e propria voragine a seguito dello svuotamento della terra prima accumulata nel locale.

Cio’ ha deciso in base all’esame degli elaborati peritali acquisiti al giudizio.

2. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 342 c.p.c. e all’art. 163 c.p.c., n. 3, sul rilievo che la Corte di appello ha accolto la domanda del Condominio ai sensi dell’art. 2043 c.c., sebbene il Condominio appellante avesse escluso, nell’atto di appello, di avere proposto una tale azione, dichiarando di voler ottenere solo la restituzione delle somme pagate per eseguire i lavori di riparazione del fabbricato.

2.1.- Il motivo non e’ fondato.

Il giudice ha il potere – dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un “nomen juris” anche diverso da quello indicato dalle parti, purche’ non modifichi i fatti costitutivi, dedotti a fondamento della domanda stessa, ne’ prenda in esame circostanze di fatto non dedotte e non allegate dalle parti (cfr., fra le altre, Cass. civ. Sez. 3^, 8 febbraio 2007 n. 2746, che ha qualificato una fattispecie di responsabilita’ come extracontrattuale, sebbene la parte l’avesse proposta come azione contrattuale; Cass. civ. Sez. 2^, 17 luglio 2007 n. 15925).

Nella specie il Condominio non ha indicato in positivo il titolo in base al quale ha proposto la sua domanda di rimborso delle spese di ripristino, ma – esaminando l’espositiva in fatto e le ragioni dedotte a giustificazione della domanda – la Corte di appello ha ritenuto che la domanda si fondasse sull’illecito comportamento del S. e l’ha giuridicamente qualificata come azione ex art. 2043 c.c..

La contraria dichiarazione del Condominio avrebbe potuto avere il solo effetto di impedire che venisse in ipotesi attribuita al Condominio, in risarcimento dei danni, una somma diversa o superiore rispetto quella da lui richiesta, sulla base della qualificazione della domanda che l’appellante aveva dichiarato di escludere.

Ma, ove risulti rispettata la corrispondenza fra l’oggetto della domanda della parte e l’oggetto della pronuncia giudiziale, la sua qualificazione ad opera del giudice in termini diversi da quelli prospettati dalla parte non comporta vizio di ultrapetizione, trattandosi della mera applicazione alla fattispecie delle norme di legge ritenute adeguate, in attuazione della funzione che spetta precipuamente al giudicante (iura novit curia).

3.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 116 c.p.c., comma 1 e dell’art. 345 c.p.c., comma 3, degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonche’ omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, nella parte in cui la Corte di appello non ha ammesso la produzione di nuovi documenti senza previamente esaminarli e valutarne la rilevanza, ed e’ incorsa in gravi errori nel valutare le risultanze delle prove ammesse.

3.1.- Il motivo e’ inammissibile per la mancata formulazione del quesito di cui all’art. 366 bis c.p.c. in termini idonei a sintetizzare le questioni oggetto di controversia, i principi di diritto che si vorrebbe fossero enunciati e la sintesi delle censure attinenti ai vizi di motivazione.

Il quesito risulta da un lato generico e astratto e dell’altro incompleto.

A conclusione di censure ed argomentazioni analiticamente condotte per oltre dieci pagine sulla valutazione delle varie consulenze tecniche, di ufficio e di parte, acquisite (o a suo avviso erroneamente non acquisite) agli atti di causa, il ricorrente chiede che la Corte di cassazione dichiari “se il giudice di merito debba rendere comprensibile il percorso logico seguito per giungere alla decisione assunta, ovvero se debba indicare gli elementi sui quali abbia fondato il proprio convincimento, nonche’ l’iter logico seguito nella valutazione degli stessi…”.

Trattasi di quesito che – cosi’ come formulato – da per ammesso cio’ che e’ da dimostrare, cioe’ che il giudice di merito non abbia reso comprensibile il percorso logico seguito; non abbia indicato le circostanze, i fatti e le prove su cui ha fondato il suo convincimento, ecc: conclusione che e’ il frutto di una mera valutazione del ricorrente, non sorretta da alcun riferimento a fatti, circostanze e documenti concreti.

La sentenza impugnata ha motivato in termini oggettivamente logici e comprensibili le ragioni per cui non ha ammesso la produzione in appello di documenti nuovi, rilevando che essi erano in possesso del S. fin dal primo grado e che non avrebbero comunque potuto essere presi in considerazione, perche’ formatisi in diversi procedimenti e al di fuori del contraddittorio fra le parti.

Ne’ il ricorrente ha formulato appositi quesiti diretti a contestare la veridicita’ di tali affermazioni, che peraltro attengono ad accertamenti in fatto, non suscettibili di riesame in questa sede.

4.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione agli art. 342 e 346 c.p.c., sul rilievo che la Corte di appello lo ha condannato a corrispondere gli interessi legali sulla somma richiesta dal Condominio, nonche’ ad effettuare i lavori di sottomuratura della volta della cantina, sebbene entrambe le domande, proposte in primo grado e rigettate, non siano state riproposte in appello.

4.1.- Il motivo e’ inammissibile,, poiche’ non contiene specifica denuncia dell’ultrapetizione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

Per consolidata giurisprudenza di questa Corte il vizio di ultrapetizione, cosi’ come l’omessa pronuncia, costituisce error in procedendo, che deve essere denunciato esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

E’ conseguentemente inammissibile il motivo di ricorso con il quale la relativa censura sia proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto, ovvero come vizio della motivazione (Cass. civ., Sez. 3^, 26 luglio 2004 n. 14003; Cass. civ. Sez. 1^, 22 novembre 2006 n. 24856).

Va soggiunto che in relazione all’effetto devolutivo pieno dell’appello principale la controparte, a cui era imputabile il fatto illecito dannoso, rispondeva del debito di valore in relazione al persistere dell’inadempimento, ed il quantum debeatur era ancora sub iudice, proprio per effetto del proprio gravame.

Quanto alla domanda avente ad oggetto l’esecuzione in forma specifica di lavori di sottomuratura, essa non e’ in realta’ nuova, posto che gia’ apparteneva alla causa petendi ed al petitum originario;

considerato altresi’ che la situazione di pericolo era in atto e che di essa si e’ discusso in appello, nel contraddittorio fra le parti, secondo le regole della buona fede nella condotta processuale.

5.- Con il quarto motivo il ricorrente ancora denuncia violazione dell’art. 346 c.p.c., sul rilievo che il Condominio avrebbe proposto in appello domanda di condanna del S. a pagare le spese necessarie all’esecuzione delle opere di definitivo consolidamento dell’edificio, mentre in primo grado aveva chiesto la condanna del S. ad effettuare “tutte le opere ancora necessarie ai fini del totale consolidamento dell’edificio condominiale”, domanda che era stata respinta dal Tribunale.

5.1.- Il motivo e’ inammissibile perche’ irrilevante.

Il ricorrente non spiega sotto quale profilo e a quali effetti le sue censure potrebbero comportare l’annullamento della sentenza impugnata, considerato che la Corte di appello ha condannato il S. a pagare la somma di denaro che il Condominio aveva chiesto in primo grado; non somme ulteriori, corrispondenti al pagamento di altri lavori, in accoglimento della domanda che si asserisce essere nuova.

Ne’ il ricorrente ha dedotto o dimostrato che l’importo della condanna includerebbe voci di spesa non richieste in primo grado, ne’ specifica quali sarebbero tali voci.

6.- Con il quinto motivo si denuncia violazione dell’art. 2043 c.c. ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul nesso causale fra la condotta del ricorrente e l’evento dannoso, tenuto anche conto delle numerose concause individuate dai tecnici.

6.1.- Il motivo non e’ fondato, avendo la Corte di appello adeguatamente motivato la sua soluzione, che peraltro attiene ad accertamenti in fatto, non suscettibili di riesame in sede di legittimita’, ove sia congruamente e logicamente motivato, come deve dirsi del caso di specie.

7.- Il ricorso deve essere rigettato.

8.- Le spese del presente giudizio, liguidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.000,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 18 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010

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