LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –
Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –
Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
F.O. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SORA 47, presso lo studio dell’avvocato ROSSI SERGIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
L.A. e per esso gli eredi L.S.
***** E L.R. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ALESSANDRIA 119, presso lo studio dell’avvocato CICCHIELLO FRANCO, rappresentati e difesi dall’avvocato RUBINO FRANCESCO;
– controricorrenti –
e contro
S.A.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1413/2003 del TRIBUNALE di LATINA, depositata il 22/10/2003;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 10/11/2009 dal Consigliere Dott. MIGLIUCCI Emilio;
udito l’Avvocato Sergio RSSI, difensore del ricorrente che ha chiesto di riportarsi alle conclusioni in atti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
F.O. proponeva appello avverso la sentenza n. 189/96 del Pretore di Latina sezione distaccata di Gaeta che aveva confermato l’ordinanza emessa il 31.10.1992, con cui C.A. e il predetto F. erano stati condannati a reintegrare L. A. e S.A., anche quel procuratrice di Le.An., nel passaggio pedonale e carrabile insistente sulla proprietà dei primi in agro *****, riportata al foglio *****, per una larghezza costante di m. 1,50 onde consentire il transito di motocoltivatori o mezzi agricoli.
Il L. e la S., costituendosi in giudizio, chiedevano il rigetto dell’appello.
Con sentenza del 23 settembre 2003 il Tribunale di Latina rigettava l’impugnazione proposta dal F. nei confronti soltanto del L. e della S..
Per quel che ancora interessa nella presente sede il Giudice di appello, nel respingere il motivo di gravame con il quale era stata contestata la sussistenza dell’animus spoliandi nel F., affermava che era in proposito irrilevante che il predetto, prima dell’instaurazione del giudizio, avesse consegnato ai ricorrenti le chiavi del cancello per consentire loro il passaggio pedonale e con eventuale mezzo agricolo non superiore a 80 centimetri, posto che dall’istruttoria svolta era emerso che il transito dei ricorrenti sul passaggio in questione avveniva con mezzi meccanici di ampiezza anche superiore a mt. 1,20, per cui il resistente era consapevole di privare del godimento della cosa i possessori contro la loro volontà. Infine era disattesa l’eccezione di nullità della sentenza per la mancata indicazione nel dispositivo del diritto riconosciuto sul rilievo che la portata precettiva della sentenza andava individuata anche attraverso la motivazione.
Avverso tale decisione propone ricorso per Cassazione F. O. sulla base di quattro motivi.
Resistono con controricorso L.S. e L.R., quali eredi di L.A., nelle more deceduto.
Le parti hanno depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c., denuncia la violazione del litisconsorzio necessario, posto che la sentenza di appello era stata emessa senza la partecipazione al giudizio di gravame della C. che era stata parte in quello di primo grado ed era proprietaria dell’immobile sul quale era stato apposto il cancello. Il motivo è fondato.
In linea di principio non ricorre alcuna ipotesi di litisconsorzio nel giudizio di reintegra, neppure nel caso in cui più soggetti siano autori dello spoglio, ben potendo l’azione essere intentata nei confronti di alcuno soltanto di loro, sempre che sia in grado di provvedere alla reintegra: peraltro, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, quando per l’attuazione della tutela richiesta sia necessaria la rimozione dello stato di fatto abusivamente creato, con l’abbattimento di opere appartenenti in comproprietà anche a terzi non presenti in giudizio, sussiste la inscindibilità della causa e la conseguente necessità di integrare nei loro confronti il contraddittorio; infatti, la sentenza resa nei confronti di alcuno e non anche degli altri comproprietari o compossessori dell’opera sarebbe “inutiliter data”, giacchè la demolizione della cosa pregiudizievole incide sulla sua stessa esistenza e necessariamente quindi sulla proprietà o sul possesso di tutti coloro che sono partecipi di tali signorie di fatto o di diritto sul bene, atteso che non è configurabile una demolizione limitatamente alla quota indivisa del comproprietario o del compossessore convenuto in giudizio, a nulla rilevando, in contrario, che il comproprietario pretermesso possa fare opposizione all’esecuzione nelle forme previste dall’art. 615 c.p.c. (cfr. Cass. 7412/2003; 22833/2005).
Nella specie, la reintegrazione del possesso della servitù di passaggio non potrebbe essere eseguita se non con la realizzazione di opere nel fondo servente che attuino il ripristino del passaggio nella larghezza originaria superiore a mt. 1,20 (secondo quanto accertato dalla impugnata sentenza), passaggio in tale larghezza impedito dal manufatto apposto nella proprietà del F. e della C..
Pertanto, al giudizio doveva partecipare necessariamente anche la C.: la violazione del litisconsorzio necessario per mancata integrazione del contraddittorio nei suoi confronti – rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (anche in sede di legittimità quando gli elementi che rivelano la necessità del contraddittorio emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito e che sulla questione non si sia formato il giudicato) – comporta la nullità del giudizio e della sentenza di secondo grado, escludendo evidentemente che quest’ultima possa essere passata in cosa giudicata, come erroneamente sostenuto dai resistenti.
Il secondo, il terzo e il quarto motivo, con cui si formulano doglianze laddove la sentenza aveva ritenuto nel merito la sussistenza dello spoglio ed escluso la nullità della decisione di primo grado, sono assorbiti dall’accoglimento del primo motivo di ricorso.
La sentenza va cassata in relazione al motivi accolti, con rinvio, anche per le spese della presente fase, alla Corte di appello di Roma, quale giudice di gravame avverso le sentenze emesse dal soppresso ufficio pretoriale.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri (cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese della presente fase, alla Corte di appello di Roma.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010