Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.93 del 08/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 1523/2009 proposto da:

E.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 4, presso lo studio dell’avvocato IMBARDELLI Fabrizio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MONTELLA GIOVANNI, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore Centrale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 98/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di NAPOLI, del 24/10/07 depositata il 21/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.

IN FATTO E IN DIRITTO 1. E.V. propone, nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 98, depositata il 21-11-07, con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per Irpef e Ilor relativo al 1997, la C.T.R. Campania, confermando la sentenza di primo grado, sosteneva che il contribuente era legittimato passivo per le sanzioni conseguenti alle violazioni accertate in quanto, pur non essendo applicabile nella specie il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 11, nè la L. n. 4 del 1929, art. 12, nè il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 98, egli era la persona fisica che gestiva di fatto una ditta individuale, in piena autonomia, assumendosi tutte le responsabilità delle violazioni eventualmente commesse.

2. L’unico motivo di ricorso (col quale si deduce contraddittorietà della motivazione per avere i giudici d’appello escluso l’applicabilità di ogni norma che all’epoca dei fatti prevedeva una responsabilità solidale per le sanzioni e ciononostante ribadito la responsabilità in solido dell’ E. senza indicare alcuna normativa di riferimento) è manifestamente infondato.

Invero, i giudici d’appello, dopo aver escluso l’applicabilità di alcune norme ritenute non concernenti il caso di specie o non applicabili ratione temperie, hanno poi affermato che nella specie la responsabilità solidale dell’ E. derivava dal fatto che egli gestiva di fatto una ditta individuale, in piena autonomia, assumendosi tutte le responsabilità delle violazioni eventualmente commesse, e tale motivazione (eventualmente censurabile sul piano giuridico) non risulta contraddittoria, posto che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, il vizio di contraddittorietà della motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della “ratio decidendo”, cioè l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata, senza che i suddetti vizi possano riscontrarsi nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice da quello preteso o sollecitato dalla parte (v. sul punto cass, n. 11918 del 2003 e n. 17076 del 2006).

Peraltro, il fatto che la motivazione addotta non citi referenti normativi, e persino il fatto che essa non sia fondata su validi referenti normativi, non incide sull’intima coerenza della decisione, ma, eventualmente, sulla sua fondatezza in diritto, essendo appena il caso di evidenziare che il vizio della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, attiene esclusivamente all’accertamento in fatto e che non è configurabile vizio della motivazione in diritto della sentenza, la quale, sotto questo profilo, può essere censurata solo per violazione di legge (sempre che la decisione non sia conforme a diritto).

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2010

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