LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VARRONE Michele – Presidente –
Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –
Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –
Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –
Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
S.S., ***** D.C., S.
M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA L MANCINELLI 65, (studio dell’avvocato Studio DE PONTE), rappresentati e difesi dall’avvocato CARRUBBA SEBASTIANO con delega a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
MININISTERO DELLA DIFESA *****, in persona del Ministro pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli uffici dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è
difeso per legge;
– controricorrenti –
e contro
ASSITALIA SPA, B.O.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1024/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, Prima Sezione Civile, emessa il 12/05/2004; depositata il 23/10/2004;
R.G.N.183/2000;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 01/12/2009 dal Consigliere Dott. FRASCA Raffaele;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Nel dicembre del 1994 S.S. e D.C., nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore S.M., convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Siracusa, B.O., il Quinto Reggimento Alpini di ***** e la Assitalia s.p.a., per sentirli condannare al risarcimento dei danni sofferti dal figlio ed a quello delle spese mediche da essi sostenute, a seguito di un sinistro stradale occorso in *****, allorquando il figlio, mentre si trovava sul proprio motorino, fermo sul ciglio della via *****, era stato investito da un automezzo militare del detto reggimento, condotto dal B. ed assicurato dalla detta società.
Nella costituzione della sola Assitalia, il Tribunale, con sentenza del 18 settembre 1999, condannava il B., il Quinto Reggimento Alpini (in persona del comandante) e l’Assitalia al pagamento in via solidale in favore di S.M. di L. 149.850.000 (detratto l’ammontare di quanto pagatogli eventualmente a titolo di provvisionale) ed al pagamento di L. 1.964.000 a favore dei genitori.
La sentenza veniva appellata dal Ministero della Difesa, che deduceva la nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e contestava, inoltre, nel merito la domanda.
Si costituivano congiuntamente i S. e la D. da un lato ed il B. e l’Assitalia dall’altro. Questi ultimi proponevano anche appello incidentale.
All’udienza del 7 marzo 2003 il processo veniva interrotto per la morte del difensore dell’Assitalia e del B.. Il Ministero della Difesa, con ricorso del 9 settembre 2003, riassumeva il giudizio e la Corte d’Appello nell’udienza dell’11 febbraio 2004, nella comparizione del solo Ministero, riteneva in decisione la causa.
1.1. Con sentenza del 23 ottobre 2004 la Corte d’Appello di Catania, previa dichiarazione della contumacia del B., riteneva fondato il motivo d’appello, con cui il Ministero aveva dedotto che l’atto introduttivo del giudizio di primo grado era stato notificato nei confronti del comandante pro tempore del citato reggimento anzichè ad esso Ministero presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato e, sul presupposto che vi fosse stato in conseguenza anche un difetto di integrità del contraddittorio, stante l’esistenza di un litisconsorzio evidentemente necessario dichiarava la nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e rimetteva le parti dinanzi al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c..
2. Contro questa sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione S.S., d.C. e S.M., affidandolo a due motivi.
Nessuno degli intimati resisteva.
3. Il ricorso veniva chiamato all’udienza del 2 febbraio 2009, all’esito della quale la Corte, con ordinanza pronunciata nella stessa udienza, dopo aver rilevato che risultavano prodotti gli avvisi di ricevimento relativi alle notifiche agli altri intimati, ordinava il rinnovo della notificazione del ricorso al Ministero della Difesa, previo rilievo della nullità dell’eseguita notificazione, in quanto non effettuata presso l’Avvocatura generale dello Stato, bensì presso l’Avvocatura distrettuale di Catania.
Eseguito l’ordine di rinnovazione e tempestivamente depositato il relativo atto nel rispetto dell’art. 371 bis c.p.c., si costituiva il Ministero con controricorso e veniva nuovamente fissata la trattazione per l’odierna udienza.
Il Ministero ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente va rilevato che, in vista della prima udienza cui il ricorso è stato chiamato i ricorrenti ebbero a depositare gli avvisi di ricevimento relativi alle notifiche a mezzo posta del ricorso, eseguite al B. ed all’Assitalia, rispettivamente presso il luogo di residenza e la sede. Tali notifiche appaiono regolari, tenuto conto che il B. era rimasto contumace nel giudizio di appello e che l’Assitalia aveva visto venir meno la sua domiciliazione nel giudizio di appello presso il suo difensore deceduto.
2. Con il primo motivo si deduce “violazione ed omessa applicazione degli artt. 112 e 180 c.p.c. (omessa verifica della regolarità della notifica ed omessa verifica della regolarità del contraddittorio) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e omessa applicazione degli artt. 156, 160 e 161 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione dell’art. 303 c.p.c., comma 4 e art. 305 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.
Vi si sostiene in primo luogo che la Corte d’Appello, a seguito della riassunzione operata dal Ministero avrebbe omesso di rilevare la regolarità e validità della sua notificazione, onde il giudizio era proseguito senza la comparizione e partecipazione dei ricorrenti.
Infatti, la notificazione dell’atto di riassunzione – ritualmente prodotto in una con il ricorso – sarebbe avvenuta, come emergerebbe dalla relativa relata, non già nel domicilio che essi avevano eletto nel distretto della Corte di Appello di Catania, alla via XX settembre 45 presso lo studio dell’avv. Francesco Geraci, bensì, “a mezzo posta, a Siracusa, via Adige 3 (Studio dell’avv. M. Spagna).
Tale notificazione sarebbe affetta da “nullità – inesistenza”, “non sanabile e non sanata”, con la conseguenza che la riassunzione sarebbe avvenuta oltre i sei mesi e, quindi, il giudizio di appello avrebbe dovuto dichiararsi estinto. La nullità – inesistenza avrebbe determinato la nullità di tutto lo svolgimento processuale successivo e si sarebbe convertita in motiv di impugnazione ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 1, con la conseguenza che questa Corte dovrebbe dichiarare essa stessa l’estinzione.
Con una seconda omologa censura si assume, poi, che anche la notifica dell’atto di riassunzione all’Assitalia – Le Assicurazioni d’Italia era affetta da “nullità-inesistenza”, sia perchè era stata eseguita presso lo studio dell’avvocato Gaetano Trigilia Caracciolo in Siracusa Corso gelone, 106, ancorchè lo stesso fosse deceduto ed il suo decesso avesse determinato l’interruzione del processo, sia perchè era stato eletto domicilio in appello, come emergerebbe dalla stessa sentenza impugnata, precisamente in Catania, alla via Ingegnere 52, presso lo studio dell’avvocato Armando Corica.
2.1. In ordine alla prima censura si osserva gradatamente quanto segue.
2.2. Essa appare inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto non si dice dove sarebbe stata fatta l’elezione di domicilio esatta.
E’ vero che essa risulta – come rivela il suo esame – dalla sentenza impugnata, ma il principio di autosufficienza impone che gli elementi per lo scrutinio del motivo siano precisati nel ricorso e, quindi, i ricorrenti avrebbero dovuto alternativamente dire o dove era stata fatta la domiciliazione e da quale atto risultava, oppure dire che essa risultava dalla sentenza impugnata.
E’ appena il caso di rilevare che, secondo la giurisprudenza della Corte, il principio di autosufficienza viene in rilievo anche per la deduzione del vizio di norme sul procedimento (si veda, ex multis, Cass. n. 20405 del 2006, secondo cui: “L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per Cassazione, per il principio di autosufficienza di esso.”. Adde: Cass. n. 1170 del 2004).
2.3. Se si superasse la questione dell’autosufficienza, la censura dovrebbe dirsi infondata per la ragione che – come emerge dalle conclusioni del ricorso – è chiesta la cassazione della sentenza in funzione della declaratoria di estinzione del giudizio d’appello, che si invoca da parte della stessa Corte.
E, dunque, la censura in esame è fatta valere soltanto per ottenere tale risultato.
Dev’essere, pertanto, esaminata solo per verificare se può portare alla conseguenza voluta dai ricorrenti.
Ciò premesso, si osserva che la censura, in realtà, prospetta uno svolgimento processuale che evidenzia non già l’inesistenza, bensì la nullità della notificazione dell’atto di riassunzione, non potendosi parlare di inesistenza perchè il luogo in cui avvenne, costituito dal domicilio di primo grado, era in qualche modo riferibile ai ricorrenti.
E’ stato, infatti, già statuito che “La notificazione dell’atto di appello presso il domicilio eletto dalla controparte nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado invece che in quello successivamente eletto nell’atto di prosecuzione del giudizio, seguito al decesso della parte convenuta e all’interruzione del procedimento, non deve ritenersi inesistente o affetto da invalidità assoluta ma esclusivamente da nullità sanabile mediante la costituzione in giudizio della parte appellata, anche se avvenuta dopo il decorso del termine di impugnazione stabilito nell’art. 327 c.p.c.”. (Cass. n. 19985 del 2008).
Dunque, la Corte d’Appello, se avesse rilevato il vizio della notificazione, non trattandosi di vizio di inesistenza della notificazione, bensì di nullità, avrebbe dovuto ordinare il rinnovo della notificazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c. e non già – come postulano i ricorrenti – prendere atto che, non essendo avvenuta la notifica, perchè inesistente, non era stato osservato il termine per la riassunzione, con conseguente estinzione del processo.
Le Sezioni unite della Corte, infatti, hanno statuito il seguente principio di diritto: “Verificatasi una causa d’interruzione del processo, in presenza di un meccanismo di riattivazione del processo interrotto, destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata edictio actionis da quello della vocatio in ius, il termine perentorio di sei mesi, previsto dall’art. 305 c.p.c., è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicchè, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo, atteso che la fissazione successiva, ad opera del medesimo giudice, di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, pur presupponendo che il precedente termine sia stato rispettato, ormai ne prescinde, rispondendo unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della vocatio in ius. Ne consegue che il vizio da cui sia colpita la notifica dell’atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza non si comunica alla riassunzione (oramai perfezionatasi), ma impone al giudice, che rilevi la nullità, di ordinare la rinnovazione della notifica medesima, in applicazione analogica dell’art. 291 c.p.c., entro un termine necessariamente perentorio, solo il mancato rispetto del quale determinerà l’eventuale estinzione del giudizio, per il combinato disposto dello stesso art. 291 c.p.c., u.c., e del successivo art. 307 c.p.c., comma 3” (Cass. sez. un. n. 14854 del 2006).
Nessuna fattispecie di estinzione appare, dunque, verificata.
2.4. In relazione a quanto sopra osservato a proposito dello scopo cui la censura appare diretta, si deve, poi, ritenere che la Corte, stante la ragione per cui la cassazione è stata (infondatamente) richiesta, non può ritenersi investita dell’unica censura che sarebbe stata prospettabile in relazione allo svolgimento processuale del giudizio di appello.
Tale censura sarebbe stata quella di nullità dello svolgimento successivo alla riassunzione, in ragione della già indicata nullità della notificazione dell’atto di riassunzione per essere stato notificato presso un domicilio non più riferibile ai ricorrenti e, se fosse stata prospettata, avrebbe potuto determinare la cassazione della sentenza con rinvio alla stessa corte territoriale, perchè procedesse al rinnovo della decisione nel pieno contraddittorio delle parti.
E’ vero che la nullità della notificazione – o meglio il vizio di essa, dato che lo si è qualificato come di inesistenza (il che, peraltro, non impedirebbe alla Corte di qualificarlo esattamente) – appare prospettata dai ricorrenti, ma essa lo è stata per farne derivare l’inesatta conclusione della verificazione dell’estinzione del giudizio di appello e postularne la declaratoria da parte di questa Corte e la cassazione senza rinvio ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, perchè il processo d’appello non poteva proseguire in ragione dell’estinzione stessa.
Ne consegue che questa Corte non potrebbe, senza violare i limiti entro i quali è stata investita dell’impugnazione, rilevare l’esistenza della nullità della notificazione dell’atto di riassunzione e cassare la sentenza con rinvio alla corte d’Appello.
I ricorrenti, infatti, non si sono doluti del fatto che lo svolgimento d’appello dopo la riassunzione abbia avuto luogo senza l’assicurazione del loro contraddittorio, bensì si sono doluti – come s’è visto infondatamente – della mancata constatazione da parte del giudice d’appello dell’estinzione del giudizio. Hanno così mostrato di non essere interessati ad un “ritorno” della controversia in grado di appello, bensì ad una chiusura del processo, di modo che il loro silenzio nel prospettare, se del caso anche in via subordinata, la prospettiva di quel “ritorno” e, quindi, la cassazione con rinvio, impone di intendere il motivo di ricorso esclusivamente nel senso della cassazione senza rinvio per la pretesa estinzione del giudizio di appello, non avendo gli stessi altro interesse.
Il principio di diritto che si può enunciare al riguardo è il seguente: “quando il ricorrente in cassazione deduce un error in procedendo compiuto dal giudice d’appello e chiede che, in ragione della sua constatazione da parte della Corte di Cassazione, la sentenza sia cassata senza rinvio perchè il processo d’appello non poteva proseguire (nella specie per il verificarsi di una fattispecie di estinzione), la Corte di cassazione, quando rilevi l’insussistenza del preteso error addebitato al giudice d’appello e, quindi, escluda la fondatezza della chiesta cassazione senza rinvio, che altrimenti si sarebbe dovuta disporre, non può rilevare che il verificarsi di una nullità processuale del giudizio di appello, riferita dal ricorrente come presupposto per desumerne la verificazione dell’errore denunciato, giustificherebbe una cassazione con rinvio della sentenza, atteso che i limiti dell’investitura alla Corte con il ricorso sono segnati dalla richiesta di cassazione senza rinvio ed il ricorrente, non avendo in via subordinata, chiesto la cassazione con rinvio per l’esistenza della detta nullità, ha mostrato disinteresse ed acquiescenza rispetto a tale prospettiva”.
2.5. Il Collegio rileva, comunque, che, se non fosse condivisibile il principio affermato e fosse stato possibile attribuire alla nullità della notificazione dell’atto di riassunzione rilievo per giustificare la cassazione della sentenza impugnata, il difetto di interesse a ricorrere ai fini del suo ottenimento si sarebbe dovuto rilevare sotto altro profilo: invero, una volta constatata la nullità dello svolgimento processuale successivo alla notificazione dell’atto di riassunzione perchè nullo, la cassazione con rinvio si sarebbe dovuta ritenere priva di interesse per i ricorrenti, in quanto, ove pure si fosse disposta, il giudice d’appello in sede di rinvio avrebbe dovuto necessariamente adottare la stessa decisione che ha adottato, cioè rimettere le parti al primo giudice, attesa l’indubbia esistenza della nullità della notificazione della citazione sotto i due profili indicati (cioè per non essere stata effettuata al Ministro e presso l’Avvocatura dello Stato).
La constatazione della sostanziale inutilità di una cassazione con rinvio avrebbe, in sostanza, determinato l’inammissibilità della censura, pur intesa nel modo indicato, per difetto di interesse.
2.6. In una prospettiva ancora ulteriore e diversa da quella ora indicata, si deve anzi rilevare che la Corte avrebbe potuto constatare anche di trovarsi nella condizione di poter decidere ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3. Avrebbe potuto, cioè, Essa stessa rilevare la nullità della notificazione della citazione di primo grado e rimettere le parti al primo giudice esattamente come ha fatto il giudice d’appello.
Il che è la migliore riprova che la prima soluzione prospettata, quella della limitatezza della censura alla cassazione senza rinvio per la pretesa estinzione del giudizio di appello, è quella più giusta.
2.7. La seconda censura proposta con il primo motivo è inammissibile per difetto di interesse.
Viene, infatti, in rilievo il seguente principio di diritto: “La violazione delle norme sulla notificazione della citazione e la inosservanza delle disposizioni sulla regolare costituzione del contraddittorio nei confronti di un convenuto costituiscono, infatti, eccezioni de iure tertii, che non possono essere sollevate da altro convenuto, potendo essere fatte valere soltanto dalla parte direttamente interessata. (Nella specie, il ricorrente lamentava che l’atto di appello fosse stato notificato in modo nullo senza che se ne fosse ordinata la rinnovazione ad altra parte, rimasta contumace nel giudizio di appello e regolarmente intimata in quello di cassazione, nel quale non aveva resistito)”.(Cass. n. 20637 del 2006).
3. Con il secondo motivo si deduce “violazione ed omessa applicazione degli artt. 325 e 326 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 c.p.c. Omessa pronuncia in ordine alla eccezione di rei iudicata con riguardo alla sentenza di primo grado rispetto a due delle parti (Assitalia e B.) e conseguente omessa pronuncia di inammissibilità da essa proposto, omissioni che si risolvono in difetto di motivazione”.
Vi si sostiene che i ricorrenti, costituendosi in appello, avevano chiesto dichiararsi passata in giudicato la sentenza impugnata di primo grado, nei confronti della s.p.a. Le Assicurazioni d’Italia e del B., perchè la sentenza di primo grado risultava notificata alla seconda il 26 novembre 1999 ed al primo il 21 gennaio 2000, onde da quelle date era decorso il termine breve di impugnazione.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza e comunque infondato, come ha dedotto il Ministero, atteso il carattere inscindibile del cumulo soggettivo verificatosi nel giudizio per la natura necessaria iniziale del litisconsorzio.
4. Il ricorso è, conclusivamente, rigettato.
5. Le spese del giudizio di cassazione possono compensarsi per giusti motivi, attesa la complessità delle questioni di rito esaminate e considerato che il giudizio dovrà proseguire con un ritorno al primo grado.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 1 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010