Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.920 del 20/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26674/2004 proposto da:

C.M. *****, V.F. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LEVICO 9, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO GIANCARLO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

I.C.L., FONDIARIA SAI SPA *****;

– intimati –

sul ricorso 828/2005 proposto da:

I.C.L. *****, rappresentato e difeso da se medesimo ex art. 86 c.p.c., elettivamente domiciliato in *****, presso il suo studio;

– ricorrente –

contro

C.M., V.F., LA FONDIARIA ASSIC SAI SPA *****;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4230/2003 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/10/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/10/2009 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l’Avvocato I.C.L., difensore di se stesso che si riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale per quanto di ragione, inammissibilità ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.M. e V.F., nella qualità di eredi di V.E., convenivano in giudizio l’Avv. I.C.L. per sentirlo condannare al risarcimento dei danni derivanti da responsabilità professionale nell’espletamento dell’incarico ricevuto da V.E., atteso che il legale non aveva proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Roma in funzione di Giudice del lavoro n. 8747 del 10/07/89, che aveva confermato quella di primo grado con cui era stata rigettata la domanda formulata dal predetto V. nei confronti della Banca Nazionale dell’Agricoltura, alle cui dipendenze il medesimo aveva lavorato dal *****, per ottenere la riliquidazione dell’indennità di fine rapporto.

Il convenuto chiedeva il rigetto della domanda, instando per essere autorizzato a chiamare in causa la Fondiaria Assicurazione s.p.a. per essere tenuto indenne di tutte le somme liquidate a favore degli attori.

Procedutosi alla chiamata in causa della Fondiaria Assicurazione s.p.a., questa chiedeva il rigetto della domanda.

Con sentenza depositata il 16 maggio 2000 il Tribunale, ritenuta la responsabilità professionale del convenuto, lo condannava al pagamento della somma di L. 97.373.614, partendo dal valore del diritto alla riliquidazione dell’indennità di fine rapporto perduto alla data del ***** rivalutato secondo gli indici ISTAT ed aggiungendo il danno emergente nella misura del 3,5 % calcolato sulla somma liquidata alla data del *****.

Con sentenza dep. il 9 ottobre 2003 la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della decisione impugnata con appello principale dagli attori ed incidentale dal convenuto, rideterminava la somma capitale, avendo accertato l’applicazione di un coefficiente di rivalutazione erroneo secondo quanto dedotto dagli appellanti principali con il primo motivo; respingeva il motivo con cui i predetti avevano lamentato la mancata rivalutazione degli interessi legali, trattandosi di credito originariamente di lavoro; i giudici di secondo grado, in proposito, osservavano che: gli attori non avevano tenuto conto che il credito di lavoro si era ormai estinto per effetto della mancata impugnazione della sentenza del 10-7-1990; il predetto credito scaturiva da un contratto a favore del terzo secondo quanto statuito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, senza che dai giudici di legittimità fosse stato precisata l’applicabilità degli istituti propri dei crediti di lavoro.

Secondo i giudici di appello, la decisione di primo grado aveva correttamente applicato i criteri esistenti in materia di danno da responsabilità contrattuale, rivalutando il credito perduto e poi riconoscendo interessi pari a L. 17 milioni a titolo di danno emergente: sarebbe stato onere degli attori dimostrare che, ove fosse stato pagato tempestivamente il credito, i medesimi avrebbero ricavato vantaggi maggiori di quelli derivanti dalla rivalutazione e dagli interessi come riconosciuti.

Era respinto l’appello incidentale, con cui il convenuto aveva lamentato la mancata condanna della Fondiaria Assicurazioni s.p.a. al pagamento anche delle spese processuali relative al rapporto intercorso fra gli attori ed esso convenuto, sul rilievo che l’ I. aveva contestato l’esistenza del rapporto causale tra mancata proposizione del ricorso per cassazione e danno, prendendo posizione sulla domanda, sicchè non si era limitato a chiamare in causa la Compagnia di assicurazione, avendo comunque un proprio interesse all’esito della lite distinto da quello della società assicuratrice Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione C.M. e V.F. sulla base di due motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso l’avv. I. proponendo ricorso incidentale. Non ha svolto attività difensiva la Fondiaria Assicurazioni SAI s.p.a..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti, ex art. 335 c.p.c., essendo stati proposti avverso la stessa sentenza. Con il primo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c., dell’art. 429 c.p.c., nonchè vizi di motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), censurano la decisione gravata laddove era stato escluso che il danno emergente dovesse essere liquidato in misura pari al credito di lavoro perduto dal cliente, essendosi rivelate erronee le considerazioni in ordine: all’assunto secondo cui, per effetto della mancata impugnazione della decisione del 10-7-1990, il credito di lavoro si fosse estinto, posto che il danno da responsabilità professionale consisteva proprio nel mancato riconoscimento del credito di lavoro conseguente all’omessa impugnazione della citata decisione; al rilievo che la Suprema Corte non avesse ritenuto nel caso di specie applicabili gli istituti relativi ai crediti di lavoro. Proprio perchè, come affermato dai giudici di appello, la responsabilità del professionista era di natura contrattuale, andava liquidato il danno emergente previsto dall’art. 1223 c.c., che nella specie consisteva nella perdita di quel credito di lavoro e quindi dei relativi accessori che sarebbe spettato al ricorrente, tenuto conto del cumulo, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., della rivalutazione monetaria e degli interessi legali sul capitale rivalutato.

Il motivo è fondato.

Occorre premettere che, come è stato affermato dalla sentenza impugnata con statuizione non censurata, è ormai coperta dalla cosa giudicata la declaratoria di responsabilità professionale dell’ I. (per non avere proposto il ricorso per cassazione) così come è da ritenersi passata in giudicato l’affermazione di cui alla decisione di primo grado relativa al rapporto causale fra tale omissione e la mancata attribuzione della riliquidazione dell’indennità di trattamento di fine rapporto secondo i criteri di cui alla sentenza n. 8182 del 1993 delle Sezioni Unite. Ciò premesso, le considerazioni che hanno portato la decisione impugnata ad escludere la rivalutazione degli interessi legali sul capitale rivalutato secondo la peculiare disciplina prevista per i crediti di lavoro sono erronee atteso che, ai sensi dell’art. 1223 c.c., dettato in materia di responsabilità contrattuale, andava liquidato il danno subito dal cliente e che consisteva nella reintegrazione di quell’entità patrimoniale che sarebbe entrata nel suo patrimonio ove il professionista avesse diligentemente adempiuto agli obblighi contrattuali. La perdita patrimoniale era consistita dunque nel mancato percepimento della riliquidazione dell’indennità di trattamento di fine rapporto che avrebbe dovuto comprendere non solo la rivalutazione ma anche gli interessi sulla sorta capitale rivalutata, tenuto conto che la liquidazione dei crediti di lavoro deve tener conto non solo della rivalutazione monetaria, che la funzione di risarcire il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., ma anche degli interessi che coprono il pregiudizio derivante da mancato guadagno della liquidità, e ciò senza bisogno di prova del vantaggio che sarebbe derivato. Al riguardo il riferimento all’estinzione del credito di lavoro per effetto della mancata impugnazione della sentenza di rigetto è del tutto fuori luogo, posto che il danno è consistito proprio nel non avere percepito il credito di lavoro che altrimenti sarebbe entrato nel patrimonio del cliente;

la sentenza delle Sezioni Unite non ha in alcun modo escluso ma anzi ribadito la natura retributiva della somma dovuta a titolo di riliquidazione dell’indennità di fine rapporto, avendo chiarito che nei contratti di assicurazione stipulati dal datore di lavoro in relazione al R.D.L. 8 gennaio 1942, n. 5, art. 4, sul Fondo per l’indennità agli impiegati per garantire ai singoli dipendenti un sistema di liquidazione dell’indennità di anzianità superiore al minimo legale, che pure hanno natura di contratti a favore di terzi, la facoltà, attribuita dall’art. 1411 c.c., allo stipulante, di revocare o modificare la stipulazione prima che il terzo dichiari, nei confronti di entrambe le parti del contratto, di volerne profittare, deve ritenersi preclusa dal fatto che il sistema di liquidazione della cennata indennità (avente carattere retributivo), assicurato ai dipendenti da tali contratti, integra una variazione migliorativa del trattamento economico spettante ai medesimi, la quale, una volta che sia stata introdotta dall’imprenditore ed accettata sia pure tacitamente dai lavoratori, impegna alla sua osservanza ambedue le parti dei singoli contratti di lavoro (Cass. 8182/1993).

Pertanto, erroneamente la sentenza impugnata, nel confermare la liquidazione degli interessi che il giudice di primo grado aveva effettuato sull’importo originario del credito, non ha considerato che, trattandosi di credito di lavoro, gli interessi andavano liquidati sull’importo rivalutato e non su quello originario.

Il secondo motivo, proposto subordinatamente accoglimento del primo, è assorbito.

Con l’unico motivo il ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata che, nel condannare esso ricorrente al pagamento delle spese processuali nei confronti degli attori in virtù del richiamato principio della soccombenza, non aveva considerato che con la domanda di manleva egli aveva chiesto di essere tenuto indenne da parte della Compagnia anche delle spese che ai medesimi attori fossero state liquidate, tenuto conto di quanto al riguardo previsto dall’art. 1917 c.c., e art. 91 c.p.c.: era da ritenersi del tutto inconferente la motivazione al riguardo posta a base della decisione.

Il ricorso incidentale tardivo (notificato il 30-12-2004 avverso la sentenza dep. il 9 ottobre 2003) proposto ai sensi dell’art. 334 c.p.c., è inammissibile.

Va premesso che nelle cause inscindibili o dipendenti – ipotesi ricorrente sia nel caso di litisconsorzio necessario originario, di diritto sostanziale o processuale, sia nel caso di cause tra loro dipendenti, le quali, essendo state decise in un unico processo, devono rimanere unite anche nella fase di gravame in quanto la pronuncia sull’una si estende, in via logica e necessaria, anche all’altra ovvero ne forma il presupposto logico e giuridico imprescindibile – la parte, i cui interessi giuridici sono oggetto dell’impugnazione principale, è legittimata a proporre impugnazione incidentale tardiva, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., anche contro una parte diversa da quella che ha introdotto l’impugnazione principale e su un capo di sentenza diverso da quello oggetto di questa impugnazione (Cass. 24372/2006; Cass. 13068/2005).

Nella specie, peraltro l’impugnazione incidentale concerne il rapporto fra il convenuto e la chiamata in garanzia derivante dal contratto di assicurazione intercorso con la società Fondiaria (garanzia impropria), che è del tutto autonomo ed indipendente da quello posto a base della domanda proposta dagli attori nei confronti del convenuto:pertanto, l’interesse del resistente a spiegare impugnazione incidentale avverso la statuizione con cui era stata rigettata la pretesa del convenuto ad essere tenuto indenne da parte della, Compagnia del pagamento delle spese sostenute dagli attori, non sorge per effetto dell’ (e non dipende dall’) impugnazione principale.

Pertanto, va accolto il primo motivo del ricorso principale assorbito il secondo, mentre va dichiarato inammissibile quello incidentale;

la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio anche per le spese della presente fase- relative al rapporto processuale fra i ricorrenti e l’ I. – ad altra sezione della Corte di appello di Roma;

nessuna statuizione va adottata relativamente alle spese della presente fase per quanto concerne il rapporto processuale fra l’ I. e la Fondiaria Assicurazioni SAI s.p.a., non avendo quest’ultima svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo di quello principale assorbito il secondo dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia,anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010

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