LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –
Dott. ODDO Massimo – Consigliere –
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
P.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato MANZI LUIGI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ROTINI EUGENIO, ROTINI MARTINA;
– ricorrente –
contro
C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO 3, presso lo studio dell’avvocato DELL’ALI GIUSEPPE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato RECHICHI DOMENICO;
– controricorrente –
e contro
R.P.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 972/2004 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 14/06/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 29/04/2009 dal Consigliere Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria;
udito l’Avvocato Carlo ALBINI, con delega depositata in udienza dell’Avvocato MANZI Luigi, difensore del ricorrente che ha chiesto accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato DELL’ALI Giuseppe, difensore del resistente che si riporta al controricorso ed insiste;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – P.S. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Grosseto C.C., esponendo di essere coniugata con C. F. dal *****, con rito canonico, e di avere vissuto con lui fino alla sua morte, avvenuta l'*****. Dopo tale evento, C.C., quale erede legittima, in quanto nipote in linea collaterale, aveva ottenuto il sequestro giudiziario di alcuni beni appartenenti al defunto, e detenuti nell’abitazione coniugale.
Dopo circa sette mesi, l’attrice aveva rinvenuto nell’appartamento coniugale un frammento del testamento olografo sottoscritto dal C. – inizialmente non reperito ma di cui si conosceva la esistenza perche’ il marito lo aveva mostrato anche agli amici – con il quale, nella sua stesura integrale, aveva nominato la P. sua erede universale. Tanto premesso, l’attrice chiese che la convenuta fosse condannata alla restituzione di tutti i beni indebitamente percepiti per effetto della successione o, qualora ne avesse perso il possesso, al pagamento del controvalore, e, in via subordinata, chiese la condanna della C. a pagare la somma di L. 5.646.000, che assumeva avere prestato al marito per l’acquisto di un’autovettura, e la somma di L. 2.763.000, che assumeva avere speso per le onoranze funebri.
Integrato il contraddittorio nei confronti di R.P., altro coerede di C.F., in quanto nipote dello stesso in linea collaterale, con sentenza in data 12 febbraio 2002, il Tribunale adito respinse le domande proposte dalla P.. Costei propose appello avverso tale decisione, affermando che il Tribunale di Grosseto non aveva tenuto conto del fatto che i testimoni avevano confermato che pochi giorni prima di morire il C. aveva mostrato loro un testamento con il quale la nominava sua erede universale, ed avevano riconosciuto nel documento prodotto in fotocopia un frammento del testamento che era stato loro mostrato.
2. – Il gravame fu respinto dalla Corte d’appello con sentenza depositata il 14 giugno 2004. Premesso che la legge richiede, per la validita’ del testamento, un particolare rigore formale, giustificato dalla particolarita’ dell’atto, per la cui validita’ si impone che esso sia interamente scritto di pugno del testatore e rechi data e sottoscrizione in calce, osservo’ il giudice di seconde cure che, nella specie, il frammento di atto, strappato nella parte superiore, ancorche’ la sua conformita’ all’originale e la provenienza dal de cuius non fossero contestate, e del seguente tenore letterale: “la quale potra’ fare come gli aggrada. Lascio tutto a essa per il bene che mi ha voluto, e voglio che nessuno abbia ad approfittarsene. In fede C.F.', non presentava alcuno dei requisiti indispensabili, e la produzione dello stesso, avvenuta in fotocopia, non poteva dare ingresso alla prova per testimoni o consentire di ricorrere a presunzioni per integrarne il contenuto.
La riferita affermazione era, secondo la Corte di merito, cosi’ lacunosa da risultare sostanzialmente priva di qualsiasi significato quale disposizione di ultima volonta’, mancando la indicazione del beneficiario della disposizione, ed emergendo solo la volonta’ del testatore di beneficiare una persona di sesso femminile, che avrebbe potuto essere identificata in qualunque donna, ivi comprese entrambe le parti. Nell’assenza dei requisiti formali essenziali, l’atto non poteva avere alcuna valenza giuridica, e il suo contenuto non poteva essere ricostruito mediante prova testimoniale o avvalendosi di presunzioni. Ma – sottolineo’ il giudice di secondo grado – quand’anche fosse stato possibile integrare il contenuto del testamento, ed addirittura ricostruire la designazione di erede – mediante prova per testimoni, la P. avrebbe dovuto vincere la presunzione legale stabilita’ dall’art. 684 c.c., secondo la quale il testamento olografo distrutto, lacerato o cancellato si considera revocato a meno che non si provi che fu distrutto, lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore ovvero che questi non ebbe l’intenzione di revocarlo. Nella specie, non sarebbe risultato in alcun modo che la scheda testamentaria esistesse al momento dell’apertura della successione e che quindi la sua distruzione o lacerazione fosse attribuibile a persona diversa dal testatore, ne’ che quest’ultimo, benche’ autore materiale della distruzione, non fosse animato da volonta’ di revoca. Tale prova non potrebbe, infatti, secondo la Corte territoriale, ritenersi integrata dalle dichiarazioni di testimoni che confermano la redazione dell’atto o la volonta’ del de cuius di lasciare i suoi beni ad una determinata persona, poiche’ tali circostanze non escluderebbero che il testatore abbia poi mutato opinione ed abbia inteso revocare il testamento mediante distruzione o lacerazione materiale del documento.
Aggiunse il giudice di secondo grado che, nella specie, la C. sarebbe stata l’unica vera interessata alla distruzione del testamento che istituiva erede la P., ma che, se lo avesse fatto, avrebbe distrutto interamente il documento, e non ne avrebbe lasciato il frammento di cui si tratta, peraltro nella disponibilita’ della P., che lo aveva prodotto in giudizio a distanza di sette mesi dalla morte del testatore.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre la P. sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso la C.. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – La prima censura concerne la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 602, 606, 684 c.c., dell’art. 2724 c.c., n. 3, e dell’art. 2725 c.c.. Avrebbe errato la Corte di merito nell’escludere che l’atto mancante dei requisiti richiesti ad substantiam per la validita’ del testamento possa essere completamente ricostruito mediante prova testimoniale ovvero avvalendosi di presunzioni.
Osserva la ricorrente che il richiamato art. 684 c.c., nel disciplinare la fattispecie della distruzione, lacerazione o cancellazione del testamento olografo, grava l’interessato dell’onere di vincere la presunzione iuris tantum di volonta’ del testatore di revoca dello stesso ivi prevista, dimostrando che tali eventi non sono a lui imputabili. Una volta provato che il de cuius non ebbe l’intenzione di revocare il testamento, l’interessato e’ tenuto a dimostrare quale ne fosse il contenuto e la forma, al fine di provare che esso possedeva, prima della distruzione o lacerazione, i requisiti di forma prescritti, a pena di nullita’, dall’art. 602 c.c. Una siffatta dimostrazione non potrebbe che essere fornita attraverso testimonianze o presunzioni. A fortiori sarebbe possibile, ad avviso della ricorrente, effettuare, mediante ricorso a deposizioni o presunzioni, la ricostruzione della parte mancante della scheda testamentaria di cui si tratta, gia’ di per se’ significativa della forma e del contenuto che il testamento integro possedeva.
2. – La seconda doglianza ha ad oggetto la violazione e/o falsa applicazione del principio di diritto desumibile dagli artt. 115 e 116 c.p.c., e artt. 684, 2724 e 2725 c.c., nonche’ la assoluta carenza e/o insufficienza e/o erroneita’ della motivazione su di un punto decisivo della controversia, attinente alla prova dell’assenza di una volonta’ di revoca da parte del testatore in merito al testamento lacerato in questione. Avrebbe errato la Corte di merito nell’escludere che, in caso di distruzione o lacerazione della scheda testamentaria, le deposizioni dei testi che confermino la redazione dell’atto o la volonta’ del testatore di lasciare i propri beni ad una determinata persona possano integrare la prova che la distruzione o lacerazione non sia imputabile al de cuius o che quest’ultimo non fosse animato da volonta’ di revoca. Nella specie, il giudice di secondo grado non avrebbe tenuto conto che alcuni testi avevano precisato che, due giorni prima del decesso, C.F., ricoverato in ospedale, aveva confermato alla moglie l’esistenza di un testamento in suo favore che la nominava erede universale:
circostanza che avrebbe suffragato la tesi che il de cuius non aveva alcuna intenzione di revocare il testamento. La Corte territoriale avrebbe obliterato le risultanze istruttorie, e svolto considerazioni del tutto astratte, estranee al contesto probatorio, e congetture illogiche e prive di alcuna valenza giuridica, come quella secondo la quale ove la C., unica interessata alla distruzione di un testamento che nominava erede universale la P., avesse realmente operato in tal senso, avrebbe distrutto interamente l’atto, e non ne avrebbe lasciato solo il frammento di cui si tratta.
3.1. – Le due censure, da esaminare congiuntamente in quanto avvinte da un evidente nesso logico – giuridico siccome dirette sostanzialmente entrambe al risultato di contestare l’affermazione del giudice di merito relativa alla impossibilita’ di attribuire alcun rilievo all’atto carente dei requisiti formali richiesti per la validita’ di un testamento, sono fondate nei termini che seguono.
3.2. – La Corte territoriale, muovendo dalla esatta premessa del particolare rigore formale richiesto dal legislatore per la validita’ del testamento, e’ pervenuta alla errata conclusione secondo la quale il frammento di un atto – che non rileva, nella specie, essere stato prodotto in copia fotostatica, possedendone, in quanto non espressamente disconosciuto, lo stesso valore probatorio ai sensi dell’art. 2719 c.c. – che sembri essere la parte finale di una scheda testamentaria, non avendo i predetti requisiti di forma, non possa essere ricostruito mediante prova testimoniale ovvero avvalendosi di presunzioni.
A prescindere dalla considerazione che l’orientamento, conforme alla prevalente dottrina, della giurisprudenza di legittimita’ – per vero risalente, ma non smentito -, secondo il quale la norma dell’art. 2725 c.c., comma 2, (peraltro mai evocata nella sentenza impugnata), che limita l’ammissibilita’ della prova testimoniale sull’esistenza e sul contenuto di un atto per cui e’ richiesta ad substantiam la forma scritta, quando sia dimostrata la perdita incolpevole del documento, e’ applicabile anche al testamento (v. Cass., sent. n. 1348 del 1966, ed, in precedenza, sentenze n. 236 del 1964, n. 880 del 1961 e n. 4623 del 1954), e’ stato sottoposto a revisione critica da parte di una certa dottrina, sia pure minoritaria, e dalla ulteriore considerazione della opinabilita’ dell’applicazione della tesi maggioritaria alle ipotesi in cui, come nella specie, si tratti di interpretare il rinvenuto frammento di un atto, prodotto da chi intenda avvalersi di esso, qualificandolo come disposizione testamentaria in proprio favore, e non gia’ di ricostruire un documento distrutto che l’interessato pretenda contenesse disposizioni a se’ favorevoli, deve, comunque, chiarirsi che la dimostrazione della non addebitabilita’ all’istituito del mancato reperimento della scheda originale, che, per quanto dianzi sottolineato, puo’ venire in rilievo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2724 c.c., n. 3 e dell’art. 2725 c.c., ai fini dell’ammissibilita’ della richiamata prova testimoniale diretta a ricostruire il contenuto del testamento, presuppone in ogni caso il positivo esperimento della prova contraria alla presunzione di avvenuta revoca della disposizione testamentaria (sent. n. 12098 del 1995). Ed infatti, l’art. 684 c.c. dispone che il testamento olografo distrutto, lacerato o cancellato, in tutto o in parte, si considera in tutto o in parte revocato, a meno che si provi che fu distrutto, lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore, ovvero si provi che il testatore non ebbe l’intenzione di revocarlo: prova, codesta, che ben puo’ essere fornita attraverso deposizioni testimoniali.
3.3. – Ebbene, nella specie, la Corte di merito, pur prendendo in esame – sia pure solo in via ipotetica – la possibilita’ della integrazione del contenuto della scheda testamentaria di cui era (asseritamente) parte il frammento lacero prodotto in giudizio dalla attuale ricorrente, ha immotivatamente escluso sic et simpliciter che dichiarazioni testimoniali confermative dell’avvenuta redazione dell’atto ovvero della volonta’ del de cuius di lasciare i suoi beni ad una determinata persona costituiscano elementi idonei ad integrare la prova contraria alla presunzione legale dettata dal richiamato art. 684 c.c.. Il giudice di secondo grado non ha preso in alcun modo in esame le specifiche deduzioni svolte dalla ricorrente, limitandosi, invece, ad ipotizzare, in via generale, la possibilita’ che il testatore, successivamente agli accadimenti riportati dai testimoni (o accertati mediante presunzioni), abbia mutato opinione e abbia inteso revocare il testamento mediante lacerazione.
Ma, attraverso tale illazione, la Corte territoriale ha sostanzialmente ritenuto che solo la certezza dell’avvenuta distruzione da parte di un terzo della scheda testamentaria sia idonea a fugare ogni dubbio su una eventuale volonta’ del testatore di revocare la disposizione, escludendo, invece, la possibilita’ che sia fornita la dimostrazione che la lacerazione, per qualsiasi causa avvenuta, della scheda testamentaria non coincida con detta volonta’ di revoca. In tal modo, la Corte fiorentina ha disatteso il dettato normativo di cui all’art. 684 c.c., in piena aderenza al quale parte della giurisprudenza e della dottrina hanno, tra l’altro, riconosciuto che perfino in caso di distruzione del testamento da parte dello stesso de cuius la presunzione di revoca dello stesso puo’ essere vinta dalla prova contraria (v, Cass., sent. n. 12098 del 1995, cit.).
Senza considerare il carattere arbitrario della ulteriore argomentazione – per la verita’, dichiaratamente svolta solo ad abundantiam – secondo la quale ove la C., unica interessata a distruggere un testamento che designava quale erede, secondo la ricostruzione della P., la stessa ricorrente, avesse effettivamente proceduto in tal senso, non si sarebbe certamente limitata ad una distruzione parziale del documento, lasciando il frammento della scheda poi rinvenuto da quest’ultima.
4. – L’accoglimento dei primi due motivi del ricorso assorbe l’esame della terza censura, avente ad oggetto la denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in relazione alla domanda proposta in primo ed in secondo grado in via subordinata, diretta ad ottenere, nella ipotesi in cui non fosse stata riconosciuta la qualita’ di erede testamentaria dell’attrice, attuale ricorrente, la condanna della C. al pagamento di una somma a titolo di restituzione del prestito concesso al coniuge e di rimborso delle spese sostenute per le onoranze funebri dello stesso.
5. – Conclusivamente, vanno accolti il primo ed il secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e la causa rinviata ad un diverso giudice – che si individua in altra sezione della Corte d’appello di Firenze, cui si demanda altresi’ il regolamento delle spese del presente giudizio – che riesaminera’ la controversia alla luce dei principi di diritto sopra enunciati, e quindi, in particolare, valutando la sussistenza o meno agli atti processuali della prova contraria alla presunzione di cui all’art. 684 c.c..
P.Q.M.
LA CORTE Accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze.
Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 29 aprile 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010