Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.922 del 20/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.S., G.P. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 32, presso lo studio dell’avvocato TRILLO’ ANTONIO, rappresentati e difesi dall’avvocato TONON CARMELO;

– ricorrenti –

contro

COMUNITA’ EVANGELICA CONFESSIONE AUGUSTANA TRIESTE P.I.

*****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA P. MASCAGNI 154, presso lo studio dell’avvocato VITUCCI PAOLO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GABRIELLI GIOVANNI, BARDI PAOLA;

– controricorrente –

avverso il provvedimento cron. 2936 del TRIBUNALE di TRIESTE, depositata il 25/11/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 10/11/2009 dal Consigliere Dott. MIGLIUCCI Emilio;

udito l’Avvocato;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Presidente del Tribunale di Trieste, su richiesta della Comunita’ Evangelica di Confessione Augustana di Trieste, istituita erede di G.A. con testamento olografo del ***** pubblicato il 25.7.2002, ordinava la formazione dell’inventario relativo all’eredita’ del predetto e successivamente concedeva una proroga di trenta giorni per la formazione dello stesso inventario.

G.S. e G.P., a loro volta istituiti eredi universali dal predetto G. con successivo testamento olografo del *****, chiedevano la revoca di tali provvedimenti.

Con provvedimenti in data 22 gennaio 2003 il Presidente del Tribunale rigettava la richiesta di revoca.

Tali provvedimenti erano impugnati con reclamo proposto ai sensi dell’art. 769 c.p.c. da G.S. e G.P..

Con ordinanza dep. il 25 novembre 2003 il Tribunale di Trieste dichiarava inammissibile il reclamo sul rilievo che, essendo stati emessi con decreto in assenza di contraddittorio a stregua di quanto previsto dall’art. 769 c.p.c., comma 3, i provvedimenti in oggetto avevano carattere ordinatorio – amministrativo e, come tali, non erano in grado di pregiudicare i diritti successori degli istanti, atteso che l’accertamento di tali diritti e delle relative decadenze doveva essere devoluto a un ordinario giudizio di cognizione.

Avverso tale decisione propongono, ai sensi dell’art. 111 Cost., ricorso per Cassazione G.S. e G.P. sulla base di un unico articolato motivo.

Resiste con controricorso la Comunita’ Evangelica di Confessione Augustana di Trieste.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo i ricorrenti, lamentando violazione di legge ex art. 111 Cost., deducono quanto segue: a) in sede di reclamo avevano denunciato che il Presidente del Tribunale, nel rigettare le istanze di revoca dei provvedimenti di formazione di un nuovo inventario e di proroga del termine per ultimarlo, aveva erroneamente ritenuto la sussistenza delle condizioni, fra cui quella di avere diritto a succedere, di cui all’art. 753 c.p.c. che, nonostante la lettera della norma, postula che non possa essere sia pure delibata la qualita’ di erede dei soggetti ivi indicati contra legem, tenuto conto che la redazione dell’inventario dopo la scadenza del termine di legge comporta che la persona giuridica non societaria, decadendo dal beneficio di inventario, perde la capacita’ a succedere; la proroga del termine per la redazione dell’inventario e’ illegittima ove, come nella specie, sia stata chiesta successivamente alla sua scadenza; b) erroneamente era stato affermato che i decreti impugnati, emessi inaudita altera parte, avessero carattere ordinatorio o amministrativo, atteso che la disposizione di cui all’art. 737 c.p.c. incontra un limite nella norma speciale dettata dell’art. 749 c.p.c. in materia di procedimento per la proroga dei termini, secondo cui la concessione di un termine deve avvenire in contraddittorio dei soggetti interessati e va adottata con ordinanza;

nella specie, i G. istituiti eredi con il secondo testamento, avevano un interesse giuridicamente rilevante a fare valere le loro ragioni nei confronti della Comunita’ Evangelica con riferimento alla perdita da parte di quest’ultima della idoneita’ a succedere;

riconoscere natura sostanzialmente amministrativa ai provvedimenti di volontaria giurisdizione non significa certo che laddove poi si intersechino con un procedimento contenzioso, siano da considerarsi avulsi dalla controversia sulle posizioni soggettive delle parti ; c) il provvedimento con il quale era stata dichiarata l’inammissibilita’ del reclamo, ha i requisiti di decisorieta’, incidendo sul diritto soggettivo processuale di azione e sulla posizione sostanziale della G., e definitivita’, giacche’ un volta dichiarata l’inammissibilita’ del reclamo, non e’ possibile una ulteriore richiesta di revoca e il provvedimento de quo non e’ suscettibile di essere gravato con altra impugnazione.

Il ricorso, proposto ai sensi dell’art. 111 Cost., va dichiarato inammissibile.

Occorre premettere che il Tribunale ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto dai ricorrenti, i quali avevano impugnato il rigetto della revoca dei due provvedimenti emessi dal Presidente del Tribunale, e cioe’ quello con il quale era stata autorizzata la formazione di un nuovo inventario e quello successivo di proroga del termine per la redazione dello stesso inventario. Orbene, il ricorso straordinario ex art. 111 Cost. e’ ammissibile quando il provvedimento impugnato e’: a) decisorio, in quanto, risolvendo conflitti fra interessi o pretese contrapposte, e’ idoneo ad incidere su posizioni di diritto soggettivo o di status; e b) definitivo, in quanto non siano previsti mezzi di impugnazione diversi da quello costituzionale.

In particolare, nell’ambito dei provvedimenti emessi in sede di tutela camerale, sono impugnabili ai sensi dell’art. 111 Cost. quei provvedimenti che, seppure emessi in forma diversa dalla sentenza, hanno attitudine al giudicato: 1) perche’ hanno ad oggetto l’accertamento incontrovertibile del diritto sostanziale tutelato dall’ordinamento con efficacia preclusiva fra le parti, sicche’ il giudicato costituisce (e si sostituisce) alla norma rappresentandone l’attuazione nel caso concreto (giudicato sostanziale); 2) la decisione abbia il carattere della irretrattabilita’ ed immodificabilita’ per non essere l’accertamento piu’ suscettibile di riesame (giudicato formale).

In sostanza, la definitivita’ del provvedimento conseguente alla natura incontrovertibile dell’accertamento compiuto dal giudice camerale, postula che nel procedimento camerale sia stata emessa una decisione su un diritto che avrebbe potuto costituire oggetto di cognizione in un giudizio contenzioso con la conseguenza che l’accertamento in sede non contenziosa precluda il riesame della questione in un giudizio di cognizione.

Nella specie, i provvedimenti emessi dal Presidente non avevano i caratteri della decisorieta’ e quindi neppure della definitivita’ in quanto rientravano nell’ambito di quei provvedimenti di giurisdizione volontaria o non contenziosa che hanno ad oggetto la gestione di interessi, in cui la funzione del giudice e’ quella di garantire il controllo di legalita’ sul compimento di atti relativi al patrimonio caduto in successione, essendo dei tutto estraneo a tale tutela l’accertamento di diritti o la risoluzione di conflitti fra pretese contrapposte.

In particolare, il decreto che autorizza la formazione dell’inventario ai sensi dell’art. 769 c.p.c. e’ un provvedimento che viene emesso all’esito di un procedimento di cui e’ parte il solo istante e nel quale il giudice si limita ad accertare la riconducibilita’ del medesimo alle categorie di persone aventi diritto alla rimozione dei sigilli ai sensi dell’art. 763 c.p.c., senza alcuna decisione in merito alla capacita’ a succedere del soggetto richiedente. Non diversamente deve ritenersi a proposito della proroga del termine per la redazione dell’inventario, non potendo condividersi quanto al riguardo deciso dalla Suprema Corte con la risalente decisione n. 2617 del 1979. In proposito, occorre sottolineare che la dilazione del termine per la redazione dell’inventario non potrebbe mai avere incidenza sul riconoscimento della qualita’ ereditaria del soggetto al quale sia stata eventualmente concessa la proroga in modo illegittimo: evidentemente l’accertamento circa lo status di erede esorbita dall’oggetto della tutela camerale, che e’ limitata a consentire o meno la dilazione del termine di legge nella redazione dell’inventario e non potrebbe mai precludere l’instaurazione di un procedimento contenzioso diretto all’accertamento della qualita’ di erede: in tale sede il giudice puo’ in via incidentale compiere anche il controllo di legittimita’ del provvedimento camerale (nella specie la sussistenza dei presupposti di legge per la concessione della proroga). D’altra parte, l'(eventuale) lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espressione del diritto di azione e’ del tutto inconferente, atteso che la pronuncia sull’osservanza delle norme sul processo ha la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo e’ preordinato, e non puo’ dunque avere autonoma valenza di provvedimento decisorio e definitivo (Cass. 13760/2009; 2756/2008;

S.U. 11026/2003).

Ne consegue che i provvedimenti emessi dal Presidente del Tribunale non sono tali da incidere su posizioni di diritto soggettivo dei ricorrenti, i quali – si ricorda – non sono i soggetti direttamente interessati dal provvedimento di proroga: evidentemente diversa e’ la situazione in cui viene a trovarsi colui il quale, vedendosi respinta la richiesta di proroga del termine, incorra nella decadenza dal beneficio d’inventario e negli effetti conseguenti alla confusione del patrimonio ereditario e di quello dell’erede, come nell’ipotesi di cui alla decisione delle Sezioni Unite n. 1521 del 2005 in tema di revoca della proroga del termine assegnato all’erede ex art. 500 c.c..

Il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese della presente fase vanno in solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna i ricorrenti al pagamento in via tra loro solidale a favore della resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010

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